I giorni della merla: leggenda italica

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I giorni della merla: leggenda italica

A proposito di italicità, lo zibaldone nazionale comprende, tra le tradizioni italiche, i giorni della merla. Una leggenda affascinante che ha diverse varianti che la riguardano lungo la penisola; ma sono due le cose che restano comuni: i merli e i giorni.

Il 29, 30 e 31 gennaio, sono i tre giorni della merla, ovvero i tre giorni più freddi dell’anno.

Sono quei giorni in cui, da noi a Pontelandolfo, la “voria strina”.

Il termine “voria” è un grecismo del nostro idioma, comune ad altri dialetti meridionali e non solo, sta per la bora, o meglio il vento di tramontana che spira dal nord(letteralmente in greco voria significa appunto vento del nord).

Il termine “strina” è la declinazione del verbo strinare, indica l’azione raggelante del vento nello specifico. Lo troviamo con diversi significati nei vari dialetti d’Italia. La piena rispondenza del significato che gli attribuiamo noi pontelandolfesi, lo troviamo nei dialetti ciociari( e non è un caso). La derivazione questa volta è latina “austrina”, femminile sostantivato di “austrinus”il vento austro. Quindi, in altre parole, il vento che porta il gelo. In altri dialetti meridionali, come il salentino o il calabrese, ha altri significati, come strenna, regalo. A dispetto del continuum linguistico. Beata ricchezza culturale della nostra terra, che da indigeni, troppo spesso, non rispettiamo, non amiamo; a contrario la deridiamo e la disprezziamo. Dovremmo, invece, pensare a meritarcela questa fortuna!

Comunque a Pontelandolfo, giocando con le parole, la bora soffia stridendo e facendoci stridere i denti,per il freddo gelido.

Gli anziani del paese ne facevano nel lunario, la previsione metereologica del clima di tutto l’anno.

La leggenda è legata al mese di gennaio, mese alquanto dispettoso, specie verso i merli che avevano un piumaggio bianco e con un bel becco arancione.

Ebbene, a beneficio di chi non la conosce,la leggenda racconta che una merla,strapazzata da gennaio che si divertiva nei 28 giorni che contava sino ad allora, a calare sulla terra, freddo e gelo, decise di fare provviste per l’intera durata del periodo e si rinchiuse nella sua tana.Il fondo di verità sulla durata del mese si riscontra, in quanto nel calendario romano gennaio aveva 28 giorni.

merla

Siccome la merla, superato il “periodo pericoloso per lei”, usciva e si divertiva a cantare sbeffeggiando il mese di Giano. Fino a quando per sorprendere la merla e quindi vendicarsi, gennaio prese in prestito tre giorni da febbraio.

Giunto al 29esimo giorno la merla uscì dalla tana, ignara di cosa l’aspettasse. Gennaio scatenò bufere di neve, vento, pioggia e gelo. La merla si rifugiò in un camino e vi restò per tre giorni. Quando ne uscì il candido piumaggio era diventato nero brillante per la fuliggine del comignolo.

Da allora, si dice che i merli sono diventati tutti neri e gennaio diventò di 31 giorni, a spese di febbraio.

Se nei tre giorni della merla farà molto freddo la Primavera arriverà presto e sarà bella;in caso contrario tarderà con tutte le conseguenze sul ciclo vitale dell’ambiente. A giudicare dalle previsioni metereologiche di quest’anno, sembra che l’anticiclone prevarrà e quindi la primavera tarderà.

Come dire che i merli uniscono l’Italia più di ogni altra cosa, vista la diffusione e le interpretazioni che se ne fanno un po’ ovunque, nelle varie regioni d’Italia. Non sarà che essere merlo vuol dire essere ingenui? Sarà, ma crediamo che gli ingenui salveranno il mondo e come recita un proverbio popolare che “quando canta il merlo siamo fuori dall’inverno”.

Dalla proverbiale facilità con la quale la merla impara qualunque melodia, la nostra gente, sempre speranzosa e preconizzante, ha tratto ispirazione e dedicato grazie ai suoi poeti rusticani, una canzonatura, metafora della vita,riferita ad una coppia di merli, piena di doppi sensi e sfottò, che scorre sottile e leggera, affonda i concetti, ma non diventa mai volgare e scostumata.

Il tema è quello della seduzione:un maschio anziano che ricorre alla sua sagace creatività per raccontare al giovane cosa può succedere quando gli ardori verso la femmina, prendono il sopravvento. L’erudizione della pratica e dell’esperienza si ribalta nella natura, traducendosi nella saggezza delle ovvietà.

Il richiamo della femmina che canta ed incanta, mentre il maschio in preda alle fregole, si spinge oltre la passione, domate dalla sagacia muliebre che in un calembour di pretesti conduce all’esplorazione della geografia anatomica femminea, oggi li chiameremmo preliminari. Recita lo stornello pontelandolfese:

“’E la merla quann’ chiov’

‘ndà r’ p’rtus s’ và a ficcà

và r’ mèrl’ cchiù ‘ngazzus’

piglia e ficca ‘ndà r’ p’rtus

…e addò t’ha m’zzcat’

e m’ha m’zzcat’ per’

per’ cu per’ cà mò s’n’ vè

com’ vè s’n’ và

votta fora merulà

… e m’ha m’zzcata coscia

coscia cu coscia

cà mò s’n’‘ngoscia…

…e m’ha m’zzcat panza

panza cu panza

ca non c’è crianza…

…e m’ha m’zzcat vocca

vocca cu vocca

cà è tropp’ sporca…

…e m’ha m’zz’cat front’

front’ cu front’

cà è tropp’ a l’ammont’…”

(vernacolo pontelandolfese)

La traduzione in italiano, più che letterale,deve essere sensata.

E la merla quando piove,si và a rintanare.Giunge il merlo,più che arrabbiato, eccitato:prende subito a fare l’amore. Allora,la merla per sottrarsi all’arrembaggio mascolino, accampa una serie di scuse, provocando l’esplorazione virile, dichiarando di essere stata morsa lungo il corpo, partendo dal basso verso l’alto, in un crescendo di assonanti termini, nel più o meno pieno rispetto della rima. Dal piede che se ne viene,alla coscia che gli mette ansia,alla pancia che non richiama alla buona educazione, alla bocca che diventa sporca, per finire alla fronte che è troppo in alto. Come è venuto il merlo così deve andarsene, ritirando le sue particolari attenzioni dalla merla.

Come si può notare il componimento potrebbe sembrare licenzioso, ma non arriva mai ad essere volgare, nonostante i doppi sensi. E’ chiaro che la personale immaginazione ed esperienza può determinarne l’interpretazione.

A proposito di interpreti di questa canzonatura,le cui origini si perdono nei tempi dell’enorme patrimonio della nostra cultura, l’ultimo che l’ha restituita è Antonio Varrone, detto Ciaccione. In questa foto Ciaccione nella declamazione della Merla a Waterbury nel 1990, presso il Club della Comunità di Pontelandolfo in USA:

antonio

Nel Mezzogiorno d’Italia è difficile da ritrovare, ma tra le popolazioni contadine del settentrione ci sono diverse manifestazioni analoghe e legate a questi giorni della merla.

Un detto napoletano recita: “Nce capimme a sische, diceva ‘o merulo a’ mugliera”,”Ci capiamo a fischi, diceva il merlo alla moglie”.

Seguiamo l’esempio della merla, rintaniamoci in attesa della bella stagione, senza mai abbandonarci al torpore.

 

NICOLA DE MICHELE

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