“RI UALANEGLI”:40 ANNI DI SOLITUDINE?

memoria cultura identità

 “RI UALANEGLI”:40 ANNI DI SOLITUDINE?

Oggi,8 luglio di 40 anni fa, debuttava “nello splendido scenario de” “U’Saracino” di Agropoli, (come amava dire il compianto Pasqualino Vessichelli), il Gruppo Folkloristico di Pontelandolfo nella sua nuova veste e denominazione sociale di “Gruppo Teatrale Folk Ri Ualanegli”. Chi scrive, ancora adolescente, era parte integrante degli attori di quella “nave che scioglieva i suoi ormeggi, per affrontare l’Oceano della vita, ma questa volta non per emigrare alla ricerca di una vita migliore, quanto per rappresentare con l’orgoglio e la fierezza della “gens samnites”, la propria cultura e la propria identità!”

Più tardi scrivevamo in occasione del ventennale, nelle prolusioni del libro che pubblicammo: “Gli anniversari, proprio in quanto tali, ripropongono immagini del passato, con tutti gli aspetti positivi e negativi, focalizzando la lente sui consuntivi, perché proprio dai ricordi e le nostalgie, dai rimpianti e le certezze, dalle ansie e le soddisfazioni che nascono le più attente e ponderate riflessioni… Chi ha seguito in tutti questi anni, l’attività dell’Associazione non poteva non rilevare la continua evoluzione e la fondamentale trasformazione che il Gruppo ha subito, stagione dopo stagione. Gli eventi, sia per le continue ricerche effettuate, sia per la cura ed il rigore con cui esse sono state analizzate e riproposte, hanno certamente contribuito ad accrescere quel retaggio storico e di costume di almeno 8 generazioni”. Sì. È stato un po’ come per le generazioni del capolavoro di Gabriel Garzia Marquez “Cent’anni di solitudine”, dove il passaggio generazionale attraversa il tempo nella sua concezione circolare, in un magico realismo. E’ stata un’avventura lunga quarant’anni ad oggi, un’interpretazione metaforica della nostra storia, ma mai vorremmo finire come le generazioni di Marquez, perché la punizione divina lì si manifesta sottoforma di “biblico vento” (ed in quanto a vento nel nostro paesello, non credo manchi)che spazzerà via ogni traccia del villaggio e della sua identità. Una storia corale che intreccia quella delle tante generazioni, affollato crocevia di speranze, di desideri, di sogni… ma così chiusa nelle sue effimere illusioni da sprofondare nella più sconsolante e più irrimediabile delle solitudini… Come scriveva Daniele Perugini nella sua monografia di Pontelandolfo, a proposito delle qualità intellettuali dei nostri avi: “… e da che la civilizzazione è cresciuta, si vede che il talento ed il genio dei giovani di Pontelandolfo potrebbe riuscire, sebbene in numero non molto esteso, in qualunque arte, o mestiere, e nella coltura di tutte le scienze…Così la buona gioventù non si facesse dominare dalla presunzione… Quivi i più ben disposti talenti si perdono perché preoccupati dalle domestiche faccende;privi di rapporti, e di quelle occasioni, che fanno distinguere il vero merito…”

A proposito del “merito” lo stesso autore, propone una nota esplicativa ed esaustiva, ma tragicamente attuale, usando queste parole: Il quale viene deturpato dall’impostura e dalla calunnia per grette gare municipali, o per principii di egoismo, di prepotenza o gelosia. Quanto è grande la verità della Sapienza Eterna! Mors et vita in manu linguae; ma humiliabit calumniatorem!”

Ed è da questa “jastema”, che secondo i nostri avi, aleggia lungo  “le mura” del nostro villaggio, che dovremmo fuggire. Come? Recuperando gli antichi splendori, gli accordi vetusti del focolare domestico oggi consegnato alle appendici tecnologiche moderne che ci rendono impersonali, le affascinanti leggende, i miti, i simboli di usi, di credenze e pratiche che ci hanno fatto attingere quei valori inconfutabili che nessun surrogato moderno può sostituire, perché sono l’espressione più sincera della cultura intima, della dignità umana e sociale di tutta una comunità… la nostra!

Vale la pena ripercorrere la storia di questo Gruppo.

