Il Cimitero delle Fontanelle
Il visitatore è spiazzato da cataste di ossa, collinette di teschi, femori, tibie, imponente lavoro di pietosa e devota catalogazione delle popolane del quartiere. Siamo a Napoli in zona Sanità, nel Cimitero delle Fontanelle. Soggetti di un antico culto popolare, le “anime pezzentelle” hanno i loro centri di devozione anche nella Basilica di San Pietro ad Aram e nella Chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco.
E’ però nel Cimitero delle Fontanelle che il culto si esprime in tutto il suo fascino.
Tutto risale agli inizi del Seicento quando tra la comunità di fedeli di Napoli si stabilisce, con suffraggi e preghiere, un legame liturgico tra vivi e morti. La preghiera unisce la richiesta di “refrisco” del morto e quella di successo e protezione del vivo. Le spiegazioni storiche e psicologiche si misurano col fenomeno del trasudamento dei teschi che, scelti e adottati, sono curati da devoti che puntualmente se ne prendon cura.
Nel Seicento, continue esigenze funerarie, trasformano una vecchia cava di tufo nel quartiere Sanità nel più grande ossario napoletano. In uno dei luoghi più popolosi di Napoli, che già vanta nel suo passato ipogei greci e catacombe cristiane, si sviluppò così un gigantesco ossario dove si incontrano sacro e profano, religione e magia, le porte dell’Ade che conducono dal mondo dei vivi a quello dei morti.
Il cimitero oggi conserva i resti delle vittime della peste del 1656, man non solo. Nel 1763 Ferdinando IV ordinò la costruzione del cimitero Trivico in Borgo Sant’Antonio Abate, ma la capienza si mostrò inadeguata e presto riprese il trasporto dei cadaveri verso la Sanità.
Nel 1782 nuove disposizioni abolirono le terrasante, ma solo nel 1836 la soluzione cimiteriale di Ferdinando II, che userà un’area di Poggioreale, permetterà una moderna deposizione dei defunti con singole sepolture e cappelle gentilizie.
Tuttavia il cimitero delle Fontanelle continuò ad ospitare le ossa provenienti dalle chiese più esposte a rischi d’igiene ed oggi si stima che ve ne siano almeno 40.000. Il cimitero rimase abbandonato fino al 1872, quando Don Gaetano Barbati, con l’aiuto di popolane mise in ordine le ossa nello stato in cui ancora oggi si vedono. Questo primo riordino consegna al pubblico di fedeli un ossario meno caotico e nuove ossa vi vengono sistemate nel 1934 quando lavori di scavo in Via Acton portarono in superficie nuovi antichi resti umani. Vi si accede da una porticina della Chiesa di Maria Santissima del Carmine. Lungo i tremila metri quadrati del cimitero, i fedeli sceglievano le “capuzzelle” da pregare e a cui offrire i lumini. Pregavano l’anima per alleviare le sue sofferenze in purgatorio, creando un vero e proprio rapporto di reciprocità, in cambio di una grazia o dei numeri da giocare al lotto.
Un culto misterioso particolarmente sentito fino al secondo dopoguerra che ancora oggi ha seguito tra tradizioni popolari che si rinnovano, leggende, profezie e miracoli attribuiti agli scheletri. Di essi nessuno ha un nome ad eccezione di due: quello di Filippo Carafa, Conte di Cerreto, dei Duchi di Maddaloni, morto il 17 luglio 1797 e di Donna Margherita Petrucci nata Azzoni morta il 5 ottobre 1795; entrambi riposano in bare protetti da vetri. Il corpo di Donna Margherita è mummificato ed il teschio ha la bocca spalancata come di chi sta per vomitare, per cui si dice che la nobildonna sia morta strangolata da uno gnocco. Tante altre però sono le leggende che riguardano i morti di questo posto.
C’è il cranio di un frate, chiamato Pasquale, che a volte dispensa numeri a lotto, poi c’è Concetta, la famosa “testa che suda”, c’è pure un postino che appare in sogno recapitando notizie importanti, ma il personaggio più conosciuto è forse il Capitano…
La leggenda vuole che una coppia di sposi prima di convolare a nozze passò in visita il cimitero e in questa occasione il ragazzo, privo di fede nelle anime pezzentelle, infilò il bastone in un’orbita di un cranio dicendo: “Non ti temo, anzi ti invito alle mie nozze!”. Il giorno del banchetto nuziale alla coppia si presentò un misterioso cavaliere dall’occhio bendato che non parlava con gli altri invitati, nè mangiava. Quando lo sposo non potendone più dell’opprimente figura gli si avvicinò chiedendo chi fosse e chi l’avesse invitato, si senti rispondere: “E me lo domandi proprio tu chi sono? Chi mi invitò alle nozze? Tu, che mi trafiggesti l’occhio col bastone!”. Al che si materializzò col nudo teschio senza carni e a quella visione gli sposi morirono e con essi una parte di invitati, le cui ossa sono conservate sotto una gran croce nera nel cimitero.
Interdetto ai fedeli negli anni Sessanta del Novecento, il cimitero fu riaperto negli anni Novanta. Con questa misura le autorità cercarono di smorzare i toni di un culto che aveva assunto il carattere dell’idolatria e che a volte era sfociato in vera e propria magia nera con acclarati trafugamenti di ossa.
Oggi il culto è assopito, non scomparso. Pochi sono i fedeli che lo tengon vivo, ma continua a rappresentare uno dei volti più misteriosi di Napoli.
Autore articolo: Angelo D’Ambra
Autore foto: Fulvio de Innocentiis
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