L’articolo pubblicato da Gigi Di Fiore (L’arroganza del potere e l’elefante di Carlo III di Borbone ) ha suscitato il nostro interesse di ricercatore e abbiamo ritenuto opportuno fornire ai nostri lettori la fonte e uno estratto delle opere di Francesco Serao relative al dono dell’Elefante.
RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “DESCRIZIONE DELL’ELEFANTE PERVENUTO IN DONO DAL GRAN SULTANO ALLA REGAL CORTE DI NAPOLI ” 1°NOVEMBRE NAPOLI-1742 –
Di Francesco Serao – Da pag. 8 a 16
AL LETTORE
Il più prodigioso e stupendo animale che abbia la Terra, sia per la sua mole e forza ; sia per la bizzarria del difegno, sul quale è stato fabbricato, o per tutto ciò che riguarda intendimento, se vale a dir così, e costume, egli è certamente l’Elefante: e IDDIO medesimo nella Sagra Scrittura venendo ad annoverare l’opere sue più maravigliose agli occhi degli uomini, dà ad esso il primo luogo fra tutte (Nel libro di Glob,cap.40 parla lddio delle più speciale fatture della sua mano onnipotente, e fra quelle dell’Elefante; il quale (secondo il comune de’Comentatori) e ivi chiamato Behemoth. Di esso al verf.14. si dice, che sia pricipium viarum Domini: ciò, che assuona, per afffine del Calmet, le chef d’oeuvre de la puissance), la qual cosa fa,che anche colà, dove quella razza di animali può aversi per famigliare e dimestica, noi sappiamo che se ne tenga grande e specialiffimo conto.
Se poi a tutto questo si ggiunga il pregio che viene dalla rarità, l’affare va un pezzo più innanti; e rimarranno appresso i più schivi e dispettosi cervelli sufficietemente giusticati que’sensi di eccessivo compiacimento e di ammirazione, con cui an guardato sempre sì fatte bestie i popoli stranieri, quando tra essi ne sia capitata alcuna per avvenura. E se tutto ciò ha luogo rispetto, ad altre nazioni, ed altri tempi; a’ Napoletani certamente, e à dì nostri, non potea presentarsi spettacolo pù giocondo, nè più sorprendente di questo e quando venne a divolgarsi che il Sultano M E H E M E T Vfra que’pochi, che raccolti altronde trattiene per pompa nelle sue stalle, avesse destinato un Elefante in dono al Re Nostro Signore, per continovazione e conferma di un’officiosa non volgar Amicizia con Lui novellamente contratta; furono rapiti gli animi ogni ordine di persone all’aspettamento di questa strana comparsa; e quali furono coll’affetto e colla fantasia a seguirlo da presso in tutto il suo lungo e difficile viaggio, cercando di lui novelle, e di ogni sua. avventura. Giunse quello finalmente nella Regal Villa di Portici dove la Corte si tratteneva, il dì primo Novembre : e,come delle cose grandi avviene, la vista di lui non che scemare il piacere e la maraviglia, sì l’accrebbe di molto, anche ne’più intelligenti: i quali consentono ormai tutti in questo, che nè per descrizioni, nè per immagini che se ne veggono; assai sovente qua e là, possa l’uomo çapire, affatto ciò che questoo,animal sia. Gli stessi nostri Regnanti sì per lo merito del donatore e del Dono, come per la cosa inverso di se, ne concepirono non ordinario gradimento:e si compiacquero egualmente di far menare tre o quattro volte al Loro Sovrano cospetto questo Elefante,e di trattenersi a veder le destrezze e i giuochi soliti a farsi da quelle Moli animate ( Espressione equivalenti a quelle, che altri anno usate nello stesso soggetto; chiamando gli Elefanti, altri tumulos carneos, altri turras animates, altri mobiles turres, altri colles gradientes. Veggasi Samuel Bocciardo Hierozoico P.1 ib.2 cap.27 pag.271); che di tenerlo esposto alla giusta curiosità di tutto il popolo. Anzi, poichè può dirsi che gli Elefanti, messo appena il piede in terre straniere, abbiano goduto ab antico il diritto di tener impiegate le penne, e i pennelli di molti, per difenderne le descrizioni, e per rap presentarne al vivo le fattezze; non potea essere che il nostro fosse ricevuto e trattto in Napoli da meno di qualunque altro.
