Il naufragio del piroscafo Utopia
L’andamento demografico del Sud, a significare un evidente aumentato benessere, dai tempi di Carlo III (circa 3,5 milioni di abitanti) a quelli di Francesco II (circa 9 milioni di abitanti), aveva subito una forte impennata, la popolazione si era triplicata. Ma, subito dopo l’”Unità d’Italia”, il trasferimento forzato, messo in atto dal nuovo governo piemontese, delle riserve auree dal Sud al Nord, spostò l’asse economico in questa regione. Tale nuovo assetto socio-economico e la rigida applicazione di nuove leggi repressive, ricordiamo la terribile legge Pica – Peruzzi del 1863 (o brigante o emigrante), messe in atto per “purgare il Sud dal brigantaggio”, determinarono il triste fenomeno dell’emigrazione che assunse in breve proporzioni apocalittiche. Il “grande esodo”, in realtà, non ebbe inizio subito dopo il fatidico anno 1861.
Il Sud in prima battuta ebbe la forza e la volontà di reagire al nuovo programma economico imposto dal governo dei Savoia che, nominalmente liberista, eliminò si le barriere doganali tra gli ex stati italiani, ma impose, nel contempo, a questi le leggi del Piemonte. Tale nuovo risvolto decretò la triste fine di quell’industria meridionale meno competitiva. Quella che invece competitiva era, fu smantellata impietosamente direttamente con la connivenza di quella “rinomata” borghesia meridionale sempre molto attenta al proprio tornaconto personale e a null’altro. Nonostante tutto ciò i contadini meridionali trovarono energie e forze nuove per reagire, tanto che l’agricoltura in breve tempo riprese la vendita dei suoi prodotti all’estero (il Nord era troppo povero per comprare tali produzioni): agrumi, olio, ecc. Ecco allora che il governo piemontese, nominalmente liberista, improvvisamente si scopri protezionista, e iniziò nel 1887-8 una feroce guerra doganale con la Francia. Ma i francesi risposero senza indugio adottando alti dazi sui prodotti agricoli che importava dall’Italia, tutti prodotti meridionali. Il Sud incapace di reagire all’ennesima prepotenza decretò la sua resa che causò la definitiva rovina economica. Fu così, allora, che gli operai, gli artigiani, ma soprattutto i contadini per garantire la sopravvivenza delle proprie famiglie, non avendo alternativa, piangendo lacrime di rabbia, abbandonarono quelle terre a loro tanto care in cerca di fortuna in terre lontane, provocando uno sconvolgimento profondo della vecchia società provinciale. Tutto avvenne, ahimè, nell’assoluta indifferenza delle autorità “nazionali”, che “godevano” nel liberarsi di quella parte della “Nazione” di cui provavano vergogna.
Tanti, tantissimi furono i nostri compaesani che si accodarono alla fila del grande esodo.
Molti di loro trovarono l’auspicata miglior sorte lontano dalla terra natia, purtroppo altri non ebbero uguali fortune. Era il 25 febbraio del 1891, “Utopia” il piroscafo della compagnia di navigazione britannica “Anchor Line”, partiva da Trieste in rotta verso New York. Dopo gli scali intermedi di Napoli e Genova, dove aveva imbarcato decine e decine di emigranti, ammassati nel buio della stiva maleodorante, proseguì spedito in direzione Gibilterra, per gli ultimi rifornimenti di viveri e carbone prima di affrontare la lunga traversata transoceanica. Il 17 marzo del 1891 lo scafo giunse con difficoltà nella baia di Gibilterra, sballottato come un fuscello da una forte tempesta. Il comandante della nave John McKeague nonostante un mare forza 9, che rendeva molto problematica la navigazione, decise di raggiungere ugualmente le acque più docili del porto di Gibilterra, ma non si accorse che in rada c’erano diverse navi da guerra britanniche, solo un volta addentrato si rese conto che l’ormeggio a cui abitualmente attraccava, era occupato dalle corazzate Hms “Anson” e Hms “Rodney”. Decise quindi di attraversare il braccio di mare davanti ai due vascelli della Royal Navy.
Abbagliato dal faro della corazzata “Anson” che scandagliava il porto, il comandante calcolò male la distanza tra “Utopia” e la nave da guerra, disturbato anche dal vento di burrasca e dalla forza della corrente, non riuscì ad evitare il fatale speronamento. Il piroscafo colò a picco sui fondali in meno di 20 minuti. Su 878 passeggeri, intrappolati sottocoperta, 570 tra emigranti e membri dell’equipaggio persero la vita o risultarono dispersi. In quella maledetta stiva, nauseabonda e stracolma di poveri cristi, trovarono la morte anche
Nicola Caporaso di anni 43,
Michele Di Brino di anni 23,
Giacomo Fusco di anni 26,
Tommaso Perugini di anni 39,
Antonio Prozzo di anni 45,
Tommaso Prozzo di anni 44 di Morcone,
Pellegrino D’Addona di anni 36 di Pontelandolfo. “ Via san Pietro –Guancia –D’ ADDONA PELLEGRINO 1855 -27 anni (36 anni) fu Nicola e Saveria Paternostro morto naufrago della nave “Utopia” la quale nel giorno 17 del mese di Marzo 1891 mentre entrava nel porto di Gibilterra andò in collisione con la nave “Anson”, il nome è desunto dall’elenco dei naviganti che il giorno 12 Marzo partirono da Napoli e non trovati tra i sopravissuti. VEDI:https://www.pontelandolfonews.com/storia/emigrazione/emigranti-di-pontelandolfo-deceduti-sulle-navi/
Tra i reimbarcati per New York Antonio Capasso di Domenico e Giuseppe Bettini fu Pellegrino, tra quelli invece rientrati in Italia, Domenico Fusco, tutti nati sulle alture murgantine del Monte Mucre.
Il cimitero di North Front custodisce la memoria di Michele Di Brino e con lui una croce ricorda altre 129 salme recuperate dai sommozzatori qualche giorno dopo la tragedia. I corpi degli altri 440 emigranti non furono mai più restituiti dal mare. Fu la Curia arcivescovile di Gibilterra che tra aprile e agosto del 1891 inviò in Italia i certificati di morte dei poveri malcapitati.
Gabriele Palladino