Condizioni Economiche.

COPERTINE 640RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO ” SCENE DALLA VITA NAPOLETANA- DI DAVID SILVAGNI ” -Roma-1872

pag.184 a 217

CAPITOLO XI.
Condizioni Economiche.

Vi sono al mondo delle frasi fortunate; una di queste, che fino a poco tempo fa era ripetuta da tutti, e che molti ripetono ancora, suonava così: “Le provincie meridionali prima della rivoluzione godevano una grande prosperità materiale”.
Questa frase uscita di bocca a non so quale forestiero che di queste provincie non conobbe che Napoli, di cui lo abbagliarono lo splendido cielo, il mare azzurro, la campagna quasi sempre verdeggiante, la magnificenza dei pubblici edifici, il movimento stragrande della popolazione; questa frase dimostra l’ignoranza delle vere condizioni delle provincie, e la noncuranza, di conoscerle. A questa frase pomposa ora fa contrapposto un’altra frase importata dalle provincie settentrionali, cioè: « Si stava meglio quando si stava peggio » bisticcio creato da qualche cervello rétrivo e che fu reso popolare da un giornalaccio diFirenze, Lo Zenzero. Quindi nelle colonne dei giornali borbonici, come su quelli che diconsi di opposizione, s’incontra sovente un’esclamazione così concepita: « La miseria sempre crescente!” e voi leggendo e guardandovi attorno, e vedendo il lusso che vi circonda, il moto il lavorio che si propaga dappertutto e quel benessere generale che non si può celare, rimanete dubbioso se queste frasi, queste geremiache esclamazioni siano uno scherzo, ovvero un mezzo disonesto per creare quel malcotento di cui i faziosi d’ ogni colore si fanno un’arma per combattere il Governo.
Naturalmente quelle frasi ipocrite, quei lamenti perenni sono appoggiati a qualche ragionamento ed a qualche fatto che possono riassumersi in poche parole. Si dice: prima della rivoluzione la nostra rendita era al 108 al 110; il nostro erario in perfetto ordine; la marina, e l’esercito in buon assetto; la terra a buon prezzo, le derrate abbondantissime, la mano d’opera a vilissimo mercato, ed altre cose simili. Quantunque parecchie di queste proposizioni contengano in loro stesse la propria condanna, pure , non sarà mal fatto di andarne esaminando il valore e vedere se le condizioni attuali a confronto con le antiche vi stiano a disagio.
L’ex-reame di Napoli, ognuno lo sa, era cinto da una muraglia che lo divideva dal rimanente d’Italia e d’Europa. Difficile era il penetrarvi, agli Italiani, difficilissimo l’uscirne ai Napoletani. Il commercio esterno era quindi povera cosa e col sistema delle proibizioni tutti i prodotti afiluivano a Napoli come unico mercato, e quasi unica scala, almeno per le provincie mediterranee. Questa affluenza producendo un rigurgito, faceva nascere necessariamente il buon mercato, per cui era facile nutrire la grande popolazione di Napoli, composta anche essa di uno sterminato numero di provinciali, che in Napoli soltanto trovavano o speravano trovar fortuna.
I capitali che vi si accumulavano, non applicati al commercio nè marittimo nè terrestre; non impiegati in veruna Banca (chè il Banco non era un istituto di credito perché riceveva depositi ma senza interesse) affluivano al Gran libro dello Stato, e vi affluivano anche i piccolissimi capitali, poichè non esistevano nè Banche popolari, nè Associazioni di mutuo soccorso fra gli operai, nè casse di risparmio. Questa ricerca incessante di rendita pubblica naturalmente la innalzava al disopra del valore nominale, valore che si manteneva elevato anche per altri coeficenti; cioè la lunga pace, la robustezza del Governo personale di Ferdinando, e l’equilibrio del bilancio dello Stato che non solo non era oberato dalla guerra, ma neppure da quelle opere gigantesche che si compievano intanto nelle provincie Settentrionali d’Italia.
La marina militare e l’esercito avevano molti elementi personali buoni, alcune buone tradizioni e buone scuole. Ma la pace, non interrotta , aveva snervato l’esercito, il quale, umiliato di fronte ai reggimenti svizzeri, non aveva armamento nè istruzioni pari a quelli delle altre nazioni, e tutti sanno come la marina fosse sfornita di buon materiale, e gli egregi uffiziali che vi appartenevano non avessero agio di fare studii pratici con squadre di evoluzione o viaggi nelle lontane colonie.
La terra era a buon prezzo perchè gran parte incolta, e la parte coltivata non avea quella facilità di trasporti per cui i prodotti possono portarsi sopra vari mercati. Per l’uno e l’altro fatto le derrate erano a modicissimo prezzo, e quindi la mano d’opera era vilissimameute retribuita; dal che la prosperità di pochi, e la miseria di molti; miseria ributtante fomite di furti e prostituzione in città, di brigantaggio in campagna.
Ma non mi basta il dimostrare la fallacia, di quelle proposizioni da cui si giudicava della prosperità materiale del paese, sento il dovere di aggiungere alcuni altri fatti dai quali meglio. verrà chiarito il mio assunto.

La prosperità di un paese non si desume solo dal pane a buon mercato; bisogna anche avere i modi per procurarselo. Ora come poteva avvenir ciò, mentre gran parte delle terre erano incolte, sicché le popolazioni delle Calabria e della Basilicata emigravano in massa ogni anno per lontani paesi e quelli degli Abbruzzi andavano nelle provincia romane a procacciarsi lavoro! Come rendere fruttiferi i capitali quando mancavano scali al commercio, vie interne per trasportar le derrate, e le mercanzie sui mercati, quando le Puglia non avevano facili comunicazioni col centro del Regno? Nel 1860 nelle provincie napoletane non v’erano che 200 chilometri dì ferrovie e questi intorno alla Capitale per trastullo della Corte e poi comodo dei forestieri; ora sono costruiti non meno di 1938 chilometri di strade ferrate che pongono in diretta comunicazione Napoli con le provincia più fertili. Il Porto mercantile era una bicocca, e quello militare insufficiente, adesso sono ampliati ambedue, e vengono ampliati gli altri del Mediterraneo, dell’Adriatico e, dello Ionio.