Comandò dunque il Re çhe per l’una e, per l’altra guisa si fosse dato mano a delinearlo,e a farlo presente anche a’ lontani nella più acconcia ed esatta maniera,çhe si fosse potuto. Alla qual cosa fµrono fatte per molte ore le necessarie osservazioni su çiascuna parte, e su ciascun movimento dell’animale, sì spontaneo come ricercato ed artificioso; acciocchè nulla si fosse nella sua Descrizione inframesso, di che gli occhi nostri non fossero stati giudici e testimoni.
Con questo intendimento fandoci a dire del nostro Elefante, ci siamo guardati di entrar nella piena istoria di questi famosi animali, cioè di dire dove essi nascano, come si faccia a prendergli e domargli; a qual termine soglia giungere naturalmente la loro vita e quanto essi sieno portati nel ventre della madre; e di tutte quelle altre cose, delle quali noi non avremmo al certo potuto dire nè più, nè meglio di ciò, che possano a un bisogno far coloro medisimamente, i quali a loro giorni non an mai veduto Elefanti.
Truovansi queste cose scritte a minuto in certo storie, Memorie, e Relazioni di antichi e ugualmente, che di più moderni tempi: e Dio sa se in tutte colla convenevole precisione e vericità. Pure se qualcuno volesse esser ad ogni patto tenuto a tavola, non si curando gran cosa di quali vivande sia essa imbandita, non si rimanga per quello di fare a suo modo. Noi siam contenti di aver detto soltanto quello, che noi abbiàm veduto ed osservato; e quello di più, che dietro alle nostre prime ed avacciate osservazioni, abbiam saputo pensare così all’ingrosso. Il resto si può di leggieri raccogliere da altri libri. Ci è stata di fortissimo argine per non ridurci a compiacere taluni, che avrebbero pur voluto che in questo ci fossimo altrimente condotti, la memoria di quell’acerba rampogna che fa al Cardano lo Scaligero nell’istessimo nostro argomento: “Tu mi stai a fare, dic’egli (De Subilitate ad Cardanum Exrecitatione 204. Saepe mibi monendus es, te, subtilitatum arcana profitentem res vulgares pprodere. Neque enim fine pidoris jaeturapotes post Aristotelem, Plinium , Aelianum, Philofratum de Elephantis quicquam mandare litteris, quod aut no fit novum, aut non cafiget historias veterum), il dottore delle sottigliezze e de’misteri, e poi ti fai scappare allo spesso di bocca roba da ciabattini.
Non vedi che è una solenne e svergognata sfrontatezza porsi a scrivere degli Elefanti dopo tanti famosi antichi Autori , che ne an parlato; quando ciò cui tu rechi egli non è nè nuovo, ne tale, che possa servir di correzione alle cose dette da quegli? ”
Egli è il vero che scoverte affatto nuove non si rinverranno nè pure in questa nostra Descrizione: ma per ciò che riguarda il dettato dagli antichi,io credo, di avere per quanto senza molto indugiare si è potuto, soddisfatto al debito mio diligentemente; ora confermando le cose da loro proposte, ora rigettandole al vivo lume delle nostre presenti osservazioni. Se poi alcuna volta siam trascorsi a dar giudizio anche su quello, che non è caduto, nè potea cadere sotto la nostra vista, ciò è stato poichè argomentando da presso ci siamo distesi da quel che si è veduto a quello che parea nascer quindi per giusta e natural conseguenza.
Ma quello stesso non abbiam fatto altrimenti che colla debita moderazione e ritegno. Come che sia, sarà almeno il più giusto e lodevol frutto di questa lettura due cose: la prima una persuasione efficace dell’infinita provvidenza di Dio, che nell’Elefante spicca, per quanto debolmente può capere in umano intendimento, assai più luminosa che in qualunque altra parte delle sue opere di qua giù; la seconda, il pregare incessantemente il Signore Iddio stesso per la salute e prosperità de’ nostri Clementissimi Sovrani; la cui benefica Presenza vale a noi la pace e la letizia pubblica; la coltura dell’animo, ed ogni nostro bene. . .
Al Museo di Capodimonte, nei meravigliosi Appartamenti Reali, si possono ammirare il gruppo con la Gloria degli Angeli, personale dono di Emma, e quello con la scena dell’Elefante, donato nel 2005 da Marisa Catello, uno dei più prestigiosi della raccolta di famiglia, con un grande elefante che si ispira a quello in carne e ossa donato a Carlo di Borbone nel 1742 dal Gran Visir, il cui scheletro è conservato nel Museo Zoologico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.