Le “Rubriche della Meridionalità” | …di LEGGI, di NORME, di DIVARI.
di Natale Cuccurese (*)
LA TRUFFA DEL PNRR (3)
Quando si tratta di prendere tempo con gli investimenti al Sud ecco che spunta fuori l’ipotesi del “Ponte sullo Stretto”. Da Forlani, a Berlusconi, a Renzi, a Draghi fino a Salvini ormai quella del “Ponte” è una storia che si dipana nel corso degli ultimi decenni con sempre lo stesso finale: promesse di investimenti a cui segue un nulla di fatto. In Parlamento è anche nata una coalizione per il “Ponte” dai renziani fino alla Lega e Berlusconi. Non proprio una garanzia per il Sud, visto che sono tutti personaggi o partiti che hanno, da sempre, avuto un occhio di riguardo per favorire sempre “prima il nord”. Il Ponte potrebbe così essere usato come arma di “distrazione di massa”, mentre nelle interviste dei vari ministri si spostano quote percentuali sempre più rilevanti dei Fondi del Next Generation EU verso Nord.
Mentre il governo Draghi lasciò a suo tempo meno di 100 ore per la verifica e il dibattito in Parlamento del Pnrr da proporre a Bruxelles, cioè senza nemmeno il tempo di leggere il contenuto del Pnrr. In questo modo sono state decise in Italia le politiche pubbliche del prossimo decennio, praticamente senza discussione alcuna dato che tutti, o quasi, i partiti facevano parte della maggioranza.
Giusto ricordare che per ferrovie, strade, telecomunicazioni, rete idrica, energia, secondo l’analisi della Facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma, sulla base del lavoro degli Stati Generali svoltisi nell’estate del 2020 e coordinato dall’allora Ministro Colao, l’Italia nel suo insieme (fra Nord e Sud con la “media del pollo”) è addirittura in 53esima posizione nel Mondo. Il solo Mezzogiorno, dove si viaggia a binario unico, dove non c’è Alta Velocità, carente in strade, telecomunicazioni, rete idrica, energia, in che posizione si colloca?!
Poco più di un anno fa fa in Regione Sicilia è arrivata la comunicazione da parte di RFI dell’avvio della gara d’appalto da 10 milioni di euro per ripristinare parte del collegamento tra Gela e Catania interrotto dopo il crollo di un ponte all’altezza di Niscemi ben 10 anni fa, nel maggio 2011. Oggi per andare da Gela a Catania in treno e percorrere una distanza di circa 110 chilometri occorrono circa 5 ore. Per non parlare di chi vive a Messina e assiste alla chiusura di gallerie e viadotti obsoleti e pericolosi sulle autostrade A18 e A20, abbandonati e non controllati da decenni. Non che in Calabria e in altre zone del Mezzogiorno se la passino molto meglio. In attesa, un domani, del “Ponte” e senza entrare nei dettagli tecnici o nelle problematiche ambientali che ne riguardano la costruzione, forse sarebbe più pratico per il Sud avere “l’uovo oggi”, anziché “la gallina domani”, e procedere subito con i Fondi in arrivo dall’Europa, prima che finiscano in tanti rivoli, ad ammodernare la rete stradale e ferroviaria con treni realmente ad Alta Velocità, treni che da Roma a Villa San Giovanni impieghino tre ore. Così un domani casomai ci si possa anche arrivare al “Ponte”.
Emblematica di questo state di cose l’intervista dello scorso 4 aprile 2021 sul QN del Ministro delle infrastrutture, il leghista Giovannini, a proposito del completamento delle tante opere incompiute in Italia da effettuarsi grazie ai soldi della Next Generation EU, in cui informa che il Parlamento ha dato il via libera al commissariamento delle opere e nominati i relativi commissari, inoltre che i lavori sono da terminare improrogabilmente entro il 2026 pena la perdita dei Fondi, cosa questa che fra l’altro metterebbe al momento fuori dai giochi il Ponte sullo Stretto, spostando in un futuro indeterminato la promessa di una sua eventuale realizzazione. Secondo i dettami UE il 65% dei Fondi doveva essere indirizzato al Sud per iniziare a recuperare il gap, anche infrastrutturale, fra le due parti del Paese. Evidentemente però per i nostri governanti quando si tratta di Mezzogiorno la frase “ce lo chiede l’Europa” non vale più, visto che la piantina allegata all’intervista evidenziava che ben 8 opere commissariate sono al Centro-Nord e solo due al Sud.
