ALLE ORIGINI DEL PRE-GIUDIZIO MERIDIONALE.
di Valentino Romano (*)
Nella storiografia risorgimentale c’è un aspetto che, per quanto intrigante, poco è stato esplorato: mi riferisco alla cosiddetta spy story, cioè al ruolo e alle vicende che l’intelligence di tutte le parti in causa ebbe nel compiersi del Risorgimento. Si sa solo qualcosa di alcuni personaggi famosi che misero a frutto le proprie “competenze” per la causa; vedasi su tutti la famosa contessa di Castiglione che carpiva – sappiamo tutti come – segreti a Napoleone III per conto di Cavour. Ma di altri se ne sa poco. Eppure le reti di spionaggio erano innumerevoli, ogni legazione diplomatica ne aveva almeno una: qualche volta anche più d’una, ognuna all’insaputa dell’altra perché il motto predominante in quel mondo è stato sempre “non fidarsi mai di nessuno”. Abilità nel mimetizzarsi e arte del doppiogioco erano requisiti essenziali che, spesso esercitati egregiamente, produssero risultati devastanti. Un solo esempio: nel governo in esilio di re Francesco a Roma sedeva proprio una spia al soldo sabaudo. Ma tante, tantissime erano, dappertutto le “orecchie sensibili”. Spesso sconosciute e insospettabili. Nei documenti d’archivio custoditi presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito italiano vi è traccia, ad esempio, di un misterioso personaggio (nome in codice Aldolfo) che rapportava regolarmente i vertici militari sugli spostamenti e sulle intenzioni delle bande brigantesche che orbitavano nell’area di confine tra lo Stato pontificio e l’ex Regno di Napoli. La spy story aveva anche intrecci internazionali. Fu proprio a causa di uno di questi (che coinvolgeva la Francia, il Regno italiano e, perfino, il governo in esilio di Re Francesco) che il povero generale Borges andò incontro al suo immerito destino). Tutto ciò sempre nell’ombra, s’intende. Ma a volte anche smaccatamente, alla luce del sole. È il caso del protagonista della storia di oggi. Ma, prima di dare seguito alla stessa, è bene fare un passo indietro.
Diversi ma conosciuti erano i luoghi “sensibili” (ops, non vorrei toccare tasti assai dolenti in queste ore) che, per una serie di ragioni rappresentavano una sorta di crocevia del variegato mondo d’intelligence. Uno di questi era sicuramente l’isola di Malta che, per la sua particolare collocazione geografica e per la sua natura di protettorato britannico, si prestava egregiamente allo scopo. Nel periodo borbonico l’isola era stata il rifugio dei perseguitati borbonici, il punto di confluenza del dissenso politico antigovernativo; caduto il governo borbonico i primi avevano sloggiato e lasciato il posto agli esuli borbonici. Con l’Inghilterra sempre graziosamente ospitale con tutti. Sulle vicende dell’isola in quegli anni scrisse un saggio accurato Ersilio Michel, saggio che mi è stato utilissimo quando ho trattato la sfortunata spedizione del generale catalano, che aveva scelto proprio Malta come base logistica della sua avventura.
È ovvio, quindi, che anche il governo della neonata Italia, ponesse particolare attenzione all’isola.
Qui s’innesta la nostra storia.
Console italiano nell’isola era Roberto Slythe. A lui era stato dato, com’è ovvio, il compito di “rapportare” continuamente la situazione che si agitava a Malta, spiattellando in tempo reale le manovre e le eventuali congiure che in quell’isola potessero trovar alloggio. E il funzionario eseguiva scrupolosamente il compito affidatogli con rapporti rassicuranti. Però, sempre facendo riferimento alla regola aurea del “mai fidarsi del tutto”, il buon Ricasoli – che in quel periodo reggeva il governo di Sua Maestà – pensò bene di avere ulteriore conferma inviando nell’isola un funzionario di sua fiducia e, con tutto il garbo possibile, il 14 luglio del ’61, comunicò al console la decisione governativa di affiancarlo con un vice console, Francesco Ferdinando Astengo: è ovvio che Slythe ci rimanesse maluccio ma, da sottoposto qual era, dovette inghiottire diplomaticamente il rospo e accettò, pur in via provvisoria e temporanea, l’invio del funzionario regio per “esercitare politica vigilanza”. Epperò un sassolino se lo tolse lo stesso, concludendo la sua risposta con un significativo passaggio: “sono persuaso di avere sotto tutti i rapporti ed in ogni tempo perfettamente al proprio dovere … il signor Astengo sarà da me ricevuto con riguardo dovuto ai di Lei ordinamenti”.
