UN TRENO NEL SUD
di Alessandro Cannavale*
Per anni ho provato a scrivere di Questione Meridionale con toni nuovi.
Mi sono presto emancipato, ancora novizio, da posizioni sudiste del tutto speculari a quelle che contestavo nel Nord separatista.
Per una comprensibilissima legge fisica, due minus habens che tirano i lembi di una ferita da parti opposte, riescono a fare un gran bel danno, persino superiore alla somma dei singoli sforzi. Non ci crederete, ma tra coloro che si dicono oggi “meridionalisti” (stravolgendo il senso stesso della parola, per insipienza e interesse) molti sopravvalutati soggetti invocano proprio la separazione del Sud.
Il momento è propizio: fatevi avanti, accumulate altra inutile entropia, salite sul carro del Caos. Come scriveva mirabilmente Flaiano, “oggi il cretino è pieno di idee”.
Il Sud ha invece bisogno di una rivoluzione coraggiosa, che lo liberi dalla voracità di certi equilibri sociali ed economici. Che sprigioni le potenzialità asfissiate da burocrazia, mafia e status quo, e crei in alcuni casi le precondizioni infrastrutturali allo sviluppo. Un Sud abbandonato in mezzo al Mediterraneo è un sogno per qualcuno, ma un incubo per altri. Bisogna agganciare l’Europa e i suoi standard, la dialettica Nord-Sud è andata da un pezzo, sopravvive solo nelle disastrose statistiche del divario interno che la nostra classe dirigente non riesce ad azzerare, per incapacità, connivenza e avidità.
Non servono a nulla narrazioni di passati edulcorati e autoassoluzioni di massa. “È colpa di…” Perché mai come in questo caso ci sono dei concorsi di colpa sedimentati in un secolo e mezzo di storia unitaria. Da studiare e da cui ripartire.
Questo pensavo fosse chiaro, persino quando pubblicavo “A me piace il Sud”, nel 2017, con Andrea Leccese. Un testo che faceva pura testimonianza, senza troppe ambizioni. Personalmente, scrivevo per il figlio che speravo di avere, un giorno.
Invece no, scopro che un certo mondo ultrà proprio non riesce a fare a meno di improvvisati guru che infarciscono i propri libri e articoli di invenzioni storiche, superfetazioni statistiche, ideazioni fantasiose di mondi mai esistiti. Ma senza la sincerità o l’originalità di un Tolkien.
Al nostro Sud manca la coralità, la capacità di una visione comune per cui combattere. Che non comporta necessariamente la necessità di un capo che indichi la via. Sventurata la terra che ha bisogno di uomini (o donne) della Provvidenza. Il vero segreto di ogni possibile svolta è nella Partecipazione!
Se centiniaia di migliaia di giovani vanno via è perché troppo spesso la puzza di muffa è salita sul piano attico. E bisogna prenderne atto. E attenzione, questo non lo dice il sottoscritto ma lo scriveva Salvemini. Alcune delle sue pagine conservano un’attualità sconcertante.
Ogni volta che nei mesi scorsi si è provato a invocare un’aperta espressione della classe dirigente locale sul tema delle autonomie differenziate si è incontrato in troppi casi un atteggiamento guardingo (“sai, io devo riferirmi a una segreteria nazionale… “) circospetto. E poi inazione, pericolosa sottovalutazione del rischio. E ora abbiamo questo processo di autonomia differenziata in corso. Tante scuole, tante sanità, gabbie salariali. Un percorso lungo, trasversale, bipartisan, accarezzato negli anni. Quasi tutti i passaggi li ho seguiti sul blog che curo sul Fatto Quotidiano.
E tutti fingono di sorprendersi.
Nei giorni scorsi un amico mi diceva: tu scrivi, scrivi, ma cosa pensi? I tuoi articoli li leggerà qualcuno, sul Fatto quotidiano, su Basilicata24. Ma contano poco, politicamente. È vero. Non ho mai avuto la pretesa di influire molto sul mio contesto. Ma ho sempre perseverato.
E oggi, me lo si consenta, posso vantare un impegno di divulgazione che perdura più o meno ininterrottamente dal 2014. Onesto, sincero, leale. Non mi paga nessuno per farlo. Non sono su alcun libro paga. Proseguirò fino a quando ne avrò le forze e l’entusiasmo.
Quando ho recensito un libro, l’ho sempre acquistato (e in molti casi me ne sono amaramente pentito).
Credo in una Italia unita e repubblicana. Soprattutto credo che ci stiamo lasciando sfilare la “via italiana al sogno”, indicata luminosamente nella Costituzione. Quella del 1948, intendiamoci.
Attenzione: quando uso il verbo credere, faccio riferimento alla sua etimologia, che indica “Mettere il cuore”. Nella mia vita faccio tutto più o meno così.
Perché quel sogno non fosse rubato ai ragazzi di questo Paese, mi sono sempre dato da fare. Perché i diritti di cui ho personalmente goduto nella mia vita non giungessero scontati alle generazioni che arrivano. Perché la luce che incontro negli occhi dei ragazzi è il vero patrimonio di questa terra.
Sono ciò che merita più attenta tutela in questa fase.
Il sale di ogni poesia che sia stata mai scritta. E che mai verrà scritta.
Vi abbraccio.
* (saggista – promotore della rete culturale Carta di Venosa)