I prodotti della terra, i fitti delle case sono considerabilmente aumentati; lo che compensa largamente i propretarii dell’accrescimento di alcune tasse; le quali se sono ingrossate dai centesimi addizionali delle amministrazioni comunali e provinciali, queste costruiscono nuove vie, gittano ponti, aprono scuole, aumentano i salari: sicchè l’operaio se trova il pane più caro, sa come procurarsi i mezzi per guadagnarselo. Gli impiegati (questa classe diseredata che viveva in mezzo all’avvilimento, ed era costretta à commettere basse azioni per disfamarsi) oggi sono moralizzati, e meglio retribuiti, sicchè l’ultimo di essi che nel 1860 avea 30 carlini al mese (24 lire) ora ne riceve 80.
Nè il commercio trovasi in condizioni inferiori di miglioramento. Il Banco di Napoli è divenuto Banco di credito fondiario, oltre esser Banco di sconto, e la Banca nazionale ha fondato parecchie succursali in queste provincie. I piccoli risparmi trovano un collocamento nella Banca del popolo, e nella Cassa di risparmio fondata fino dai primi giorni del nostro risorgimento con una elargizione di S. M. il Re.
Ma comprendo anch’io che con queste allegazioni generiche persuaderò pochi, sicchè seguendo il metodo che ho proposto finora al lettore, lo vorrei pregare di fare un giro con me, per vedere alcune cose coi propri occhi e toccarle con le proprie mani. Non si spaventi il lettore gentile ad una simile proposta, e non creda che io voglia condurlo attorno per tutte le provincie meridionali: questo non era il mio compito, nè egli avrebbe la pazienza di seguirmi; si tratta di profittare delle ferrovie che legano Napoli alle Provincie, per fare una corsa, rapidissima nei luoghi più prossimi e vederli in un colpo d’occhio o, come direbbero i francesi, a vol di uccello: Noi torneremo subito a Napoli, ed il viaggio non durerà che poche ore.

Prendiamo, se vi piace, la ferrovia di Salerno, che fino a Pompei era già costruita, ed ora corre nella valle che separa la penisola, Sorrentina dal Salernitano. Non farò una descrizione di questi luoghi pittoreschi, di cui artefice fu la natura; mi fermerò alcuni minuti a Cava, luogo ove i Napoletani vengono a villeggiare od a cacciare beccacie. La città è grande e pulita. Pei portici rassomiglia ad una città di Piemonte, per la deliziosa postura ad una città elvetica. Vediamo soltanto le cose nuove. Sono sorti due graziosi giardini ed una villa; un teatro, due nuove scuole, un asilo di infanzia, un bello ospedale civile, parecchie case, eleganti caffè ed amenissime passeggiate. Avanti. Siamo saliti, ora conviene discendere dal ciglio franoso di un monte fino alla marina. Si costruirono grandi muraglie, viadotti, ponti; opere miracolose dell’ingegnere Napoletano Cottrau, che ci conducono a Salerno. Voi che lo vedeste prima del 1860, naturalmente non lo riconoscete. Una amplissima strada nuova vi conduce dalla stazione in città. La via principale è stata rifatta, ampliata, lastricata. Qui pure trovate giardini, acque correnti, nuovi edifizi, istituti educativi, porto ingrandito, parecchi opifici, un teatro magnifico elevato di pianta, e tutta la lindura d’una città nuova da farvi dimenticare il duomo e,qualche altro avanzo dell’ architettura normanna. Qui non si tratta di sola prosperità; v’è ricchezza.
Siamo di ritorno a Napoli; poniamoci di nuovo sulla ferrovia, ma non abbandoniamo mai la marina per spingerci fino a Castellamare. Non mi fermo a Portici per farvene ammirare le delizie reali, richiamo soltanto la vostra, attenzione sulla fabbrica di Pietrarsa, ove lavorano migliaia di operai, e s’impiegano parecchi milioni da una Società che ha in costruzione la più grande macchina a vapore che siasi mai fabbricata in Italia. Questa macchina verrà applicata come motrice alla nuova corazzata Il Re d’Italia. Una fabbrica, che prima era di aggravio pel Govetno, ora forma un cespite pel pubblico tesoro. Andiamo avanti. Siamo a Torre del Greco, tutta popolata di uomini che vanno sulle coste d’Africa a far la pesca del corallo, e con esso la pesca di molti quattrini, mentre altri tre o quattro mila operai stanno chiusi negli opifici a lavorare il corallo, che poi si vende a Napoli.
Avanti ancora. La locomotiva si arresta a Torre Annunziata. È un cittadone lungo lungo, non sempre pulito, ma , dove s’importano ogni anno circa 600.000 quintali di grano per essere ridotti in farine, in paste e maccheroni. Vi sono in tutto 190 di queste fabbriche, che arricchiscono il paese. Le granagie impiegate ,nelle fabbriche giungono talvolta ad 800.000 quintali e di questi una buona metà vi giunge per mare, sicchè il Comune ha riputato esser troppo piccolo il suo porto, e sta attorno ad ingrandirlo, e con un sussidio della Provincia vi sta spendendo quasi un milione. Il beneficio che fa a se stesso il Comune di Torre Annunziata tornerà a vantaggio anche del vicino Gragnano, di cui le famose fabbriche di maccheroni giungono al doppio di queste che sono in Torre Annunziata! Le arti della pace non fanno però dimenticare quelle della guerra. In mezzo alle fabbrich di maccheroni, v’è una fabbrica d’armi col doppio motore del vaporo e delle acque del Sarno, ove lavorano 3.000 operai, ora occupati alla trasformazione dei fucili dell’esercito.
