IL MIO CANTO LIBERO…
OVVERO RESPIRI DELL’ANIMA AL TEMPO DEL COVID-19
Nessuno dei profeti del passato prossimo e/o remoto avrebbe potuto immaginare quello che sta accadendo all’umanità intera. Archiviamo e quindi facciamo memoria del periodo più strano del nostro vissuto. E’ stata una condizione imponderabile in tutte le sfumature dei significati del termine: sconosciuto, inimmaginabile, indeterminabile. Mentre ci prepariamo alla cosiddetta seconda fase facciamo tesoro e quindi cultura nel riprendere domande e riflessioni, pensieri e parole nel senso più ampio dei termini stessi, sorte nella ormai ultra-quarantena obbligatoria. Il tempo è diventato ”sospeso” come la consuetudine del caffè a Napoli ; ma quel 21 febbraio sembra più distante di quanto non lo sia nella realtà ; il mondo ha rallentato come l’effetto di una moviola che conta lentamente il passaggio dei fotogrammi di un’azione veloce, mentre la terra ha continuato a girare se il giorno si è alternato con la notte. Questo “nobile virus” attaccando principalmente i polmoni lascia tutti senza fiato, persino in tutti quelli non affetti da altre patologie. La “mattanza” delle persone anziane vittime di questa pandemia è stata esecrabile : la superficialità di alcuni atteggiamenti ci ha fatto rinunciare all’enorme patrimonio culturale che essi rappresentavano. Per questo il presente ci lascia attoniti e preoccupati, con lo sgretolarsi delle certezze , l’avvenire suona più che mai, come un evento imponderabile, ma è anche vero che l’imponderabile schiuda sempre nuove opportunità , ci consegna ad esperienze spirituali sconosciute o ritrovate o alle ragioni indeterminabili di una scelta. Il ponderare è ritrovare il nesso tra il pesare ed il pensare che non è solo metaforicamente consonante nel passaggio da corpo a mente ma esplodono nel nesso etimologico che non si poteva sospettare. Allora se il corpo fa fatica a respirare, non lo fa l’anima. Dando il giusto peso ai nostri pensieri; in quest’era digitale la vita è più virtuale che reale, tanto che ci sembra dipendere da tante cose e non più dagli elementi essenziali come l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il calore dei focolari domestici e il cibo che traiamo dalla terra che ci circonda; piuttosto siamo più dipendenti dalle reti locali con e/o senza fili, se o meno collegate tra di loro, per dialogare in un mondo sempre più inteso come realtà virtuale. Simuliamo situazioni reali mediante macchine appositamente create. Tanto che anche questo flagello pandemico del Coronavirus-19 sembrava inizialmente lontano da noi, come un gioco elettronico alimentato dalle notizie che arrivavano dalla Cina. Come in tutte le cose della vita, fino a quando non ci tangono non riusciamo a capirle: un dolore, una sofferenza, una malattia, un dispiacere, una disperazione o gioia, goduria, salute, felicità e consolazione. Il virus quando è comparso è stato sottovalutato. L’umanità “onnipotente” fino al delirio, capace di manipolare la genetica, ha visto sfuggirsi di mano un essere invisibile capace di togliere la vita. Ci siamo addormentati in un mondo e ci siamo svegliati in un altro, prigionieri nelle gabbie dorate delle nostre case, confinati coattivamente per limitare la diffusione di un essere invisibile. Abbracci, strette di mano, baci, sono diventati armi di distruzione di massa più che di distrazione. Ci guardiamo mantenendo le giuste distanze, ma quanta diffidenza in quegli occhi che fuoriescono dalle mascherine ancorate al nostro viso. Il non visitare genitori, figli e amici è diventato addirittura un atto di amore. Improvvisamente il potere, il denaro e la bellezza non hanno più il valore che come umanità gli avevamo attribuito prima del virus coronato. Se il nostro mondo sta col fiato sospeso, la terra continua a girare e finalmente respira: l’aria, l’acqua, gli animali e le piante stanno meglio ed abbiamo capito che siamo ospiti e non padroni. Questo virus ha sferzato un colpo mortale all’umanità intera che si rialzerà come l’araba fenice, ma dovrà imparare dai propri errori. La colonna sonora di questa scena della vita si sposa coi versi di Mogol nella canzone di Battisti “Il mio canto libero”.
“In un mondo che / prigioniero è / respiriamo liberi io e te / e la verità / si offre nuda a noi / e limpida e l’immagine ormai. / Nuove sensazioni / giovani emozioni / si esprimono purissime in noi / la veste dei fantasmi del passato / cadendo lascia il quadro immacolato / e s’alza un vento tiepido d’amore…”
Mi piace pensare che questo tempo sospeso, surreale, strano e disperato è giunto per farci innamorare nuovamente della vita, quella vera. Già, un nome femminile che per questo andrebbe corteggiato come una bella donna. Non lo facciamo più da tempo immemore. La davamo per scontata e la ignoravamo così presi dal rincorrere il tempo, le cose, il denaro che non riuscivamo a percepire il fascino e la sua meraviglia. La sorgente dei nostri sensi, delle nostre emozioni consegnata all’abbandono, all’oblio del pensiero e del sentimento. E allora? Ci voleva l’isolamento per farci riscoprire valori repressi, le parole intrise di sentimenti, di intenzioni e di attenzioni. Non stiamo riaprendo sepolcri ma scrigni di preziosità; si dischiudono pensieri come boccioli di rosa, con messaggi che volano nell’etere attraversando la forza del vento e diventano attese dolci come le lettere che ci scambiavamo negli amori adolescenti, custodi di emozioni che toccano l’anima.
Questo isolamento forzato ci fa desiderare di incontrare le persone più o meno care come eventi degni di una festa. Così assaporiamo di gusto ogni parola, ogni gesto, ogni sorriso e riscopriamo ogni luogo di appagamento delle nostre più profonde aspirazioni come la genitorialità ,la figliolanza, la vicinanza, la solidarietà, la comprensione. La distanza non ci allontana, al contrario ci avvicina. Nella mancanza di un incontro, l’affetto si rafforza e i legami si corredano dei ricordi, si colorano dei pensieri e l’immaginazione corre realizzando ogni desiderio dell’anima. Lo spettacolo della natura che si risveglia, che sboccia nella primavera: un seme che germoglia, un’ape al lavoro, il volo di una farfalla. Il trionfo della semplicità e della spontaneità: un umanesimo
rinascente, risorgente. La consapevolezza di una solitudine ostracizzata da un’entità invisibile. Siamo soli con noi stessi e ci rilassiamo nella nostra naturalezza e dilatiamo i nostri tempi in una salutare lentezza che non possiamo praticare nell’abituale quotidianità. Sperimentiamo la mancanza di cose, di persone, di luoghi, di sensazioni, prediligendo l’essenziale al superfluo. Si risvegliano le fantasie, la creatività, l’inventiva e le passioni dimenticate. Abbiamo visioni più ampie e riusciamo a capire le insoddisfazioni, le gratificazioni, i fastidi e i desideri. E’l’alba di una sensibilità dimenticata, un ritorno al futuro delle nostre identità. Facciamo che sia un anno di fine settimana, di tante domeniche(oggi diventate giorni come gli altri, ma un tempo erano feste per davvero), perché il mondo un giorno finirà, ma non domani…
Nicola De Michele
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