Impressioni di uno storico spagnolo a Napoli
Finalmente, dopo anni di ricerche sul comune passato di spagnoli ed italiani, ho avuto l’occasione di trascorrere un mese a Napoli e visitare tutto quello di cui avevo letto e su cui avevo lavorato. È stata un’esperienza meravigliosa sia a livello personale che professionale.
Da un lato, perché il soggiorno è servito a me e mia moglie per tornare a vedere amici come il professor Giovanni Muto, per incontrare di persona altri amici con i quali già mantenevo qualche contatto, come nel caso dei promotori di questo sito, Angelo e Angela, e per scoprirne di nuovi con i quali instaurare una bella amicizia: Veronica, Stefano ed Emma. Costoro non ci hanno risparmiato premure e attenzioni facendoci sentire come a casa nostra, così, queste righe valgano a mostrare loro il nostro sentito ringraziamento.
D’altra parte, come è risaputo, la città di Napoli e i suoi dintorni ospitano tesori unici di valore universale che vale la pena visitare almeno una volta nella propria vita. Alcuni di loro sono naturali, come il vulcano o le coste, e altri sono paesaggi antropici che illustrano meglio d’ogni altra cosa il passato della nostra civiltà.
Ma soprattutto sono andato alla ricerca di nuovi materiali per arricchire la mia ricerca sul XVI secolo, elementi la cui diffusione è limitata e che raramente si esportano, e per acquisire la conoscenza che solo il contatto diretto con una terra è in grado di trasmettere a uno studioso. Ebbene, a questo proposito, sono profondamente sorpreso e le cose conosciute mi hanno fatto nascere nuove idee.
Tuttavia, ciò che giustifica veramente questo articolo sono due aspetti la cui percezione mi ha portato un po’ di tristezza. La prima è l’idea sbagliata che hanno i napoletani della fase della loro storia in cui sono stati parte della Monarchia spagnola, fase che inizia con le conquiste del Gran Capitano e si estende durante i regni dei diversi Asburgo. Tale percezione, erronea a mio modo di intendere, proviene sia da malintesi degli storici in generale, e spagnoli in particolare, nell’analizzare questo periodo storico, sia dai nuovi venti politici che spirano in Italia, molto interessati alla memoria di personaggi e dinastie successive, ma mistificati in eccesso, che legittimano così le loro ambizioni.
Devo sottolineare che in nessun momento essere Spagnolo a Napoli mi ha causato problemi, piuttosto il contrario: se mi avessero offerto una piccola somma di denaro per ogni volta che qualcuno mi ha detto che ci considerava come suoi fratelli, sarei tornato con più di quello che ho lasciato. Naturalmente si tratterebbe di un fratello con una vita indipendente, che appartiene ad un tronco comune ma possiede una propria casa.
Così, per molti, la figura di Carlo di Borbone rappresenta l’eroe greco classico che instaurò una dinastia indipendente e sovrana, anche se era straniero, convertendosi nel punto di riferimento di un Regno che finalmente recuperava la sua libertà. Tuttavia, io non credo che questa interpretazione della storia sia affidabile, perché la precedente presenza spagnola non ha rappresentato l’oppressione a cui di tanto in tanto si allude, né è vero che il buon Re diede ai suoi sudditi l’autonomia prevista.
Come ho scritto nelle mie pubblicazioni, alla fine dell’Età Media sorgono due potenze la cui forza permette loro di espandersi al di là di quelle che si consideravano le proprie frontiere naturali (secondo la concezione della geografia ereditata dai tempi di Roma). Il Re di Francia sceglie di impossessarsi di un regno come quello di Napoli che, se era certamente libero fino all’arrivo delle sue truppe, era da secoli in possesso di stranieri. Pertanto, le vittorie di don Gonzalo Fernandez de Cordoba sul campo di battaglia non furono contro i Napoletani, ma contro i Francesi ed i loro alleati che furono espulsi dal territorio.
Più importante ancora è come questo influenzò la società napoletana. Riassumendo molto, la locale aristocrazia ritenne sicuro il successo francese, così il suo sostegno in guerra alla causa del Re di Francia fu quasi unanime. Al contrario, il popolo ed una parte minore dell’aristocrazia sostennero gli Spagnoli, così la vittoria dei Re Cattolici si può considerare come il vero punto di partenza di molti dei lignaggi che poi ebbero grande importanza nell’Età Media.
La successiva ascesa al trono degli Asburgo in Spagna con Carlo V ebbe almeno due conseguenze significative: la prima, una inusuale concentrazione di potere in mano di un monarca, quasi indiscusso; e la seconda, che deriva dalla prima, fu il consolidamento di un impero che, ormai, cresceva formato da più nazionalità.
E, a questo punto, vale la pena soffermarsi a spiegare come all’epoca essere Spagnolo o Italiano era molto diverso da ciò che crediamo. Chi venne in Italia con il Gran Capitan era noto come Spagnolo e così si faceva conoscere, perché proveniva dalla penisola iberica, l’antica Hispania romana. Tuttavia, la Spagna era un concetto o una pretesa e poco più, perché la realtà geopolitica si traduceva nella presenza di vari Stati e non tutti sotto il potere dei Re Cattolici. D’altra parte, in quell’esercito non solo c’erano Castigliani ed Aragonesi, ma anche un cospicuo numero di Navarresi e Portoghesi che si erano uniti all’impresa. Allo stesso modo, i vari canali che portavano notizie di quanto era accaduto, parlavano di Italiani in generale senza stabilire nessuna differenza tra essi, anche se sappiamo che il panorama politico della Penisola era ancora frammentato. Pertanto, solo all’interno delle proprie penisole, iberica e italiana, aveva senso fare distinzioni e così differenziarsi dagli altri.