Proseguiamo a Castellamare. È tempo di bagni marittimi e minerali. Questi ultimi attirano ogni anno circa 17 mila forestieri. La città s’ingrandisce, la via della marina si fa più lunga alcune vecchie case vengono atterrate, e così sono posti in diretta comunicazione i due cantieri militare e mercantile. Il porto s’ingrandisce, e coi sussidi del Governo e dei Comuni del Circondario, vi si spenderà un 600 mila lire. Nel cantiere militare, ove lavorano circa tre mila operai, sono in costruzione varie navi da guerra, e vi si ammira una magnifica, fabbrica di cordami; nel cantiere mercantile si costruisce una fila di bastimenti, di cui ogni anno aumenta il tonnellaggio. Nel 1863 furono costruiti 13 bastimenti non contando i molti inferiori a 40 tonnellate per un tonnellaggio complessivo di 3848. Nel 1864 se ne costruirono 14 di 4494 tonnellate. Nel 1865 raggiunsero lo stesso tonnellaggio. Nel 1866 furono costruiti 30 bastimenti di 11565 tonnel¬late, e nel 1867 e 68 si mantenne elevata la stessa cifra. Però nell’ anno 1868 fu varata la nave Marchese Gualterio (nome impostole in ricordanza di chi aveva incoraggiato potentemente quei lavori di 850 tonnellate) la più grande ed elegante che sia mai stata costruita in Castellamare. Si veggono in Castellamare parecchie concie di pelli, fabbriche di robbia, di maiolica, di olio, di spiriti, ed una di Tela Olona del Signor Maresca, che per bontà può gareggiare con le migliori di tal genere di Francia, ed Inghilterra. E la città a questo soffio di vita industriale che la rinsangua, si fa, più linda, abbellisce le sue passeggiate, le rallegra con ameni giardinetti e con un grazioso teatro acconcio alla grandezza del paese.
Ora dobbiamo tornare a Napoli: ma siccome mi pare di vedervi far le boccaccie udendo di dover rifare parte della strada già percorsa, vi prego a salire con me in vettura e percorrere rapidamente, la penisola Sorrentiúa. Non ci fermeremo in nessun luogo, giacchè niuno chiamerebbe in modo speciale la nostra attenzione. Per tutto è sparsa la vita la più attiva, per tutto vedreste terre ben coltivate ad agrumi od olivi; luoghi pittoreschi, vallette deliziose, e precipizi ghe conducono al mare, in fondo ai quali, tra scoglio e scoglio, in mezzo ai burroni, voi vedreste alcuni piccoli seni ove l’industria delle popolazioni ha saputo creare dei cantieri per fabbricare battelli, navicelle e bastimenti. Quel che avete veduto sulla spiaggia di Castellamare, lo rivedreste nella marina di Vico Equense, di Meta, di Massa lubrense e di Sorrento: e tra quella gente trovereste costruttori di 1a classe, carpentieri capacissimi, e capitani di lungo corso. Non vi parlo di Sorrento come luogo di villeggiatura, frequentato da migliaia di forestieri, nè delle varie fabbriche di utensili, scatole, leggii, scaffaletti, ecc… di legno intarsiato, che sono cose notissime, ma che vi danno la misura della operosità industriale di quella popolazione. Solo mi piace farvi osservare che Sorrento è uno dei più deliziosi paesi di questo golfo, e che i Sorrentini, inveoe di stare colla pancia all’aria a godere il mare e mangiare gli aranci, lavorano tutto il giorno; e vivono agiatamente e tranquillamente. Ora prendete posto con me sul battello a vapore la Risposta, che fa il giro del golfo e visitiamo insieme rapidamente le isole che lo ingemmano. È una gita di poche ore, come sarebbe una passeggiata sul Lago Maggiore.

Il vaporetto corre come una freccia da Sorrento a Capri, e voi appena vi accorgete di aver traversato il golfo. Io non vi condurrò a vedere nè la grotta azzurra, nè le ruine del palazzo di Tiberio, opere o della natura o della vetusta antichità, di cui i moderni non hanno alcun merito; mi contento di farvi osservare invece come di questo arido scoglio la mano dell’uomo ha potuto fare un terreno di deliziosi vigneti che producono vino eccellente, e richiamo la vostra attenzione sulla pulizia di quelle casuccie e l’amenità delle villette, e la grazia delle robuste conduttrici d’asini e muli che vi menano sulla vetta del monte, tra precipizi spaventevoli, colla calma coraggiosa delle guide alpigiane.
Imbarchiamoci di nuovo ed andiamo ad Ischia. Quest’isola prediletta dalla natura, molto più grande di Capri. Ha lunga e sinuosa spiaggia, colline e vallette, industria agricola, industria di pesca, acque termali copiose e vari stabilimenti balneari pubblici e privati pei poveri vi si coltiva la vite con successo, ed il
vino che se ne ritrae si vende a Roma. Vi si pesca il tonno,lo che produce una vera ricchezza, pel piccolo comune di Lucco ameno. Si fabbrica una grande quantità di panieri e cappelli di giunchi, e tutta la gente vive bene contentandosi di onesti guadagni coi forastieri.