Si diceva in quella pubblicazione del 1998: “Nella gente di questo paese, si coglieva la volontà di riscattare il proprio destino molto spesso iniquo, tanto che, dimenticare la stanchezza per il duro lavoro nei campi ed affogare le amarezze e le delusioni in canti e danze sfrenate, diventava un’esigenza naturale”.

Intorno al 1930, vi fu la prima formazione di un Gruppo Folk a Pontelandolfo. Parteciparono ai festeggiamenti del matrimonio di Umberto II°, Principe di Piemonte, imperversando i Savoia ed il loro Regno d’Italia. Resta memorabile, poi l’esibizione nei calli e campielli di Venezia in occasione delle celebrazioni del famoso Carnevale.

Poi vennero fuori quelle malattie difficili da curare ma inevitabilmente contagiose e ripetitive, quali avidità e smania di protagonismo e intorno all’immediato dopoguerra della Seconda Guerra Mondiale,  ogni attività cessa.

Nel 1961 venne quale Parroco del paesello,da un altrettanto paesello sannita, Don Emilio Matarazzo, personaggio di notevole spessore umano e culturale. Si inserisce e impara a prendere piena coscienza del patrimonio storico e culturale di Pontelandolfo e dopo anni di appassionata ricerca ricostituisce il Gruppo Folk che battezzerà “La Torre” e nei suoi sogni vi era anche la costituzione di un museo dell’arte contadina che troverà realizzazione più tardi.”All’ombra di un tiglio che non esiste più… rinasce il folclore a Pontelandolfo!” titolava il Mattino nel 1963. Ed a un anno di distanza, Don Emilio si inventò la “Settimana Folkloristica”, concentrando tutti i festeggiamenti di un anno in una settimana, per dare sostegno e vitalità all’attività del neonato gruppo ed impulso all’artigianato locale con la Mostra Mercato dell’Artigianato.Con don Emilio arrivò anche Suor Concetta che allevò le generazioni frequentanti l’asilo, con il senno del gruppo folk costituendo il gruppo dei bambini.
L’andata “forzata” di Don Emilio, sempre per i medesimi motivi richiamati dal nostro vate Daniele Perugini, che qui evitiamo di approfondire, fece cessare l’attività del Gruppo, fino all’inverno del 1978, quando fummo convocati da Pasqualino Vessichelli, Ezio Baldini, Carmine Ruggiero a ricostituire il Gruppo Folk. Noi, generazioni di allora,rispondemmo con entusiasmo e passione alla chiamata e cominciammo le prove nell’atrio dell’attuale Caserma dei Carabinieri, che all’epoca era in ristrutturazione, mentre l’Arma era ubicata nel palazzo parrocchiale in Piazza, dove avevamo frequentato l’asilo con Suor Concetta.Uno scambio di ruoli o un gioco del destino?

GRUPPO (2)

Ad onor del vero, quell’inverno fu un po’ contrastante, perché tranne la Tarantella e qualche canto locale, non si riusciva a partire. Fino a quando fu coinvolto Nicola Lopez, il cui talento artistico era inoppugnabile. Dopo un periodo di studi e di ricerche fatte nelle campagne a bordo del famoso maggiolone tutto matto, cominciò a prendere corpo la prima opera teatrale Folk che venne titolata “Un giorno…la vita”.Si narrava una storia che si snodava nella concezione circolare del tempo, attraversando le quattro stagioni nell’interezza del ciclo della vita. Per la prima volta i canti e i balli cesellavano la storia. Una storia corale nel vero senso letterale con la traduzione polifonica curata dal maestro Mario De Concilio del Conservatorio di Frosinone. Fu un progetto ambizioso ma travolgente e le esibizioni fioccavano.Ma è nel 1983 che vi fu la svolta internazionale. Dopo il ritorno da Torino dove eravamo stati ospiti della Rai per la trasmissione TV1 Estate, che per uno strano scherzo del destino andò in onda il 14 di agosto di quell’anno(data fatidica per la nostra gente), il gruppo ebbe un conflitto di poteri e competenze, che portò alla nascita di un nuovo staff dirigenziale. Proprio allora si ruppero gli ormeggi e la nuova veste sociale che si tradusse in Associazione, spinse il gruppo a raggiungere le più alte vette del panorama internazionale.

