“Perdonate, signore, questa è la mia patria”

“PERDONATE, SIGNORE, QUESTA È LA MIA PATRIA”.

UN OTTIMO LIBRO PER CAPIRE PERCHÉ AL SUD “SIAMO COME SIAMO”.

IMG_8543È più che mai efficace fin dal titolo il libro di Liliana Isabella Surabhi Stea, “Perdonate, signore, questa è la mia patria. Perché siamo come siamo” (in tutte le librerie online). Si tratta di una frase riportata da Goethe nel suo viaggio a Napoli e che, come evidenzia l’autrice, “tocca il cuore”: “Giunti sulla vetta di una collina, ci si offrì allo sguardo una vista propriamente meravigliosa. Napoli in tutta la sua magnificenza… Il ragazzo che stava dietro il nostro veicolo tacque per un istante, quindi mi batté leggermente sulla spalla, e stendendo il suo braccio destro fra noi, coll’indice teso in direzione della città, disse ‘Signore, perdonate, questa è la mia patria!’. Con queste parole mi recò sorpresa una seconda volta, ed a me, povero abitante delle regioni nordiche, vennero quasi le lagrime agli occhi”. Ce lo spiega bene Pino Aprile nella sua introduzione: “Liliana Stea fa una psicanalisi dell’Unità d’Italia con visioni e strumenti mai utilizzati” in una sorta di approfondimento di quella che lo stesso Pino Aprile definiva “minorità” nel suo best-seller “Terroni”: “storia negata, violenza taciuta ed esplorazione psicologica” al centro delle sue indagini con il racconto di fatti anche noti ma in una prospettiva del tutto diversa e che li rende del tutto nuovi. Questo libro, allora, spiega a chi non sa quello che deve sapere ma anche a chi sa cosa sa e a che serve quello che fa magari in una prospettiva autenticamente meridionalista. E così, con una grande capacità di scrittura anche letteraria e anche con semplicità e una leggerezza mista a ironia, si descrivono teorie psicanalitiche, sociologiche, storie e miti. Il libro è anche “figlio” del percorso di studi e di lavoro dell’autrice: specializzata in neuropsichiatria, per anni ha lavorato presso il Policlinico di Bari dedicandosi, poi, in particolare, ai rapporti tra psicoanalisi e strutture societarie ed è stata forse questa la base per affrontare il tema della questione meridionale con questo tipo di approccio.
“Per la maggior parte della vita non ho fatto altro che mettere le mani nel dolore altrui -scrive la Stea- e contestualmente nel mio per cercare di alleviarlo a entrambi… Poi ho letto la storia del Regno delle Due Sicilie e ho ripreso a mettere le mani nel dolore. Il paziente in questo caso è il mio Sud che oscilla tra sottomissione e ribellione”. E come si fa con i bambini che vengono educati anche attraverso la paura, così la politica nei confronti del Sud adotta sistematicamente dei “ministeri della paura”: cosa potrebbe succedere ai meridionali se smettessero di stare nel loro “recinto sicuro”? Di lì la difficoltà di un vero risveglio dei meridionali… Tra soldati e “briganti, del resto, tra Francesco II di Borbone e Fenestrelle, gli antenati degli attuali meridionali “si sono rifiutati di rassegnarsi” (ecco l’importanza del passato e della sua conoscenza) ed è questa una strada non ancora percorsa per una (vera) risoluzione della questione meridionale e, del resto, la sua mancata risoluzione rende quanto mai necessario pensare ad altre strade.