L’isola è tutta quanta sparsa di villette, e di eleganti casine, e di passeggiate deliziose, e benchè non vi siano vie carrozzabili, le strade della campagna che uniscono i vari Comuni tra loro sono sempre frequentate da leggiadre comitive.
Ora in, quest’isola si apre una grande fabbrica, di prodotti chimici di, cui molte materie devono essere apprestate dalle varie sorgenti termali abbondantissime di minerali. Le naturali ricchezze s’aumenteranno per via di questa nuova industria.
Ma la Risposta ci attende e conviene volgere le spalle a Ischia per andare a Procida. Quest’isola, patria, del famoso agitatore che sollevò; gli spiriti dei meridionali contro i Francesi, e patria dell’illustre economista Scialoia, è molto simile a Capri, trasformata però maggiormente dalla mano dell’uomo il quale, sdegnando di vivere sopra così breve spazio di suolo, si è lanciato nel mare donde può abbracciar la terra tutta.
La breve spiaggia,che in parte circonda l’isola, é seminata di barche in costruzione, dai modesti battelli e dalle piccole golette alle grosse navi, agli eleganti bricks. L’ isola è popolata di uomini, i quali sono tutti in mare, e cercano nel lontano Oceano quella ricchezza che è loro negata dal suolo. Le, donne vivono in contemplazione, in devote preghiere, in un ozio beato, del quale, i maldicenti dicono che, profittano i preti. In questi ultimi tempi vi penetrò l’istruzione letteraria, ed ora quel Municipio operoso vi ha fondato una scuola nautica e di costruzione navale.
Il camino della Risposta fuma e c’invita al ritorno, conviene adunque imbarcarsi di nuovo, e compiere il giro del Golfo. Volgendo le spalle a Procida, lasciamo da lato il Capo Miseno; e poi Baia, sparsa di ruderi, di bagni, di tempî, e di teatri che attestano l’opulenza de’ tempi lontani; e poi Pozzuoli colle suedeliziose murene, e le ostriche del Fusaro, e lambiamo Nisida che voluttuosamente sorge come Venere dalla schiuma del mare, e ci accostiamo a Posilipo ove cominciano le ville fantastiche dei signori napoletani che si specchiano nel mare, il quale s’insinua fra gli scogli, penetra fra le grotte, e batte leggiadramente i fianchi di piccoli scali e di amenissime spiaggie.

Vediamo allegre famigliuole ché si deliziano sul mare a vogare o pescare, ed altre che le osservano dalla sponda; e ci giungono le grida festose di numerose brigate che vuotano i loro bicchieri all’osteria dello Scoglio di Friso. E poi vengono le villette di MergeIlina, tutte cosparse di fiori, e da ultimo i bagni vagamente disposti a terrazze, a casine, a tempietti, a pagode di varie forme e colori, che escono dalle acque azzurrine, lungo tutta la spiaggia di Mergellina al Carmine. Sono ben sessanta stabilimenti ove vanno a rinfrescarsi quotidianamenta, più di cinquantamila persone, le quali, nella stagione estiva, dal far del giorno fino alla sera, ingombrano tutta la riviera di Chiaia e la marina in migliaia di carrozze che vanno, e vengono, in centinaia di omnibus, che le conducono da un capo all’altro della città. E tutta questa gente si riversa nelle botteghe dei merciai, nei caffè, nelle locande e nelle trattorie, sicchè noi, prendendo terra all’Immacolatella, stentiamo a trovare, un posto da un Ristoratore per rifocillarci e prender riposo. Perchè dopo due corse in ferrovia ed un giro pel golfo, io e voi sentiamo bisogno di riposo e di ristoro, e ci è caro prenderlo qui in mezzo a tanta vita che attesta l’operosità e la prosperità del paese, di cui la pubblica ricchezza aumenta ogni giorno. Oggi voi stesso avete potuto osservarla in Napoli e nei luoghi circonvicini, e fra poco l’osserverete in luoghi più eccentrici, ma non meno animati da una vita gagliarda, materiàle e morale.

CAPITOLO XII.

Condizioni Economiche (seguito)

Ora che il lettore si sarà convenientemente riposato, mi sembra giunto il momento d’invi¬tarlo di nuovo a ‘trascorrere con me gli altri paesi ,che ‘sono congiunti a Napoli per mezzo della ferrovia. Le corse saranno rapidissime, e noi non ci tratteremo quà e là che il tempo strettamente necessario per dare uno sguardo alle cose più importanti e sopra tutto alle cose nuove.
Partiamo, se vi piace, per la linea delle meridionali, che liniscé, passando per Bene¬vento ed Arianó, le* .fertilissime Puglie con Napoli. Prima ‘che venisse costruita questa li¬nea, per andare a Lecce da. Napoli, s’impiega¬vano sessant’ ore di diligenza; con -le pessime vetture ordinarie che la notte non viabgiavano,
ci volevano otto giorni, e si spendevano circa cento lire. Ora si va aLeccé in diciasette ore >e si, spendono quaranta lire (secondi. posti).
Prima che si costruisse ‘questa ferrovia era ,assai più facile e più breve da Napoli il con¬-dursi in Inghilterra od in Ungheria che nelle provincie adriatiche; adesso a Napoli trovate migliaia di Pugliesi che vanno- e vengono ed i prodotti di quelle.provincie si trovano in gran copia ed a buon mercato. Voi potete avere sul -vostro desco nnn solo gli oliis i legumi i for¬màggi e le paste ffl Bari e di Lecce, ma le ,ostriche ed i frutti di mare, pescati il giorno .innanzi nel mare piccolo di Taranto. Siamo in viaggio: passata la galleria sotto Poggio Reale, ci troviamo in mezzo ai vigneti di , Ca¬~soria, e vediamo da lungí i, pascoli dì Cardito.
