La Cappa che incombe e la spada per bucarla
Cos’è questa strana sensazione di disagio che ci accompagna? Quella nausea di vivere giorno dopo giorno in questo frangente, in questo clima… Ci sfugge la chiave, il senso del presente, ne avvertiamo solo lo scorrere e il naufragare. Ci manca qualcosa di essenziale ma d’impreciso. Ci manca il respiro, e non sappiamo dire in che senso, in che modo, perché. È come se fossimo sotto una Cappa. Sì, una Cappa. È la definizione meno vaga; indica una sensazione che ci prende al petto e non sai dire se risale dai polmoni, dal cuore, o se scende dalla mente al cuore, al petto, fino a chiudere la bocca dello stomaco. Incombe sul mondo, non solo su di noi. La scriveremo con la lettera maiuscola. Una Cappa ci opprime, la sua densità ci impedisce di vedere oltre, di leggere dentro, che poi vuol dire essere intelligenti; di essere vivi a pieno respiro. Ne avverti il peso anche se la Cappa non ha fattezze e non ha confini, non si può misurare o paragonare, è ineffabile e avvolgente. Ci sei dentro, dunque non puoi valutarne l’ampiezza, lo spessore, la consistenza. Ti sono preclusi altri mondi e altri modi di vivere. Lo strascico pesante della pandemia è la commutazione della Cappa sanitaria in abito mentale e rete di restrizioni negli ambiti civili, social, ideologici, culturali. È il nuovo paradigma. Gli obblighi e divieti sanitari si fanno inibizioni e controlli. La terapia si fa sistema.
È lì, impalpabile e reale globale senza essere universale: ti sembra fisica ed è metafisica, ti sembra metafisica ed è fisica, atmosferica, stratosferica. Dittatura automatica, per ricadute successive.
La crisi sanitaria ne ha ampliato e accelerato il corso, che estende la sua applicazione. La Cappa è un po’ come il clima, un’oppressione ineffabile. E tuttavia la Cappa quando scende a livello umano e terrestre si può definire la Cupola in gergo ecclesiastico-mafioso. È il ceto dominante che sovrasta la società; i vertici della finanza, della tecnica, dei social media, della salute, dell’industria, dell’alta burocrazia e delle istituzioni o che esercitano l’egemonia sulla cultura e le accademie, lo spettacolo e la comunicazione. Anche la politica è sovrastata da una Cupola fissa. La casta, la classe, la nomenklatura, sono sue ulteriori figurazioni e propaggini.
Oggi il sistema si chiama establishment, è un assetto “neutro” ma imperante, e il potere si chiama governance; è una cupola, priva di un vertice. Dominio acefalo. Il suo brodo di coltura si chiama mainstream. Ha una valenza “politica” perché attiene comunque al comando, alla direzione di una società tramite i poteri e le idee che la dominano. La Cappa, invece, è qualcosa di più anonimo e climatico, tocca la sfera esistenziale e pervade le menti, le anime, permea lo Spirito del Tempo; intacca la visione del mondo, della realtà, i rapporti tra gli uomini e con le cose. Si insinua nel nostro organismo e minaccia la nostra salute, messa a dura prova dalla lunga pandemia; si fa questione sanitaria, ricerca d’immunità e terrore di contagio, prossimità e assembramenti. È forte la sensazione di vivere dentro o sotto una Cappa d’aria infetta e sospetta. Coprirsi, mascherarsi, trattenere il respiro, distanziarsi. Ma questa apnea va ben oltre le restrizioni sanitarie, è ormai una mentalità, un modus vivendi. È il passaggio dalla società aperta alla società coperta, in cui la Cappa assume le sembianze della sorveglianza globale e adotta la gabbia di divieti e oscuramenti. Un’atmosfera, o qualcosa che la impregna profondamente.
La Cappa è globale, anzi è la rappresentazione del globale che veglia su di noi. I pensieri si fanno rancidi, le idee appassiscono perché prive di linfa e di luce…
Allora ti chiedi: ma in che mondo viviamo? Sotto la Cappa tutto perde contorno, confine, consistenza reale, memoria e visione. I sessi sconfinano e mutano, le differenze scolorano e si uniformano, la natura è abolita, la realtà è revocata, i territori perdono le frontiere; la nuova inquisizione censura e corregge, il nuovo regime di sorveglianza globale traccia e controlla la vita tramite l’emergenza e la priorità assoluta della salute, o del vivere ad ogni costo. Ma anche il passato sparisce, col gran reset della storia, tramonta ogni civiltà, a partire dalla civiltà cristiana; spariscono i luoghi, compresi i luoghi di lavoro, in una società delocalizzata, senza territorio. Tutto appare sfuocato. La schiavitù prosegue a domicilio, con l’home working. Ti senti straniero nel tuo mondo, ma soprattutto nel tuo tempo. Se perdi il mondo ripieghi su te stesso, in un selfie permanente; la Cappa favorisce il narcisismo solitario e patologico di massa. Ti fai icona di te stesso. E intanto deperiscono le proiezioni oltre la propria vita: la storia, la comunità, l’arte, il pensiero e la fede, ogni fede. La Cappa occulta la bellezza, la grandezza, il simbolo, il mito, il sacro. Negandoci altre visuali ci nega altri mondi, altri tempi, altre luci. Viviamo nel peggiore dei mondi possibili, abbiamo raggiunto il punto più basso nella storia dell’umanità? No, non il più basso, non il peggiore, semmai il punto di non ritorno.
Non disponiamo di altra arma, di altro potere, che la nostra facoltà di capire: l’intelligenza è la spada che salva o almeno perfora la Cappa asfissiante. La spada è arma d’altri tempi, eroici e cruenti, ora è solo allegorica e simbolica, come quella di Excalibur o quella evocata da Gesù Cristo nel Vangelo di Matteo: “Sono venuto a portare non la pace ma la spada”, ovvero non rassegnazione e conformismo ma critica tagliente e ribelle, quando è giusto e necessario. E se non possiamo cambiare il mondo cambiamo almeno il nostro sguardo sul mondo e il nostro modo di essere al mondo. La spada, questo reperto nobile e belluino, combatte i mostri e i draghi del nostro tempo. La Cappa e la spada, la maiuscola Cappa, la minuscola spada…
*“La Cappa. Per una critica del presente”, il nuovo libro di Marcello Veneziani
MV, La Verità (2 febbraio 2022)