Sotto il regno di Carlo V persistettero due grandi centri di potere: il Sacro Romano Impero e la Castiglia. I detrattori napoletani di questo periodo tengono come simbolo della dominazione straniera la presenza di un Viceré a Napoli, ma dimenticano due fatti di grande importanza. Il primo è che anche la Navarra e l’Aragona avevano tale carica, e il secondo è che questo non fu un fatto negativo, ma piuttosto il contrario, perché permise a questi regni di mantenere le proprie istituzioni e la propria legislazione, ciò che in molte circostanze permise di godere di un carico fiscale più basso di quello della Castiglia. Invece quei territori che furono conquistati con la forza delle armi, come Granada, furono pienamente incorporati alla Castiglia. Pertanto, l’Impero conosciuto allora e oggi come spagnolo, in verità era una specie di conglomerato federale di diverse nazionalità (relativamente parlando), in cui i suoi principali membri erano sovrani e dovevano essere cattolici. Si riteneva che questi popoli fossero fratelli, che appartenessero ad un’alleanza e che non esistesse alcuna gerarchia tra di loro.
È interessante notare che poco si ravvisa questa supposta dominazione in popoli che godevano di completa libertà di movimento in altre regioni, così come della piena integrazione sociale e lavorativa. Se ci riferiamo a figure più umili ricordo che recentemente è stato pubblicato un fumetto ben documentato, Espadas del fin del mundo, in cui si narra l’unico scontro tra spagnoli e giapponesi. Curiosamente, il capomastro della nave protagonista in quel giorno era Napoletano. Se ci riferiamo invece alle élite e, in modo speciale agli italiani, spesso constatiamo senza difficoltà la notorietà della loro presenza a corte, alcuni semplicemente come alleati – è il caso del genovese Andrea Doria – altri legati alla famiglia reale come i Franesio o Farnese, e altri come i Colonna la cui collaborazione risale proprio al tempo del Gran Capitano.
Nel successivo regno di Filippo II, come in quelli dei suoi successori, la disintegrazione dell’impero stesso ha permesso di impostare la capitale a Madrid. Eppure, questo non significò differenza di valore tra i sudditi. Le cariche di Viceré erano preferibilmente assegnate a persone legate al re e spesso questo implicava la loro condizione di straniero nelle loro destinazioni. Come ora, le élite locali lottavano per acquisire fette di potere e generalmente pensavano più ai loro vantaggi che al beneficio dei popoli. E si mirava a contrastare questo fenomeno proprio con la presenza di una figura vicina al Monarca e fuori da queste reti sociali.
Per quanto riguarda Carlo di Borbone, non c’è dubbio che è uno dei più significativi Re della sua dinastia. Anche in Spagna è tale. Ma nel momento in cui visse, non solo Napoli era in decadenza, ma la Spagna stessa, per la quale lasciò la sua amata Italia, non era più che un bel ricordo perché inferiore era la sua rilevanza internazionale. Inoltre, la sua intenzione di rendere indipendente Napoli, di slegare il governo del ramo secondario dei Borboni spagnoli, dopo la sua partenza, fu oscurata dalla volontà di tenere comunque le redini della politica napoletana. Ancora una volta gli interessi personali e dinastici erano al di sopra del popolo che oggi lo glorifica. In breve, il mettere in rilievo la figura di Carlo di fronte al passato, può essere solo spiegato mediante quel sentire mediterraneo che preferisce la libertà alla grandezza. Forse la rinascita dei nazionalismi che combattono contro il mercato globale necessita di riferimenti, anche se questi si discostano dalla verità, ma non dimentichiamo un passato comune e glorioso che unisce aree vaste del Mediterraneo e dell’Europa, in un’alleanza che ha contribuito ad un mondo migliore nonostante i suoi molti errori.
Questioni a parte, possiamo creare un sentimento di fratellanza tra i popoli che durante tanto tempo furono uno, attraverso la cultura; e la mia visita ha mostrato i gravi ostacoli che si pongono in questo percorso. In generale, gli stranieri che vengono a Napoli accedono solo ad informazioni in italiano o inglese. Lo stesso contenuto è parziale, ben centrato esclusivamente su aspetti artistici. Le conseguenze più immediate derivanti da ciò sono: in primo luogo, l’italiano o lo spagnolo, le lingue romanze che sorsero dal latino, perdono peso specifico di fronte all’anglosassone e determinano l’impossibilità dei miei connazionali di accedere ad un patrimonio che, anche se indirettamente, è tanto loro come dei Napoletani. E questo è molto simile a quanto accade in Spagna, in egual modo mi piacerebbe che l’Italiano che visita la Spagna possa ricevere informazioni nella sua lingua ed informazioni che gli permettano di comprendere la vera rilevanza storica di quello che sta visitando, senza dubbio ciò gli farebbe percepire ciò che vede anche come suo.
In breve il viaggio mi ha molto arricchito. Sono più consapevole di ciò che resta ancora da fare e il mio proposito non è altro che continuare a lavorare.
Grazie all’iniziativa di Angelo D’Ambra che ha stabilito questo ponte tra l’Italia e la Spagna, tra Napoli, Borja e Oviedo, sento che si avanza per sopperire a queste carenze con l’obbiettivo di rendere più forte la nostra reciproca conoscenza, sicuro che la Storia che prevarrà sarà quella priva di secondi fini.
Autore: Hugo Vázquez Bravo
Da: historiaregni