‘O Casadduoglio: perché il salumiere a Napoli si chiamava così?
Viviamo ormai nell’era delle grandi catene di supermercati dove è possibile trovare tutto, in qualunque momento. Fortunatamente in alcuni luoghi, come a Napoli, le persone tendono ancora a fare la spesa nei piccoli negozietti di fiducia. In particolare è la salumeria che ancora possiede il monopolio degli acquisti dei napoletani: un luogo in cui è possibile trovare tutto, dagli affettati ai formaggi, dalla pasta al pane.
Qualche anziano potrebbe ancora oggi chiamare il salumiere “casaduoglio” o “casadduoglio”. Questo termine antichissimo risale a quando questo esercizio commerciale era l’unico posto in cui comprare viveri diversi da frutta e verdure: il casaduoglio vendeva formaggi, salumi, olio e pasta, come le salumerie moderne, ma anche saponi, detersivi ed oggetti di uso domestico.
Il nome stesso nasce dall’unione dei due prodotti tipici: il “caso”, dal latino “caseum” (formaggio), e l’uoglio, dal latino “oleum” (olio). Non esiste differenza fra “casaduoglio” e “casadduoglio”. Il raddoppiamento della “d” è probabilmente arrivato nell’uso popolare del termine, ma la forma più corretta è senza dubbio quella senza doppia.
‘O solachianiello: chi era e perchè si chiama così
Tra gli antichi mestieri praticati un tempo nella città di Napoli, quello del solachianiello merita assolutamente di essere raccontato.
Facciamo chiarezza, chi era il solachianiello?
‘O solachianiello, come il termine dialettale suggerisce composto da sola, suola, e chianiella, un tipo di scarpa fatta a forma di pantofola, era colui che riparava le scarpe, un vero e proprio ciabattino che esercitava la sua professione sia a domicilio che in bottega. La sua cerchia di clienti era solitamente composta da quelle persone che, non potendo permettersi l’acquisto di un nuovo paio di scarpe, decidevano di aggiustare, finchè possibile e in tempi rapidi, quelle usurate.
Non è quindi un caso che le vecchie botteghe dei calzolai erano note come “rapide“. Rapide perché coloro che si recavano in negozio necessitavano di una riparazione fatta ad arte e in tempi brevi per non rimanere a piedi nudi.
L’artigiano, il masto delle scarpe, utilizzava pochi e semplici strumenti, un po’ di colla, qualche semmenzella, un martelletto, un punteruolo e qualche ago.
Ciò che però rendeva questa figura unica nel genere era la fiducia che gli veniva riposta: chi si rivolgeva a lui affidavanelle sue mani un bene prezioso e indispensabile.
Questo mestiere, come tanti altri di quel tempo, è andato lentamente in disuso fino quasi a scomparire. Questo perché oggi viviamo nella società dell’uso e getta, dove ciò che è rotto o usurato viene ben presto rimpiazzato da un nuovo oggetto. Pochissime sono le botteghe che ancora sopravvivono e sono solitamente quelle tramandate di padre in figlio caratterizzate da un aspetto retrò che profuma ancora della Napoli che fu.
‘O mpagliasegge”: l’antico mestiere scomparso che ispirò Salvatore di Giacomo
Napoli è la città dai mille colori ma anche la città dai mille ed originali mestieri.
Tanti e vari sono i lavori artigianali che nei decenni hanno animato il capoluogo partenopeo, molti dei quali ormai scomparsi o miracolosamente sopravvissuti grazie ad un passaparola tramandatosi di padre in figlio. Un’antica professione che merita una particolare attenzione è quella praticata dai seggiolari o ‘mpagliasegge.
I seggiolari, mestiere principalmente svolto da donne, erano coloro che producevano sedie di tutti i tipi e dimensioni intrecciando fili di paglia sottile su un telaio di legno con spalliera. Tra gli strumenti adoperati da questi stravaganti artigiani vi erano naturalmente i fili di paglia, gli spruoccoli, traverse in legno necessarie per stendere e intrecciare i fili, un coltello affilato per tagliarli e una stecca per favorire l’intreccio.
Tanto celebre fu quest’arte da essere menzionata in una famosa canzone del poeta napoletano Salvatore di Giacomo, ‘O Vascio, che racconta la storia di una mpagliasegge che viveva, come suggerisce il titolo stesso, in un basso con il marito, il quale svolgeva la professione di Maestro d’Ascia, l’attuale falegname. Nonostante le umili e modeste origini, questa coppia aveva avuto la fortuna di dare alla luce una figlia ch’ è na vera meraviglia.
Ma non finisce qui: tra le strade strette della città passeggiavano anche gli mpagliasegge ambulanti, il cui compito era quello di riparare le sedie di paglia rotte o usurate.
Seppur attualmente la maggior parte delle sedie vengono prodotte a macchina con fili sintetici o ancor peggio sostituite con quelle in plastica, resistono ancora poche e rare botteghe dove viene praticata questa originale e minuziosa arte.