In poche parole il rischio concreto è che il Ponte come sempre venga usato anche dall’attuale governo meloni solo come specchietto per le allodole, ma nel frattempo i fondi in arrivo dall’Europa, invece che al Sud per la quota indicata dall’Europa, con la complicità della maggioranza parlamentare, finiscano in mille rivoli che portano tutti al Centro-Nord.
Un altro aspetto che nessuno evidenzia mai è che ben poche grandi aziende in Italia possono essere capofila di un progetto ingegneristico ambizioso come quello del “Ponte”, aziende che guarda caso hanno tutte sede legale al Nord. Il che in epoca di Autonomia differenziata non è proprio ininfluente. Questo ovviamente vale anche per le opere che saranno cantierate con una parte dei Fondi europei che (comunque) arriveranno nel Mezzogiorno. Solo come esempio, la proposta che almeno una quota del 34% (percentuale della popolazione) degli investimenti in opere sia garantita per coinvolgere direttamente nei lavori aziende del Sud non sarebbe sbagliata. In caso contrario i Fondi investiti al Sud serviranno in prospettiva ad aumentare il gap territoriale. Oggi nulla di simile è previsto, pur essendoci al Sud aziende in grado di ben operare ed inserirsi in più comparti anche ad alti livelli. Aziende che per la crisi dell’ultimo anno, secondo la “mappa della solidità” delle imprese tracciata dall’Istat, per il 45% sono a rischio chiusura. Su questo aspetto servirebbe fare pressione.
Lo stesso dicasi per la necessità che la stazione appaltante concluda entro sessanta giorni il processo autorizzativo per l’affidamento delle opere. Senza tale richiamo dei poteri dello Stato molti degli interventi diretti al Mezzogiorno potrebbero non andare in porto o per assenza di risorse di cofinanziamento o per inefficienze causate negli anni dalla destrutturazione dello Stato, di cui la modifica del Titolo V è testimone. Servono buoni progetti concreti e buona attuazione degli stessi, altro che sognare il “Ponte sullo Stretto”.
L’ottica utile a recuperare il gap territoriale potrebbe essere simile quella della defunta e tanto criticata Cassa del Mezzogiorno, che però tanto male non ha fatto all’Italia intera, anzi.
Giova ricordare, come esempio verificabile, che in Germania l’unificazione del Paese, dopo la caduta del muro di Berlino, ha aiutato molto l’Est per convergere con l’Ovest. Per il Sud in 58 anni, cioè dall’avvio della Cassa del Mezzogiorno nel 1950 al 2008, che ha chiuso definitivamente qualsiasi politica pubblica per il Sud lasciandola solo all’utilizzo del fondi europei di coesione, sono stati investiti 342,5 miliardi di euro. In Germania Est si è investito in 30 anni quasi 5 volte in più, cioè tra i 1500 e i 2000 miliardi di euro, 70 miliardi di euro in media all’anno, contro i 6 miliardi l’anno nel Mezzogiorno. Una quota di Pil in Germani fra il 4 e il 5%, mentre nel Mezzogiorno non si è mai superato la soglia dell’1% del Pil. Chiusa la Cassa per il Mezzogiorno la percentuale è scesa ulteriormente.
I diversi investimenti sui territori han determinato che nel 2019, il prodotto per abitante nel Sud è stato, rispetto a quello del Centro-Nord, quasi 20 punti in meno della differenza che intercorre oggi tra le due aree tedesche, mentre Il tasso di disoccupazione, è stato del 17,6% nel Sud Italia e del 6,9% nell’Est tedesco; la disoccupazione giovanile (15-24 anni) del 45,5% nel Sud, e solo dell’8,6% negli ex Germania dell’Est.
Il che ci fa comprendere come ogni divario tra diverse parti di uno stesso Paese sia superabile in pochi decenni se lo si vuole, anche partendo da situazioni peggiori di quelle che ci sono oggi in Italia, non riguardando un fatto antropologico o di razza, ma solo di risorse impegnate e di opportunità fornite. Oltretutto colmare i divari economici è una operazione che si ripaga ampiamente, dato che il periodo in cui il nostro Paese ha conosciuto l’unico periodo di boom economico della sua storia (1950/1980) corrisponde al periodo in cui cresceva anche il Sud con gli investimenti della Cassa del Mezzogiorno.
(*) Aderente Carta di Venosa, Presidente del Partito del Sud