. La linea è ingombrata da numerosi con vogli; è la festa di S. Antimo, che si celebra nel paese di questo nome. Migliaia di conta¬-dini con pochi soldi vi si recano, profittando di una 4.a classe posta su dalla Amministra¬-zione delle meridionali.. In mezzo però ai con¬tadini voi vadete non pochi cittadini, ghiotti della musica che si eseguisce nel tempio, e forse anche della farsa che si ripete ,sopra un teatro eretto in mezzo alla piazza. 2 il martirio di Santo Santantimo (così dicono i villani) che dai festaiuoli si fa rappresentare pubbli-camente. Se ciò non vi darà una favorevole idea della civiltà di questi paesi, ove le Auto¬rità tollerano ancora queste ignobili commedie, non potrete non rimanere sorpresi udendo in chiesa la musica del De Giosa, eseguita dai più bravi artisti di canto dtl Teatro • S. Carlo, e nel notare l’affluenza di tante migliaia di vil¬lani con le piume nel cappello, e di donne co¬perte di fiori che primà ci venivano a piedi ed ora in ferrovia.. La locomotiva fischia; segui¬tiamo la strada – e fermiamoci un istante in A¬versa. Le terre circostanti verso il mare da, Vico di Pantano a Mondragone, e dal mare ~ Capuà erano coperte di acque stagnanti da cui esalavano pestiferi miasmi. I bonificamenti fatti precedentemente, ed. i canali aperti allo scolo delle acque non avevano ancora immegliato le condizioni di questa vastissima plaga tutta im¬paludatà. Ora questa è una delle contrade più fertili della provincia, attraversata da 2.9.0 chi¬lometri di canali, arginati ed orlati di pioppí, olmi e pini.
Le terre sono asciugate , arato, sparse di cascine e di case campestri, solcate da 180 chi-lometri di nuove strade; per le quali opere di bonificamento si spendono annualmente circa 400 mila lire. Interi paesi sorgono conio per incanto, e prosperano – meravigliosamente. La città d’ Aversa, abitata da possidenti, coltiva¬tori, ed industriali di derrate a;ricole, si . va ar¬ricchendo ogni giorno più; le fortune dei privati si moltiplicano. La città, fondata dai Norman¬ni, era stata dotata di istituti di beneficenza dai vari dominatori, e sopra tutti de; Giovan*. na II piissima regina, e. donna poco costumata, la quale sperava così di guadagnarsi il cielo. Il più notevole istituto era queallo dei .qet¬tatelli, detto dell’ Annunziata. Questo compren¬deva varie opere pie; cioè, la ruota e perciò i baliatici; un ospizio per le trovatelle, un ospe¬dale` maschile e femminile e la chiesa. La rendita annua toccava quasi le 200 mila Ere. Col tempo 1’istituzione aveva degenerato: il clero si era impadronito di tutto. Dentro aveva collocato delle monache’ oblate, fuori esso godeva la ren¬
dita sotto la. forma di 17 mila messe (delle
quali credo non se ne celebrassero . mille) e le gettatelle chiuse e mescolato con ogni specie di gente là entro vegetavano nell’ ignoranza e nella miseria, in luridi e sfasciati turruri, piene di vizi e di superstizioni. Ora l’ istituto è passato nelle mani de’ laici : è stato ricostruito dalle fondamenta, e sono state se¬parate le .fanciulle dalle adulté e dalle vecchie, che voàliono.vivere e morire nel .lezzo; vi si comparte una istruzione adeguata, . si sono in¬trodotti, i lavori donneschi, ,e con essi l’ordine la disciplina e la nettezza. Tutto_ è pieno di luce, terso, e fragrante di fiori e di .piante sem¬pre verdi. I preti stanno in chiesa, e le oblate nei loro covili a cui le cattive abitudini e 1′ ignoranza le hanno affezionate.
Altri istituti pii sono stati riformati. , come San’ Lorenzo – per: gli orfani, al quale sono state aggiuntè scuole di disegno per gli operai; Sant’ Agostino, diretto dalle Figlie della Carità, che ha circa 200 orfanelle.,povere -ed ove. è stato annesso un educandato per le fanciulle agiate; furono aperte scuole, elementari, ed un Asìlo d’in¬fanzia; finalmente sciolta l’amministrazione del Manicomio, se n’ é andata la riorganizzazione del medesimo ad un Commissario regio, ,perché modelli questo istituto degenerato ,sopra quelli migliori d’Italia e d’Europa. .
Proseguiamo il nostro viaggio.
Non ci fermeremo a Marcianise, paese agricolo per eccellenza, che ora sta rifacendosi ed abbellendosi «di nuove opere pubbliche. e di istituti educativi. Come in Aversa tutti sono a~~ricoltori e possidenti; e quelli che non lo sono, ricevono una quota; di antichi demani feudali, – secondo una legge del 1803 richiamata in vi-gore nel 1860. Se per fortuna voi foste un mi-serabile,, e poteste vantare di discendere da qual¬che villano che abitò in – questi antichi feudi, venite a Rtarcianise e diverrete un proprietario di terre senza* tentare una-‘sedizione popolare, nè correre il rischio di perirvi come i Gracchi.
Lasciamoci alle spalle Casérta, per ove do-vremo ripasgare, e indirizziamoci per la valle di Maddaloni verso Benevento. Non vi parlo delle opere d’arte, dei tunnel, dei ponti sul Ca¬lore, ma vi prego soltanto di_ osservare il mo¬vimento dei viaggiatori che da tutte le parti corrono a tuffarsi nelle acque termali che spor¬gonó presso 1′ antica Telese. V’ è uno stabili¬mento provinciale ed uno privato~ testè aperto al pubblico.