Ma perché Ricasoli aveva mandato proprio Astengo? Costui, prima di essere destinato a Malta aveva soggiornato per ben cinque mesi nelle Provincie Napoletane, incaricato non tanto di controllare le mene borboniche quanto il vero pericolo temuto da Ricasoli e soci, il cosiddetto “partito esaltato”, cioè i mazziniani e i garibaldini, coloro che, in altri termini, la Destra storica temeva forse anche più che i pochi inconcludenti borbonici rimasti e le bande brigantesche che pure andavano ingrossandosi. La storia dell’avvicendamento nella Luogotenenza tra Cialdini e Lamarmora ne è un esempio lampante. E Astengo risultava assai più funzionale al controllo degli “esaltati” di quanto non potesse apparire Slythe.
Ad ogni modo Astengo arrivò il 1 agosto e, pochi giorni dopo, inviò il primo rapporto a Ricasoli. Scopo dichiarato era informare il capo del governo sulla situazione nell’isola, sulla presenza dei vari “partiti che agitano il paese”. Più che una spia, amici, si rivelava una sorta di funzionario della Digos, ma lasciamo perdere questo altro aspetto, pur esso “sensibile” … Ecco lo schema nel quale li suddivise: 1. Autonomisti (“il più numeroso, composto di quasi tutti i Commercianti e Possidenti, nonché di parte della nobiltà.”); 2. Borbonici (“… che hanno dalla loro parte del Clero e della Nobiltà, tutti gli antichi Impiegati Civili e Militari ed il gran numero di coloro ai quali la caduta dinastia aveva dato i mezzi di vivere grassamente, rubando ed angariando le popolazioni.”). 3. Unionisti (ai quali davano “vita tutte le graduazioni del partito liberale, ma che appena si sorregge, perché intemperante d’ogni ordine e sfasciati dalle lotte continue, in cui è, contro il Governo e contro stesso, essendo tutte le sue frazioni in aperta discordia tra di loro.”). Qui certamente si riferiva alla Sinistra. A quella Storica, di allora, badate bene. Adesso, amici, non fate i maligni paragonandola a quella di oggi. E se pure vi viene questo malefico dubbio è affar vostro, io non l’ho detto.
C’era poi, è vero, un quarto partito, aggiungeva Astengo, ma questo contava poco o nulla: era “la grande maggioranza della popolazione” che “non appartiene per convinzione ad alcuno dei sunnominati tre partiti e che si lascia guadagnare all’uno o all’altro, a seconda che si riesce a solleticarne più o meno le passioni”. A questo punto, amici, il “maligno” lo faccio io: è proprio la fotografia di quella d’oggi!
Dove sta allora il pre-giudizio antimeridionale con il quale ho titolato questo numero della rubrica?
Presto detto: Astengo, nel corso del rapporto e sempre a proposito delle popolazioni meridionali la dipinge come “nemiche del lavoro , avvezze a un dispotismo brutale… non possono risolversi a riconoscere l’autorità che nella forza delle baionette ed avere rispetto per la legge se non è fatta a colpi di bastone”. Amen! Non vogliono lavorare ‘sti lazzaroni e noi siamo pure costretti a nutrirli con le baionette e i bastoni! Mi sembra di averla sentita ripetere ultimamente questa storia, ma forse mi sbaglio e mi stanno fischiando le orecchie …
Poi uno si scervella per capire l’origine e la fonte del pregiudizio antimeridionale e si addentra pure in analisi cervellotiche sul suo esacerbarsi negli ultimi decenni.
Qualche inguaribile ottimista sostiene come, dal 1861 ad oggi, molte cose siano cambiate, la situazione è mutata notevolmente. Dobbiamo prenderne atto: dal viceconsole Astengo siamo passati al Brambilla che impazza nel talk show della “napolitana” Marta. “In peius ruimos”, diceva la mia sventurata professoressa di latino e greco al liceo ogni volta che m’interrogava. E quella povera e santa donna aveva ragione, sia per me che per la situazione attuale.
Postilla, visti i tempi, necessaria: i documenti che ho citato non sono riservati. Nemmeno “diversamente riservati”. Lo preciso a scanso d’equivoci. Non si sa mai, … Come dite, non ho citato con esattezza le fonti archivistiche di questa storia? Amici, ultimamente queste omissioni “fanno tendenza” nella più recente pubblicistica (edita e … riedita) e io, perbacco, devo tenermi al passo!
Buona domenica, amici, e … buon Sanremo a tutti!
(*) Promotore Carta di Venosa