GRUPPO (1)

Chi scrive non può dimenticare le lotte per definire i passaggi dello spettacolo con quella mente diabolicamente artistica del compianto compare Nicola Lopez. Ci siamo presi, ci siamo arresi, ma alla fine venne fuori quel capolavoro che ancora oggi vive di rendita.

Abbiamo attraversato tanti lustri, cresciuto decine di nuove generazioni di “Ualanegli”, al di là di ingratitudini e presunzioni, ma alla fine resta la grande soddisfazione di aver dato lustro al nostro popolo, alle nostre tradizioni, alla nostra cultura, alla nostra identità.

Per questo, lo diciamo a livello personale e, forse, anche in spazi più aperti, che non possiamo condividere i modi nei quali sono stati celebrati questi primi quarant’anni. Perché è come discononoscere i valori fondanti così faticosamente conquistati e insediati a loro tempo. Oggi si sopravvive e non si evolve e lo diciamo con cognizione di causa, non con i toni disgreganti e critici, quanto per ricostruire e rilanciare, perché nel nostro cuore esiste sempre la linfa vitale e pulsante del “Ualano”, del pontelandolfese verace e autentico. E qui ci ricollega alla prolusione di questa rubrica:

“Già!La nostra gente sembra sempre più distratta e preoccupata; annoiata e apatica; indifferente e impertubabile; delusa e involontaria; disillusa e insoddisfatta; indignata e scoraggiata; diffidente e talvolta melensa.Le aggettivazioni non sono un esercizio nè recitano una liturgia, ma vogliono segnare i confini di un disimpegno intellettuale che si registra diffusamente nella nostra piccola, ma adorata comunità.Sempre più imbrigliata in un pericoloso labirinto psicologico. Sempre più avvinta dal vorticoso filo dell’omologazione culturale del villaggio globale. Sempre più delegante, pervasa di cinismo e individualismo.

E’tempo di reagire a questa dilagante pigrizia intellettuale. E’ tempo di scosse e di riscosse.

Il torpore dell’anima fa covare il fuoco sotto le ceneri. L’indignazione sta diventando rabbia, ma prima di far discendere qualsiasi fondamento di questi risentimenti dagli altri; prima di morire di inerzia e apatia,dobbiamo provare ad esaminare le nostre coscienze, per chiederci cosa fare, prima di quanto fatto e magari ritrovare dentro di noi,una forma di speranza per il futuro di tutti.

La riscossa può venire dalla nostra consapevolezza di popolo, dalla riscoperta della nostra vera identità, dal rinnovamento dello spirito, dalla formazione culturale delle nostre generazioni future. Il territorio sociale ha bisogno delle radici della nostra cultura per recuperare il senso dell’appartenenza, anche con dabbenaggine se necessario.”

Si dice che a 40 anni si impara a prendere piena coscienza di se stessi, comprese tutte quelle sfaccettature “più scomode” che ci si è nascoste negli anni verdi e si fa pace con se stessi accettandosi per quello che si è: con debolezze, difetti, idiosincrasie e imperfezioni che rendono ognuno di noi unico e inimitabile. Per questo :”Una memoria per il futuro” resta il nostro motto.

Chiudiamo respirando oggi come allora, le atmosfere bellisime di quella magica serata del Saracino alle porte del Cilento, dove il debutto fu bellissimo. Tra gli spettatori c’era anche la cantante Giovanna, allora era famosa, che apprezzò dalla sua toscanità, la bellezzza dei costumi e fu travolta dalla tarantella che allora durava trenta minuti, per la ricchezza delle figurazioni ed il crescendo della musica e del ritmo. La danza della nostra anima.A proposito del magico realismo!

IMG_9733

 

Auguri Ualanegli, auguri a noi, auguri a Pontelandolfo anche nel ricordo dei tanti ualanegli che non sono più, tra i tanti: Mario Testa Sabatino, Pasqualino Vessichelli, Ezio Baldini,Elda Rubbo, Corrado De Michele,Nicola Lopez, Don Emilio Matarazzo…ecc…

NICOLA DE MICHELE

RIPRODUZIONE RISERVATA ALL’AUTORE E ALL’EDITORE