27 gennaio: il giorno della memoria
“La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, <<Giorno della Memoria>>, al fine di ricordare la Shoah(sterminio del popolo ebraico),le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che,anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”
E’l’articolo 1 della Legge n.211 del 20 luglio 2000,la nostra nazione riconosce l’olocausto del popolo ebreo. L’istituzione di una giornata dedicata al passato supera la storia ed ogni storiografia, anche quella negazionista.
In effetti, come il nostro popolo ha imparato sulla propria pelle, tra storia e memoria non vi è un’assoluta corrispondenza. Vi sono delle differenze e nello stesso tempo il rapporto tra storia e memoria e denso di inquietudini, pur riferendosi entrambe al passato. Ma in fondo quel passato non è mai passato, anzi ritorna. Corsi e ricorsi storici?…
Ci piace ricorrere alle parole usate dallo storico francese Pierre Nora:”Memoria e storia:lungi dall’essere sinonime, noi ci rendiamo conto che tutto le oppone. La memoria è la vita, sempre prodotta da gruppi umani e perciò permanentemente in evoluzione, aperta alla dialettica del ricorso e dell’amnesia, inconsapevole delle sue deformazioni successive, soggetta a tutte le utilizzazioni e manipolazioni, suscettibile di lunghe latenze e improvvisi risvegli. La storia è la ricostruzione, sempre problematica e incompleta di ciò che non c’è più. La memoria è un fenomeno sempre attuale. Un legame vissuto nell’eterno presente: la storia è una rappresentazione del passato. In quanto carica di sentimenti e di magia, la memoria si concilia con dettagli che la confortano;essa si nutre di ricordi sfumati, specifici o simbolici, sensibile a tutte le trasformazioni, filtri, censure o proiezioni. La storia in quanto operazione intellettuale e laicizzante, richiede analisi e discorso critico. La memoria colloca il ricordo nell’ambito del sacro, la storia lo stana e lo rende prosaico. La memoria fuoriesce da un gruppo che essa unifica, ciò che equivale a dire che ci sono tante memorie quanti gruppi; che essa è, per sua stessa natura, molteplice e riduttiva, collettiva, plurale ed individualizzata. La storia,al contrario, appartiene a tutti e a ciascuno, aspetto che le conferisce una vocazione all’universale. La memoria si radica nel concreto, nello spazio, nel gesto, nell’immagine, in un oggetto. La storia si installa nelle comunità temporali, nelle evoluzioni e nei rapporti tra le cose. La memoria è un assoluto mentre la storia non conosce che il relativo.”
La memoria è un passato che non è mai passato, anzi ci fa rispondere alle sollecitazioni del presente “affinchè simili eventi non abbiano mai più ad accadere”.
La nostra condizione di popolo martoriato, ci rende più inclini, propensi e sensibili verso situazioni, eventi che abbiano analogie, similitudini,affinità, a questo punto, elettive.
Certo il martirio dei nostri avi fu un contributo certamente più esiguo rispetto a quello pagato dal popolo ebreo o dai Rom e Sinti all’epoca del nazi-fascismo. La storia è piena di genocidi e l’elenco sarebbe una lunga litania dolorosa da recitare. Ma le vite umane non possono misurarsi solo con i numeri. Ciò che conta è che ogni vita umana ha un valore inestimabile e quando succedono cose mostruose, ai comuni canoni della mente umana risultano incomprensibili e le definiamo semplicemente “follia”: follia degli uomini, follia di un popolo, follia di Hitler,follia di Cialdini ecc…
Ecco perché dare memoria alla memoria diventa un dovere.La Bibbia stessa ci sprona a non dimenticare. Mosè raccomanda al suo popolo nel Deuteronomio:”Ricorda i tempi antichi,cercate di comprendere gli anni dei secoli trascorsi, interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno…”
In effetti quest’affermazione non può suonare come un invito a fondare la nostra esistenza sul passato che ci appartiene. Anzi la memoria che si perpetra di generazione in generazione, è il più potente antidoto contro la morte. I valori che trasmette la memoria, non sono altro che giudizi di cui ci dotiamo nel corso della storia. E quali sono quei valori?
Il primo dei nostri valori si chiama civiltà: che rispetta la dignità umana, che supporta i più deboli col principio della solidarietà.
Il secondo valore è quello di riconoscere e valorizzare la varietà umana, la ricchezza delle altre culture,delle altre lingue, delle altre religioni. La diversità va prima riconosciuta in ognuno di noi per poter interagire, perché non siamo isole: la libera circolazione delle idee per resistere, in un’epoca votata alla colonizzazione culturale.
L’ultimo valore è il dialogo, come confronto, come trattativa che possono superare i contenziosi, le radicalizzazioni, le esasperazioni.
In chiusura di questo intervento un contributo personale alla memoria di questo giorno.
Nel 1993, in quanto “Ualanegli”, in occasione della nostra partecipazione al Festival di Zakopane in Polonia, abbiamo potuto percorrere, vivere i luoghi di Papa Giovanni Paolo II, oggi Santo, nei pressi di Carcovia, decidemmo, insieme agli altri componenti di quel meraviglioso gruppo,visto che c’eravamo, di visitare l’ex-campo hitleriano di Auschwitz-Birkenau, in polacco Oswiecim.
Pur essendo piena estate, nel mese di agosto, fu un’esperienza raggelante. Avevo avuto modo di studiare la storia, di vedere qualche filmato. Ma la visione di quei luoghi suscitò emozioni, pensieri, riflessioni incredibili.
L’atmosfera. A distanza di tanti anni l’aria sembrava ancora tetra, uno scenario di morte incombente. E non era certo suggestione. Il più noto dei luoghi di genocidio, il più grande cimitero di popoli del mondo, si disvelava ai nostri occhi.Per il genere e le dimensioni dei delitti ivi perpetrati, quel luogo è assurto a simbolo del male, della follia umana che agisce in un sistema totalitario basato sul razzismo e sulla prevaricazione.Il disprezzo dell’uomo per l’uomo. Fin dove la mente umana può spingersi è di dolorosa lettura. Il paradosso,poi, della scritta in tedesco all’ingresso: “Il lavoro rende liberi”.
Per i credenti è la negazione della fede e dell’esistenza di Dio. Di quel Dio che aveva consentito quella follia. Di quel Dio che era restato in silenzio. Dio non è morto solo sul Calvario, ma anche lì dove si respira un’aria rarefatta dall’odore della morte.
Secondo Einestein i luoghi del male denunciano l’assenza di quel Dio,che pure esiste, nella logica del libero arbitrio lasciato all’umanità stessa.
Può un essere umano diventare così disumano nei confronti di un suo simile?
Ma i diritti umani dove iniziano e dove finiscono?
Ad Auschwitz-Oswiecim le risposte a questi e a tanti altri interrogativi, si trovano… e questa è la nostra memoria. Ci resta la responsabilità di non dimenticare.
NICOLA DE MICHELE
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