ANCHE QUESTA VOLTA LI ABBIAMO FATTI FESSI …

ANCHE QUESTA VOLTA LI ABBIAMO FATTI FESSI …

di Valentino Romano (*)
Il capitano Giovanni Hawdrige, a dispetto del cognome è italianissimo e, nell’aprile del 1861 comanda una compagnia dell’altrettanto italianissimo 29° Reggimento di Fanteria, dislocata nella zona di Bagnara L’ufficiale viene avvertito che “nella notte dal 31 a 1° corrente gran rumore si faceva sentire nella parte superiore di Bagnara”. Scenografica è la descrizione dei tumulti che il nostro Hawdrige fa nel rapporto che invierà ai superiori: “tamburi battenti scorrevano le vie, colpi di pietra andavano [sic] contro le porte, la popolazione si agglomerava nella strada gridando Viva Garibaldi, Viva Vittorio Emanuele … ”.

A questo punto, amici, permettetemi una piccola ma necessaria divagazione. Questo e altri documenti dimostrano – senza possibilità di contraria replica – una sacrosanta verità che, da un lato viene volutamente negata da certo identitarismo nostalgico e dall’altro colpevolmente e deliberatamente ignorata da chi, nei propri libri di successo, ne cavalca l’onda: non tutte le rivolte del popolo basso in Calabria furono dettate dalla presunta fedeltà al re Borbone, tutt’altro; a spingerlo alla rivolta fu la disperazione per quella che Camilleri nel “Re di Girgenti” definisce “fame nivura”, la fame nera cioè. E il popolo basso si aggrappava a tutti coloro che promettevano (sinceramente o meno, questo è altro discorso) se non di eliminarla del tutto, almeno di ridurla. Per questo motivo il popolo basso insorse, non per altro. Solamente, semplicemente, drammaticamente perché… non ne poteva più. Una mia affermazione? Certamente, ma non solo mia. Altri l’hanno fatta, prima, più e meglio di me. Si veda, per esempio, il saggio esemplare di Amelia Paparazzo (“I subalterni calabresi tra rimpianto e trasgressione. La Calabria dal brigantaggio post-unitario all’età giolittiana”, Milano, Franco Angeli, 1984). In altri termini, le classi subalterne guardarono inizialmente a Garibaldi e al Re Galantuomo come liberatori e portatori di giustizia sociale. E i decreti dittatoriali di Garibaldi confortarono – sempre sulle prime – queste speranze. Solo che l’ingenuo, demagogico e populistico Eroe dei Due Mondi, manco fece in tempo a girare l’angolo e ad allontanarsi da Rogliano (dove aveva emanato i famosi decreti in favore delle classi rurali), che i notabili locali (il governatore latifondista Morelli in testa, tanto per citarne uno) ne fecero carta per incartare la nduja; da qui la rivolta si indirizzò a coloro che subdolamente promettevano la stessa cosa, come se prima non avessero avuto tutto il tempo per attuare proprio loro quelle sospirate riforme. Va beh, lo so, è difficile spiegare questo agli adoratori tout court del “bel tempo che fu” e ai suoi ben noti amanuensi. Però …chissenefrega: io lo dico lo stesso e mi dichiaro disponibile al confronto. Poi vediamo!

Torniamo alla nostra vicenda:
Hawdrige, accertata la fedeltà dei dimostranti al nuovo regime, si rincuora, pensando che almeno questi non sono reazionari che manifestano per il Borbone. Ma la soddisfazione dell’ufficiale è di brevissima durata perché subito dopo tiene conto di un’altro aspetto che complica di gran lunga la situazione: “vogliamo la divisione delle terre comunali”, gridano a gran voce i contadini ribelli. Accidenti! Questi sono rivoluzionari autentici, mica lazzaroni e basta come i briganti del deposto sovrano: adesso ci si mettono pure con le rivendicazioni sociali. Sono “comunisti” (nel senso di rivendicatori di terre comuni, non in quello ideologico e politico ancora di là da venire, s’intende). Di questo passo dove andremo a finire? Bisogna intervenire senza indugi, con la necessaria “fermezza”. E così scatta immediatamente l’allarme sociale: “All’istante feci armare il distaccamento e giunsi verso le 3 di notte ove tal chiasso succedeva. All’avvicinarsi della truppa, de’ R. Carabinieri che pure mi accompagnarono e dei signori Francesco Celacano, Francesco Toti e Rosario De Leo, che sempre stettero meco, il trambusto immediatamente cessò”.