La ferrovia agevola ai bagnanti il modo di condursi* da luoghi lóntanî a. queste acque; sono migliaia di pergone che’per vari mesi popolano quella valletta, e consumano le frutta del Ma¬tese, ed* i prodotti di Piedi* monte. Seguitiamo: il territorio che, traversiamo adesso è la provin¬cia di BJnévento, creata recentemente ‘dal cont). Torre, attuale prefetto di Milano. Questo avanzo di un vasto e potente ducato lonJobardo, caduto in mano della Chiesa, era divenuto un miseró feudo, nè avrebbe potuto aspirare neppure a quei vantaggi che pur godevano le provincie governate dai Borboni. Ora unito a Napoli per poche ore di ferrovìa, congiunto alle Puàlier rinasce à` vita nuova, vi si costruiscono strade e si Abbricano parecchie case, sicché sorge un Senevento nuovo presso ~ la stazione ferroviaria, per un atto di magia da disgradarne quelli che compivano le streghe sotto il Noce famoso.
Il convoglio si ripone in via, e ci conduce negli altipiani dell’Appennino per valicarlo fra le gole delle montagne o trapassarlo nelle lun¬ghe gallerie. Ci lasciamo ai fianchi Ariano, che è troppo in alto per tentarvi di visitarlo, e d’un tratto sbucando da un lungo tunnel, ci troviamo nel vallo di Bovino. Questo nome fa mettere i brividi ad udirlo. Era antico albergo di gras¬satori e banditi, e fu finor a poco tempo fà corso da ladri e da briàant;. Il paese boscoso, era quasi deserto; le popolazioni che abitavano i luoghi elevati non osavano passarvi che in grandi comitive. Queste stesse, popolazioni hanno contribuito alta costruzione della ferrovìa. col lavoro delle loro braccia. Interi paesi hann) preso paxte- alle opert, ed in breve tempo 1′ intera linea è stata compiuta, e si’ è veduta fian¬theg;iata di easolàri, di osterie e di villaggi.
Il fischio della 1ocomitiYa che quei ter¬razzani guardavano stupefatti e quasi atterriti, li ha chiavaati a vita operaia ed ha loro addi¬tato la via delle Puglie la via del mare, la via delle ricchezze. Ed infatti trapassato Bovino, vi si presenta innanzi una sterminata pianura tutta popolata di uomini e di armenti; siete nel’ Tavoliere di Puglia, già proprietà del Dema-nio, ora divenuta proprietà: libera degli antichi enfiteuti. Spazzata prima dai briganti che vi scorazzavano a cavallo fino alle porte di Fobgia, solcata da nuove strade, una delle quali, opera del nostro Genio militare, ha attraversato il Gar¬gano, congiunta per mezzo della ferrovia da un lato con Ancona e Bologna, dall’altro con Bari, e Brindisi e Lecce. fino al capo di Leucade e che a Bari si biforca per Taranto : ed omai si congiunge alle Calabrie; questa regione ha rad¬doppiato i suoi prodotti e triplicato la propria rendita; e Foggia* con le nuove fabbriche, le vie pulite e ben lastricato, i pubblici negozi, le lo+ . cande, le trattorìe e la villa pubblica che arieg¬gia alla villa nazionale di Napoli ha preso unn aspetto casì animato e brillante da. non lasciarvi desiderare nulla, . salvo il ghiaccio, i grissini e il panettone.
Ma è tempo ‘che torniamo a Napoli, e se¬volete profittare di un convoglio notturno, po¬tremo all’alba svegliarci in Napoli dopo. avere dormito saporitamente nelle grandi vetture-vagoni meridionali.
Riposati convenientemente, potremo rimet¬terci in ferrovìa seguendo la linea _percorsa dalle romane. La prima. fermata si fa in Acerra, la patria di Pulcinella. .
L’industria agricola del paese si versa prin-cipalmente sulla coltivazione della robbicc, di cui le radici producono, quel colore rosso che serve a tingere i calzoni dei soldati francesi.
Quando 1’esército napoletano stesso li por¬tava di quel colore, questa indiistria rendeva, bene; ora che i soldati non li portano più, la. stessa industria rende moltissimo in grazia delle facili comunicazioni e del prezzo basso dei tra¬sporti. Acerra si sta tutta rifacendo. Mentre scrivo si. aprono nuove strade,, si costruisce la, casa comunale, il carcere mandamentale, si la¬stricano le vie e s’illuminano, sono in costru¬zione ben settantaquattro case, e si Abbrica una, Chiesa nuova di cui ‘già è lanciata in aria un ardita cupola. Per tutto ciò si spendono parec¬chie centinaia di migliaia di lire; lo che attesta, ampiamente della miseria sempre crescente di questi paesi.
A Cancello, la ferrovia si biforca per con¬durci a Nola, e di là a Palma, Sarno, Laura, e fra poco in Avellino. La patria di Giordano Bruno è piena di moto e di vita industriale; ed anche qui si sta ricostruendo la cattedrale, bruciata cinque anni fa da un Erostrato in sedicesimo, a cui è mancato però il coraggio di tramandare ai posteri il suo nome.
Tutto questo tratto di paese tra Cancello e Maddaloni è coltivato a’grano, grano-turco, viti, olivi, pini, gelsi, agrumi, canape e cotoni; poichè questa provincia della Campania-felice ha il raro privilegio di poter esser coltivata a
risaie e canape come la Lombardia e la Ro-magna, a cereali come le Puglie, a viti ed olivi come il Lazio, a cotoni ed agrumi come la Sicilia.
