Una settimana da raccontare…ovvero la Settimana Folkloristica: la nascita.
Riallacciando i fili del nostro racconto, la rinascita del folclore Pontelandolfese fu legata poeticamente all’ombra di quel tiglio che non c’era più.
Come mostra la foto dell’epoca, aveva ceduto per vecchiaia ma era parte integrante della nostra storia, tanto che ancora oggi tra paesani spesso ci si dà appuntamento “sott’a la Teglia”, intendendo l’attuale Piazza Roma.
Il tiglio nei paesi veniva utilizzato come albero simbolico.La longevità di quest’albero è millenaria e procede all’accrescimento in modo lento. Impiega circa 150 anni per diventare adulto. E’ un albero di grande significato mitologico, che veniva posto a dimora nei luoghi di incontro dei borghi medievali.Lo spirito del tiglio si dice che favorisca l’incontro tra gli opposti ed è sempre stato associato alla femminilità per il suo aspetto dolce ed accogliente. All’ombra delle sue foglie a forma di cuore si prendevano le decisioni politiche più importanti e si esprimevano giudizi civici.Ecco spiegato il perché del nostrano “Sott’a la Teglia”. Oggi in quello stesso posto dove dimorava quel vecchio tiglio che aveva ceduto per vecchiaia, noi vogliamo immaginare che portasse con sé , pagine della nostra storia millenaria, è stato posto un nuovo tiglio che possiamo considerare un neonato, visto il lento accrescimento di natura. Ed è a quell’ombra che riesaminando gli avvenimenti e la storia della nostra comunità,sin qui ricordati, tutto ci riconduce al mese di agosto. Come se un filo saldo legasse a questo mese tutto il destino di Pontelandolfo, nel bene e nel male. Quasi tutti gli episodi significativi del nostro popolo sono avvenuti… mentre gli altri erano in vacanza!
La personalità di Don Emilio Matarazzo,ritenuta “difficile” da alcuni, meravigliosa ed encomiabile dai più, dopo anni di ricerca appassionata, di contatti, di studio, riesce a focalizzare e ad entrare in “simbiosi” con la popolazione locale. Gli usi e i costumi della nostra gente lo prendevano nell’anima e nel corpo; direi una passione irrefrenabile. Riuscì a conquistare il consenso della gente “zampittara”, coinvolgendola nella loro stessa cultura. Un’empatia istantanea! L’insegnamento principe che da lui e da quel magnifico drappello che riuscì a mettere insieme, ci è pervenuto,lo possiamo definire con un’unica parola: la passione; ma sì, aggettivabile a piacimento. Può essere civica, culturale, storica, sportiva e chi più ne ha più ne metta,ma il senso dell’appartenenza resta il filo conduttore che ci lega saldamente alla nostra terra. Noi e chi come noi, sposammo questa causa, grazie agli esempi concreti che ci hanno perpetrato. In tutto questo c’è la fierezza e l’orgoglio di essere e rappresentare la comunità di appartenenza. Facemmo nostro l’aforisma di Hegel :”Nel mondo mai nulla di grande è stato fatto senza la passione”. La generazione precedente alla nostra, ancora sopravvivente, conserva quella legittima aspirazione di vedere Pontelandolfo emergere sempre, mentre noi che ne raccogliemmo il testimone di questa ipotetica staffetta, spesso soffriamo quando non cogliamo nelle generazioni susseguenti quello stesso fuoco sacro. Forse noi fummo più fortunati, perché abbiamo vissuto e siamo cresciuti in quei tempi, con Suor Concetta a fare da “braccio armato” ad alimentare quel fuoco sacro della filosofia di Don Matarazzo, ma certo è che ci appelliamo alla comprensione dei più quando sembriamo avvolti da questa forza occulta che ci preme da dentro: è semplicemente passione. Come per Don Emilio, questo atteggiamento a volte può essere frainteso e può cozzare con altrui interessi e quando questi appartengono ai poteri forti rischi di bruciarti e… l’abbandono. Ma questo è un altro film che proietteremo più avanti. Il Parroco di allora, partì dall’assunto fondamentale che tante feste in una sola stagione, disperdevano il senso stesso del festeggiamento e dell’intrattenimento, senza nulla togliere all’aspetto religioso. Concentrando i festeggiamenti in un’unica manifestazione, avrebbe dato maggiore forza e visibilità al paese, mentre la spiritualità veniva rispettata e rafforzata essa stessa, tenendo separato il programma civile e divagativo da quello religioso. Del resto un paese fondato da monaci benedettini cassinesi non poteva non curare la propria spiritualità. La scelta dei santi da venerare in una comunità si sa che è legata ad episodi o miracoli avvenuti o alla devozione di qualche famiglia agiata per senso di gratitudine. E a Pontelandolfo eretta dal monachesimo benedettino ce ne sono tanti. Certamente la prima chiesa ad essere eretta fu quella della SS.Annunziata, in quanto era posta in continuazione delle originarie mura del castello di Pontelandolfo, nei pressi dell’omonima porta in vernacolo “Porta N’nciata”. L’episodio biblico dell’Annunciazione doveva essere