“Però – annota – la popolazione restò nella strada” Ancora! Vediamo cosa vogliono, si dice con rassegnazione: “risposero ad una gran voce che volevano la divisione delle terre comunali state usurpate dai galantuomini”
Caspita! La faccenda sembra più seria di quanto si possa pensare: questi morti di fame rivendicano le terre dei proprietari, mica quelle di nessuno, Bisognerà calmarli ad ogni costo: “Allora -scrive il bravo ufficiale regio – cominciai a parlar loro dicendo come il Governatore aveva già domandato al Ministero autorizzazione per poter effettuare questa divisione, come tale autorizzazione non poteva tardare a venire e che allora sarebbero paghi i loro voti”.
Hawdrige spiega con le parole più dolci di cui dispone il suo vocabolario che lui, essendo proprio un regio ufficiale (e quindi tenuto e preposto alla tutela dell’ordine pubblico) non può che “disapprovarli per la condotta in questa notte tenuta, perché indegna di un popolo civile”.
D’accordo con te, Giovannino caro, non sarà tanto civile questa condotta di poveracci inferociti ma perché, forse lo è quella di un governo che opprime e affama le masse subalterne per non scontentare i soliti borghesi latifondi?
Eh, c’è modo e modo per far valere i propri diritti, sembra rispondere il predetto alla mia osservazione: “non è quello il modo di far valere i propri diritti, specie quando si ha la fortuna di essere retti da un Governo costituzionale ed avere alla testa un Re buono e imparziale”.
Sì, va beh … lasciamo stare. Meglio se non la tiravi in ballo questa cosa …vallo a spiegare agli ortolani, quelli della famosa zucchina, la fortuna di essere… “retti”!

Ad ogni modo i contadini di Bagnara hanno un attimo d’esitazione: e se stesse dicendo il vero? Qualcuno tra di loro – per inciso uno scettico e un disincantato si trova sempre nella massa – si lascia andare a un ironico sospiro di sollievo: “E meno male che le abbiamo tutte queste fortune, figuriamoci se non le avessimo …”
Hadwrige sa comunque come prendere questa gente sempliciotta, conosce la sottile arte della diplomazia felpata e doppia. Adotta perciò sapientemente la strategia del bastone e della carota: “dopo averli invitati al lavoro [quale?] e all’ordine, ed averli dati tutti quei buoni consigli che la circostanza richiedeva … imposi loro di ritirarsi”.
Ma, perché la popolazione non abbia a credere ad un sopruso della Forza pubblica ne spiega – sempre con il cuore in mano – le motivazioni: “onde risparmiare alla truppa il dovere di dover inveire contro i propri fratelli”. Ah, questa non la sapevo nemmeno io, che pure ho la spocchiosa presunzione di conoscere un pochino la lingua italiana: potrò utilmente usare il termine “inveire” come sinonimo di repressione ogni qual volta le circostanze lo richiederanno. Facciamo un esempio, così, a caso: le baionette di Bava Beccaris, nel 1898, “inveirono” contro i manifestanti di Milano e prima ancora i fucili dei vari Pallavicini, Cialdini, La Marmora & compagni “inveirono” contro i contadini inermi! Questa, giuro, me la segno e l’aggiungo a penna sul mio Devoto-Oli, ormai d’annata! Amici, non si smette mai d’imparare!
A quelle forbite parole, il solito scettico presente nella folla avrà sicuramente pensato “fratelli, sì ma …fratelli coltelli”. Che malpensante!!! Ad ogni modo, la massa ci crede e se ne torna speranzosa a casa.
Hawdrige non sta nella pelle, farà subito un rapporto ai superiori, magari ci scappa pure una medaglia. E nemmeno fa in tempo a lasciare il fucile per rendere in mano la preziosa penna che, trafelata, gli arriva una staffetta a portargli una ferale notizia: dai paesi vicini (Pellegrino e Ceremiro) stanno muovendo altri contadini per “aggregarsi agli ammutinati di Bagnara, gridando “vogliamo la divisione” per “quindi compiere atti di vendetta contro alcune ricche famiglie da loro segnalate”. È giocoforza allora muoversi nuovamente e, riarmata la truppa fraterna, si dirige alla volta dei villaggi ribelli: una parte percorre la via maestra che unisce Bagnara ai villaggi, l’altra li raggiunge per vie traverse, di fatto accerchiando i rivoltosi. Hawdrige intima di deporre le armi, ma i facinorosi non obbediscono. E allora “gridai: Savoia! I soldati – racconta il prode ufficiale – lo ripeterono con voce … sonora e prolungata e spianando le baionette presero la corsa in avanti”.
Va beh, se si può sorvolare sull’eroismo delle baionette “spianate” e sull’involontario umorismo della “corsa in avanti”, non si può tacere sul fatto che l’aggettivazione “sonora e prolungata” più che come rafforzativo del grido di guerra savoiardo si è sempre usata (soprattutto al Sud) per descrivere l’intensità di … un irriverente sberleffo (Totò docet).
Viene riunita tutta la popolazione in piazza e Hawdrige, salito su un muretto, la conciona. Amici, vi risparmio tutto il discorso che mira sempre al ripristino della legalità (sic!) violata. Basterà qui aggiungere che, ai contadini che stanno per tornarsene mogi mogi alle loro case, rivolge il pressante invito per un osanna al Re Galantuomo: “gridiamo viva colui che ripose nel caso di veder rispettati i vostri diritti senza ricorrere ai mezzi illegali. Viva il Re!” E nel rapporto aggiunge “Fragorosi evviva seguirono questa ultima mia parola”.
Qui non c’è bisogno di ricorrere al precitato malevolo mimetizzato nella folla: stavolta lo faccio io, con il vostro permesso e assenso: scommettiamo che i “fragorosi evviva” furono anch’essi … “sonori, prolungati” e … proprio alla Totò?