Proseguiamo. Maddaloni è un grosso paese; pieno di ville e di’ giardini. V’è una scuola pei figli de’ militari ed un Collegio-Convitto per gli studii classici, sorto sopra un Monastero di Conventuali. Il Liceo è governativo ed è fre¬quentato da gran numero di alunni che ricevono buon insegnamento (2). Avanti ancora. Siamo a Caserta. Non vi parlo della reggia, nè del parco, nè della magnifica cascata di acqua. Mi piace accennarvi soltanto all’Instituto agrario;
alla scuola normale maschile, alle scuole gin¬nasiali ed elementari, all’Asìlo d’infanzia; insti¬tuti nati dopo il 1860, sussidiati largamente dalla Provincia. Avanti ancora. Siamo a S. Ma¬ria Capua-vetere. Qui pure tacerò dell’anfiteatro, del Cripto-portico e di altre antichità. Desidero soltanto che osserviate la terza esposizione ip¬pica, per cui vedreste migliorate le razze ca¬valline di questa provincia; le concie di pelli, i mulini 1 magazzini nuovi, ed i magnifici muhni a va¬pore, che attestano l’agiatezza delle famiglie di questa città. A poca distanza troveremo Ca¬pua. Qui pure non vi condurrò nè al Duomo, nè alle Caserme, nè all’Armeria. Mi piace ri¬chiamare la vostra attenzione sugli istituti edu¬cativi, e sopra tutto, sopra lo stabilimento del¬la Annunziata,* simile assai a quello di Aversa, ora per opera de’ solerti cittadini trasformato compiutamente. Contiene una casa di lavoro per le gettatelle; un asìlo d’infanzia, scuole ele¬mentari un educandato, ed una scuola normale femminile, per cui l’istruzione vi è compartita a più di 300 alunne.
Frattanto la città si abbellisce, si rifà il giardino, pubblico, il teatro, la strada che con¬duce al ponte sul Volturno, e quantunque questo luogo fortificato abbia assai scemato della sua importanza, nell’arsenale militare sono addette al lavorio delle cartuccie circa 500 donne che vengono pagate col soldo che prima era desti¬nato ad un sAto-tenente.
Proseguiamo ancora, e troveremo Teano con le sue scuole, il suo ginnasio fiorente, (3) le sue ferriere, i suoi mercati frequentatissimi e le sue fiere di bestiame.
Avanti, chè il convoglio parte; vedremo Cassino (l’antico S. Germano) che si rifà inte-ramente che tiene fiore affollate, che dà anima a tutta quella vallata a cui sovrasta il gigan-tesco Montecassino con la sua Badia, l’archivio storico, la tipografia e due collegi, uno laicale e 1’altro ecclesiastico.
Deviando un poco dalla linea ferroviaria troveremo in Sant’Elia Fiume-rapido, cartiere, lanifici, filatoi di lana, animati dalle acque; e in Atina tre cartiere, e finalmente in Arpino, antica sede dell’industria lanaria, vedremo ven¬titre lanifici che producono annualmente cir¬ca 500, 000 metri di tessuti diversi pel valore. di 3, 000. 000 1 i lire, che danno lavoro a quasi 1000 operai.
In Aree, Sora ed Aquino troveremmo altre fabbriche di diversa specie e di non minor im-portanza; ma di questa, non parleremo: non posso tacere ugualmente d’Isola di Sora. Que¬sto grazioso paese, già feudo dei Boncompa,gni, sorge in mezzo alle -acque cristalline del Liri che si precipitano spumanti a’ piedi del castello baronale, trasformato in un gran lanificio dal deputato Polsinelli.
Intorno e dentro l’Isola vi sono ventisei opifici di panni, carta, ferro, parati da stanze, ecc. senza contare le fabbriche minori. Attorno a questi opifici vi sono impiegati ben 2400 operai, e le sole cartiere e lanifici danno una produzione annuale di 4, 200,000 lire, con un capitale di circa dieci milioni. I prodotti sono venduti a Napoli, a Firenze, Genova, ecc, poiché gareggiano coi migliori che ci vengono di Fran¬cia, sia per la bontà delle macchine e degli utensili, che della lavorazione. Questi stabili-menti.sono circondati dalle ville e dai giardini degli opulenti proprietari che con la elegannza delle loro casine, ed il lusso degli equipaggi mostrano saper trarre utile e dolce frutto dai loro guadagni.
Usciti da guesta piccola Manchester, poi¬chè non vogliamo proseguire sulla ferrovìa che ci condurrebbe a R,óina, è mestieri retrocedere, ma siccome il tempo ‘è buono e le strade sono si¬cure, potremo lasciara a Capua la ferrovìa ed
in vettura fare una rapida corsa a Piedimonte. A questa proposta mi sembra di vedervi fare le boccacce, poichè se vi acconciate a lasciare le ampie vetture del convoglio ferroviario, vi atterrisce l’idea di dover guadare due volte il vorticoso Volturno per giungere a Piedimonte• Ma rassicuratevi, perchè voi lo passerete sopra due magnifici ponti costruiti tostò dalla Pro-vincia, ed in breve ora vi troverete ai piedi delle grandi montagne del Matese, ove sgorga il Turano in doppio rivo, e di cui le acque ar-gentine animano parecchi opifici.
Di questi non osserveremo che la fabbrica di filatura e tessitura del sig. Egg, che occupa più – di 500 operai, che . col mezzo di cinque motori à turbine danno attività a 13 mila fusi e 186 telai, i quali trasformano sei mila quin¬tali di cotone greggio in filati e tessuti pel va¬lore approssimativo di lire 1.800.000.