Tutte risposte alla domanda centrale: com’è stato possibile che un popolo dignitoso e fiero, in buona salute, pronto a combattere per la sua terra, lavoratore e felice di vivere sia diventato il popolo meridionale rassegnato e stanco e carico di questo “senso di indegnità” di oggi?
“Da oltre 150 anni gli dicono che se è più povero di loro è colpa sua, solo sua e che anzi loro, i parenti ricchi, hanno sempre fatto tutto il possibile per migliorare il suo status, ma non è stato in grado, mai, di cogliere le occasioni, di sfruttare gli aiuti… e mettersi così al loro livello annullando il dislivello iniziale. Arrivano a dire che lui, Sud, è una palla al piede per il laborioso ramo Nord della famiglia, e che se smettesse di tener conto dei rapporti di parentela, passandogli aiuti di ogni tipo, oh beh, diciamola tutta, sarebbe ben più ricco e sviluppato”. Sembra una rassegna stampa di questi ultimi giorni ma anche degli ultimi 150 anni.
“Chi, dopo l’invasione piemontese e gli eccidi non è emigrato, o non è morto, ha vissuto per il resto della vita con la paura, tacendola e serbandola come unica arma di difesa per salvare la vita. Paura ed impotenza sono i sentimenti rimasti ai sopravvissuti”. E sono questi i sentimenti prevalenti nel racconto del Sud di oggi insieme alla difesa accanita e in fondo inutile di tesi ampiamente superate e smentite in questi anni: cancellare le certezze sui Garibaldi eroici o sui Borbone “pessimi” ha prodotto spesso, come sappiamo bene anche grazie a numerose esperienze personali, “reazioni di forte contrarietà e di angoscia profonda perché un assetto dato per buono viene stravolto: a noi esseri umani i cambiamenti non piacciono, vogliamo stare tranquilli con le nostre certezze, e poco importa se ce le fanno pagare carissime”. Così si sottolinea anche il vero e proprio stravolgimento di un intero mondo con i camorristi e i mafiosi che diventano classi dirigenti e con la criminalizzazione di un intero e secolare apparato di tradizioni e valori radicati in tutto il Regno delle Due Sicilie. “Uno scontro tra due civiltà: quella venuta dal Nord, da tempo in preda alla nascente massoneria liberal borghese, atea e laicista, pilotata dall’Inghilterra, e quella italiana, residente fin dai tempi della Magna Grecia nell’attuale Sud della Penisola, allora governata dalla Dinastia dei Borbone, cattolica e tradizionalista”. “O briganti o emigranti”, allora: “smetti di lottare solo se l’amato muore. Questo hanno fatto i sopravvissuti che hanno combattuto e poi deciso di emigrare. Quando hanno constatato la morte del loro mondo e del loro modo di vivere precedente”.
Le prove oggettive di tutto questo la Stea le rintraccia tra le Collezioni di Leggi e di Decreti, tra le descrizioni dei viaggiatori o tra le riflessioni del filosofo santo Thomas More e il suo cattolicesimo sociale (realizzato dai Borbone), tra quei valori cristiani e le idee di solidarietà e comunità che in diverse scelte del governo del tempo si potevano rintracciare.
Interessantissime e documentate le ricostruzioni dei diversi metodi educativi nel Sud e nel Nord prima dell’unità per la realizzazione di questa sorta di “terapia della coppia Nord/Sud” e con qualche speranza per il futuro: la possibilità che da una certa parte dell’Italia si possa riacquisire quella forma di rispetto/affetto verso l’altra parte. Di certo i segnali ricevuti in questi giorni di emergenza non sono proprio confortanti ma noi, con Liliana Stea, non smetteremo mai di sperare e di augurarci un futuro diverso per le popolazioni meridionali (e italiane).
“Questa nostra gente si è abituata a non ricevere il giusto, a ricevere invece insulti, sfruttamento e promesse vane. La terapia ribadisco è arrivare a parlare della violenza che ha prodotto la schiavitù e che la protrae, recuperarne la memoria, scoprire la ferita, riconoscere il proprio status di vittima. Questa è la cosa più difficile in un contesto che te lo rivolta contro accusandoti di vittimismo, ossia di assumere un atteggiamento, mentre il tuo, che sei vittima, è uno status”. La soluzione? “Rivendicare a gran voce il dolore, passato e presente, senza mai stancarsi finché non si ottiene il rispetto di sé, che è un Diritto, non un Favore”.
Preziose le appendici documentarie con diversi passi della storia delle Due Sicilie di Giacinto de’ Sivo, la storia delle eccellenze mediche e quella idea di sanità associata alla bellezza (in particolare agli Incurabili di Napoli), le avveniristiche “indicazioni” sociali, politiche ed economiche della comunità di San Leucio, il decreto per il reddito di povertà assicurato dai Borbone ai meridionali. Come diciamo spesso, del resto, pure i massacri e i saccheggi si possono in qualche modo e con il tempo “recuperare”: più difficile rientrare in possesso di identità e dignità cancellate e questo libro ci aiuta in questo percorso. “Cocci sparsi e ricomposti”, allora, quelli dei popoli meridionali ed è il segno distintivo di tutte queste pagine, la missione vera di questo libro. Una missione di cui il Sud (e forse la stessa Italia) ha più che mai bisogno se vogliamo assicurare ai nostri figli e ai nostri nipoti un futuro degno del nostro grande passato.

Gennaro De Crescenzo