molto importante per i benedettini, da dedicargli addirittura una chiesa vicina ad una delle porte di ingresso del borgo originario con ospedale annesso. Le ultime testimonianze su questa chiesa, oggi sconsacrata e di proprietà demaniale e per questo chiamata Antico Tempio dell’Annunziata, ci vengono da Daniele Perugini nella sua Monografia su Pontelandolfo. L’autore riporta che esistevano 5 Parrocchie: oltre la predetta, vi era la Chiesa Collegiale del SS.Salvatore ancor’oggi esistente e facente funzione; poi San Felice, Sant’Angelo e San Pietro. Come si può intuire, tranne la Chiesa Madre, nessun’altra delle Parrocchie era dedicata ai santi venerati ancor’oggi. Mentre altre chiese conosciute erano dedicate a santi diversi e madonne varie. A cominciare da Santa Maria degli Angeli sorta in un angolo dell’attuale Piazza Roma per opera dei Gesuiti in missione nel 1400 circa, nei pressi della casa canonica. Più tardi la Madonna prese una strada irta con la dedicazione della cappella in montagna che originariamente era dedicata a San Michele e San Nicola. Più recentemente Don Giovanni Casilli fece sorgere, non tanto distante dal posto originario, la nuova Chiesa di Santa Maria degli Angeli in piazza Concetta Biondi, pertanto la preferita di chi svrive, ha due templi dedicati. Vi erano, inoltre, le cappelle allora rurali di San Rocco e più avanti di San Donato (oggi un’edicola votiva). Altre cappelle vennero dedicate alla Madonna Addolorata, a Sant’Anna, Santa Caterina (da cui la contrada),San Fortunato e San Giovanni della Croce delle quali si sono perse le tracce. Come si può notare manca una chiesa dedicata al Patrono titolare che è Sant’Antonio. A latere di questo excursus spirituale, Don Emilio aveva inteso mettere in sequenza i festeggiati che erano otto, per questa la settimana si compone di otto giorni. Restava fuori Santa Giocondina che aveva diritto di cittadinanza nella rappresentazione del Dramma Sacro che avrebbe dovuto seguire anche la sua tradizione dei sette anni. Folkloristica, poi, era per dare impulso al neonato gruppo con la riscoperta dei costumi ottocenteschi che meglio potevano rappresentare lo spirito e la cultura della nostra gente. Del resto il significato letterale di floklore è “il sapere del popolo” e da prete Don Emilio desiderava che si svelasse l’anima del pontelandolfese attraverso la rievocazione di antiche pratiche popolari attraverso la musica, il canto e la danza. In questa circolazione culturale trovava lo sbocco più naturale per Pontelandolfo. Era un visionario che voleva smantellare anche la credenza della “jastema j’ttata” sul nostro popolo di non trovare mai pace e continuità fino alla distruzione. Nel corso del 1964, chiamati a dovere tutte le risorse possibili ed immaginabili del paesello, organizza la Ia edizione della Settimana Folkloristica.
Già, proprio in quel formidabile anno che ha cambiato l’Italia; e se esistono anni che “pesano” più di altri, diventando simboli, segnando epoche, questo è stato il 1964.Fu l’anno in cui entra in funzione la prima Autostrada quella del Sole inaugurata da Aldo Moro Presidente del Consiglio e Antonio Segni Presidente della Repubblica.Collegava Milano a Napoli, passando per Bologna:Nord e Sud si danno la mano.Si inaugura il primo traforo stradale, quello del San Bernardo. I bar hanno i primi jukebox, Gigliola Cinquetti trionfa prima al Festival di Sanremo e poi all’Eurosong Contest con “Non ho l’età”. Compaiono i primi topless sulla spiagge italiane, muore Togliatti nel mese di agosto tanto per cambiare ed il Comandante dell’Arma dei Carabinieri, Giovanni De Lorenzo, tenta il colpo di Stato e, infine e soprattutto, la Ferrero lancia una crema al cioccolato squisita, destinata a diventare un simbolo dell’italianità nel mondo: la Nutella. Per non esser da meno il nostro beneamato parroco dell’epoca lancia il simbolo della nostra pontelandolfesità: la Settimana Folkloritica. Sentiva molto la sana rivalità con Morcone, che nel frattempo, dopo due anni di fermo (1961 e 1962) riprendeva l’Estate Morconese raggiungendo la Settima edizione. Nel fondere fede e tradizione, il nostro eroe dei due mondi (religioso e civile), rompe la monotonia artistica della provincia. Il nostro paesello indossa l’abito delle feste, con uno splendido addobbo luminario. Si cominciava dal Viale che con una sequenza di archi di tanti colori trapassava dal vecchio rione di San Donato alla piazza, attraversando il rione San Rocco. L’intera Piazza Roma era circoscritta da una sequenza di disegni vari ridondandi in tanti colori, mentre al centro, vicino alla fontana, venne posta la cosiddetta Cassa Armonica; nello spazio esistente tra il palazzo di Don Antonio Boccaccino e quello di Gaetano De Michele, oggi riempito con una nuova costruzione, si ergeva il palco utilizzato per le recite del dramma sacro di Santa Giocondina.