Lasciandoci alle spalle Piedimonte , pel piano di Caiazzo infertilito dalle acque del Volturno, noi giungiamo nel -rinomato castello di S. Leucio, ove esiste un grande stabilimento per setificio e cotonificio fondato da Ferdi¬nando IV. L’antica colonia ora é divenuta mu¬nicipio libero e ricco, dacchè il Governo ha ce¬duto la fabbrica al Comune. In questo opificio, fornito di macchine con motore idraulico ed a vapore, lavorano più di 500 operai, di cui il prodotto annuale è circa di due milioni di lire. I Leuciani, oltre alla fabbrica, possengo¬no a titolo gratuito, case, ville, strade e ma-gnifiche piantagioni, e siccome in questo mi-sero Regno d’Italia non si sa più come vivere, se voi poteste provare di discendere da uno degli antichi coloni, venite a S. Leucio ed avre¬te largamente tutti i mezzi atti alla vita, e diverrete d’un tratto possidente e socio di unn grande stabilimento industriale.
Ma è tempo ormai di tornare a Napoli, ove è mestieri gittare un’ultima occhiata sul movi me nt ,) della grande metropoli. Tra la sta¬zione della ferrovia, il mare ed il ponte sul Sebeto, sopra una base di circa due chilometri, che va stringendosi verso Portici, è sorta una città nuova, una città industriale. Quivi vedre¬ste centinaia di fumaiuoli che c’indicano l’atti¬vità delle fabbriche sottoposte. Ivi il Guppy, Oomens, il Patixton ed altri hanno grandi fon¬derie di ferro, e di macchine su cui prinieggia un opificio succursale di quello di Pietrarsa. Poi’ vedreste concie, vetrerie e grandiosi fabbriche di cera e di maioliche, delle quali ultinie si fa un lavorìo sterminato per fornire tutti gli impiantiti delle case di Napoli. E poi fabbriche dî prodotti chimici, di carbone artificiale, di armi, di utensili, di feltri, di pannilani, fra cui pri-meggia il grandioso opificio del sig. Sava. In¬fine trovate grandi forni per cuocere mattoni, bigattiere, seghe a vapore per tagliare marmi e per tagliar legnami ed il cantiere del nuovo porto mercantile. Sparsi in questi opifici. sono più di dieci mila operai che si adoperano a render fruttifero un capitale di cinquanta a sessanta milioni. La stazione della ferrovìa chee lasciammo testè assai simile agli avanzi cadenti di Pompei, si va ricostruendo, circondandosi di portici, gallerie, giardini e fontane, e sta pure costruendosi un nuovo tronco di ferrovia che~ leghi questa stazione centrale colla strada fer¬rata di Salerno.
Il corso Garibaldi è compiuto. La piazza Principe Umberto è sgombrata e si’ apre la, nuova via che deve condurci a Foria. Quivi i nuovi giardini e le acque 1 rinfrescano quell’am¬plissima contrada sulla quale ora sbocca la nuova, e grandiosa strada del Duomo, che fiancheggiata. da superbi palazzi fino innanzi alla Cattedrale,. sta proseguendosi ora verso la marina. Tre nuove. vie sono aperte tra Toledo e la strada Costantino¬poli; e presso gli studi è rettificata la salita dell’ Infrascata, che mena alla lunghissima via Vittorio Emanuele, la quale, quasi sospesa in aria da muri di sostruzione ed arditissimi ponti, è lastricata, illuminata e fiancheggiata da case e palazzi. Di lì scendendo a Mergellina ci tro¬viamo presso la villa nazionale alla riviera di Chiaia di cui si è rifatto il marciapiede Qd il trottatoio pei cavalli; ed appresso si lavora ad ampliare 1a strada tra la villa, il mare e Santa Lucia, donde può ora salirsi comodamente a Pizzo Falcone per la strada carrozzabile detta Grottone di Palazza. Lassù, a Piazza Castello, a Fontana Medina ed altrove trovansi nuovi e graziosi giardini, nuove fontane fra, cui pri= meggia quella monumentale della Immacola¬tella, e l’altra della Sirena partenopea presso la stazione. Ed un monumento a Dante sorge innanzi al liceo Vittorio; ed un altro che ri¬corda gli eroi di Lissa, presso il mare. Mi¬gliaia di operai lavorano attorno alle costru¬~ionî pubbliche e private ed altri lavori si ap¬parecchiano coi nuovi mercati, di cui sono già allogati gli appalti, colla condotta delle acque, il prosciugamento del lago di Agnano, ed il bonificamento dei vecchi quartieri. Ogni giorno si aprono nuovi magazzini, e si adornano a festa, ogni giorno le arti prendono maggiore incremento, aiutate da un commercio vigoroso; gli artigiani migliorano condizione, – la povera gente mette le scarpe ai piedi, edril Lazzarone incalzato dalla civiltà progrediente negli ultimi suoi trinceramenti, diviene un oggetto di cu-riosità di cui il tipo si va perdendo dalla me¬moria delle nuove generazioni.

CAPITOLO XIII.
Riepilogo.

Abbiamo veduto quale era lo stato di Napoli mezzo secolo fa, quando, uscita da una rivolu¬zione che aveva commosso il mondo, e cambiate le basi della società dopo un governo liberale di un decennio, era ritornata ad una vita che rendeva immagine del profondo quietismo del secolo precedente. I costumi del popolo, le abi¬tudi-nù della Corte, le esigenze del clero, l’in¬solenza dell’aristocrazia, non erano gran fatto alterate, e se le code erano tagliate e la cipria era scomparsa dai toupés delle signore, la rea¬zione aveva fatto rinascere la burbanza dei gentiluomini e delle dame, e l’abbiezione della plebe. Però molte leggi rimaste quali furono pubblicate sotto il Governo di Gioacchino Murat,