Il Barocco meridionale a Lecce ed a Napoli
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L’impronta magistrale del barocco scalfisce il volto di Lecce e di mezzo Salento da ormai più di tre secoli. Il gioco di chiaroscuri la fa da padrone sulle facciate delle chiese. Aiutate dai toni caldi delle pietre impiegate, le linee barocche sanciscono la dissoluzione del Rinascimento. Statue leggere si affacciano dalle nicchie e dalle volute angolari a Santa Croce di Lecce, opera di Giuseppe Zimbalo; l’opaliscenza di paraste e colonne fa di Santa Chiara un piccolo gioiello.
Particolare della facciata della chiesa di Santa Croce a Lecce
La realizzò il leccese Giuseppe Cino, uno dei massimi esponenti del barocco. A Lecce regna un gioco atmosferico e incorporeo ed anche a Napoli, ancora collegata alla vicina Catalogna, il barocco irrompe. Tutto grazie alla personalità di Cosimo Fanzago. Proveniente dalla Bergamasca, Fanzago è un buono scultore, molto vicino al Bernini, lavorò alla Certosa di San Martino.
Obelisco di San Gennaro a Piazza Riario Sforza, Napoli
E’ a lui che si deve la genialità e l’insediamento del barocco a Napoli, in contemporanea con le scuole pittoriche che, direttamente dalla Spagna, attraccano a Napoli con i velieri del Ribera. Con Fonzago la città conosce intarsi di marmi colorati, dinamismo e drammaticità delle figure, così gemme si ergono nel centro storico con tutta la fantasia di un felice rinnovamento della tradizione. C’è la sua mano nella chiesa di San Giorgio Maggiore, nella Basilica di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone ed ancora nelle chiese di San Giuseppe a Pontecorvo e di Santa Maria degli Angeli alle Croci; a Santa Maria di Costantinopoli è l’essenza del barocco l’altare maggiore; è di Fanzago la guglia di San Gennaro, a Piazza Riario Sforza, eretta nel 1636 come ringraziamento per la protezione del santo sulla popolazione durante l’eruzione del Vesuvio del 1631. Il Barocco a Napoli ha già un volto ben definito ma il berninismo di Roma viene ad arricchirlo diffondendosi alle falde del Vesuvio.
Ne sancisce il successo la fantasia decorativa di quello che si afferma come cantore della nuova arte: Giuliano Finelli. Cresciuto in una famiglia di marmisti di Carrara, Finelli arrivò a Napoli dopo aver lavorato alla scuola del Bernini alla corte papalina. Lo differenziano dal maestro la maggior ricercatezza dei particolari e l’attenta cura dei dettagli, qualità che gli valsero la commissione dei lavori per i monumentali marmi raffiguranti i santi Pietro e Paolo ai lati dell’ingresso della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Il Finelli però lavorò con audacia e maestria anche il bronzo realizzando così molte dell 19 statue bronzee dei patroni della città: quelle di San Nicola, di San Francesco di Paola e di San Giacomo della Marca, quelle di San Gennaro, di San Agrippino, di San Agnello, di San Tommaso d’Aquino, di San Eusebio, di San Severo, di Santa Patrizia, di Sant’Andrea Avellino e di San Domenico. La città l’apprezzò sia nel suo animo più popolare, sia nei ceti più elevati: sue sono il busto di Mariconda nella chiesa della Santissima Annunziata, quello di Carlo Andrea Caracciolo a San Giovanni a Carbonara, la statua di Cesare Firrao nella Cappella Firrao nella Chiesa di San Paolo Maggiore, il ritratto di Gennaro Filomarino nella Chiesa dei Santi Apostoli. Suo è pure l’altare di San Francesco Saverio nella Chiesa del Gesù Nuovo arricchito dei dipinti di Luca Giordano e dalle sculture di Cosimo Fanzago.
Cappella di San Gennaro, Duomo di Napoli
Autore: Angelo D’Ambra