Prima, però, di tornarsene nei suoi alloggi provvede a una serie di arresti, tra i quali quello di un ragazzo, “Musico Giovanni di anni 12 di Bagnara, perchè figlio del capo perturbatore, da esso essendo facile scoprire qualche verità”. Va beh, soldati e dimostranti – per sua esplicita ammissione – sono “fratelli” ma questo non impedisce a Hawdrige di prendersela con … i nipoti. Qualcuno deve pur pagare per tutto ‘sto casino, che cavolo!
La storia si conclude con un illuminante rapporto del Comandante del Reggimento, Angelino, che trasmette il rapporto di Hawdrige al Comando generale in Napoli, sostenendo che “è stato ristabilito l’ordine turbato da alcuni facinorosi che pretendono in comune il riparto dei possessi demaniali”. Che pretese! Che mondo! … Adesso questi cafoni vogliono pure le terre di lorsignori. Non gli basta più lavorarle quasi a gratis! Bah, non c’è più religione. È indignato il bravo Angelino e si dilunga nell’illustrare i postivi risultati dell’energica e tempestiva azione militare. Ma più brevemente avrebbe potuto scrivere: “anche stavolta li abbiamo fatti fessi”! Lo avremmo capito ugualmente.

Infatti, quei semplici contadini dovettero aspettare ancora, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, per vedere, almeno in parte, soddisfatte – grazie al ministro Gullo – le loro secolari aspirazioni: Hawdrige … non c’era più, e nemmeno il suo Re! E, come amo sempre ripetere quando torno nella mia terra, il lungo percorso dei contadini meridionali era cominciato ed era inarrestabile: da Ciucciariello (il brigante di Andria) si arrivò a Di Vittorio (il sindacalista contadino)… Infatti“… nei sentieri non si torna indietro. Altre ali fuggiranno dalle paglie della cova, perché lungo il perire dei tempi l’alba è nuova, è nuova…”
Adesso che tutto il Meridione è sotto attacco, tocca a noi non farci più prendere per fessi.
Ed è con i versi dell’Omero lucano, che sono a un tempo speranza, orgoglio e certezza, che vi auguro, amici miei carissimi, buona domenica.

(*) Promotore Carta di Venosa