La Ia Settimana Folkloristica di Pontelandolfo ebbe questo programma civile:
1,2 e 3 Agosto : Dramma Sacro di Santa Giocondina;
4 e 5 Agosto : Varietà Folkloristico;
6 Agosto : Concerto Bandistico Città di Miggiano (Lecce)
7 Agosto : Aurelio Fierro, Lucia Valeri, Monica Del Po, Tullio
Pane e Mario Trevi.
La prima osservazione che possiamo fare è che la prima edizione fu fatta rispettando i 7 giorni, considerando San Nicola a San Michele un tutt’uno. Si cominciò con Santa Giocondina a distanza di soli 4 anni dalla precedente, interrompendo quella che era una tradizione quasi secolare. Di questo il nostro eroe non se ne preoccupava; piuttosto fece in modo che la fede potesse carpire la tradizione e fluire nel sano intrattenimento.
Nella logica delle cose non poteva mancare l’esibizione del Gruppo Folkloristico e si celebrarono due serate all’insegna del Folk.
Alcuni baldi “ualani” in attesa dello spettacolo. Si notano alle loro spalle le sedie per ospitare gli spettatori ed un palo con le luminarie.
Il Complesso bandistico poi, oltre al concerto di musica lirico-sinfonica, accompagnò la processione dei Santi Donato e Rocco. Mentre la serata finale fu affidata a cantanti della grande canzone napoletana, che in quei tempi furoreggiava a livello internazionale più delle canzoni in italiano.
Ai tre big della serata, furono affiancate due bellissime esordienti della canzone napoletana delle quali sappiamo ben poco: Lucia Valeri e Monica Del Po. Si esibì,inoltre l’allora giovinotto Mario Trevi, nome d’arte di Agostino Capozzi e capostipite di una numerosa famiglia di artisti napoletani e ancora vivente. Il suo era un repertorio che si rifaceva ai classici della canzone napoletana ed è famoso per essere stato invitato da Totò a cantare la sua Malafemmena più tardi. L’altro big era Tullio Pane, grande tenore napoletano che oltre ai classici napoletani, cantava anche in lingua italiana e vinse il Festival di Sanremo nel 1955 con la famosa Buongiorno Tristezza. E’scomparso nel 2001. Ma il big dei big della serata fu senz’altro Aurelio Fierro. Sannita-irpino di nascita in quel di Montella, frequentò il liceo a Benevento, per poi laurearsi in Ingegneria a Napoli. La sua passione per il canto napoletano però prevalse. Nel 1956 vinse il Festival di Napoli, che all’epoca era più prestigioso di quello della canzone italiana, con la ormai celeberrima “Guaglione” e passando e spassando da un balcone all’altro, arrivò all’apice del successo l’anno seguente interpretando Lazzarella di un certo Domenico Modugno che è molto importante per il racconto che stiamo facendo, più avanti.Partecipò anche a sei edizioni del Festival di Sanremo. La canzone per la quale lo si ricorda, però, dopo la sua scomparsa avvenuta nel 2005, è senza dubbio “A’Pizza” che incise due anni dopo la sua perfomance pontelandolfese. “Ma sì tu vulive a pizza pizza a pizza e nient cchiù” recitava un verso di questa canzone con cui chiudiamo questo intervento così, perché dopo la pizza non ci va niente di più, se non lo spettacolo dei fuochi d’artificio. Appuntamento con le altre e successive edizioni di questa meravigliosa Settimana da raccontare…la nostra Folkloristica!
NICOLA DE MICHELE
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