DUE SICILIE: LE DRAMMATICHE CONDIZIONI NEL 1862, IN UN LIBRO DI OSCAR DE POLI
Una straordinaria testimonianza di un osservatore straniero, scritta con stile di giornalista, sulle condizioni di quello che era stato il Regno delle Due Sicilie, nel 1862, a meno di due anni dall’unificazione dell’Italia.
È l’analisi, corredata da cifre e citazioni dai verbali delle sedute del Parlamento di Torino, del visconte francese Oscar de Poli (1838-1908), che nel 1860 giunse in Italia, come tanti altri giovani legittimisti pro- venienti da tutta Europa, per difendere il Papa, e combatté a Castelfidardo (18 Settembre 1860), dove fu ferito dai piemontesi.
Il suo dossier sulle conseguenze dell’unificazione nell’attuale Sud è stato recentemente pubblicato (Oscar de Poli, “Viaggio nel Regno di Napoli nell’anno 1862”, Stamperia del Valentino, Napoli 2019, pp. 375, € 28,00) con una introduzione di Gennaro De Crescenzo.
Alla fine del 1861 – scrive de Poli – i detenuti nelle carceri dell’ex Regno delle Due Sicilie ammontavano a 48mila, sotto i Borbone non avevano mai superato le 4mila unità, con una minima quota di detenuti per reati politici. Il Piemonte aveva allungato fino a due anni la carcerazione preventiva senza processo. Le imposte, aumentate fino al 63% del reddito pro-capite, mentre con i Borbone erano limitate a “11 franchi e mezzo pro-capite”, servivano a ripagare il pauroso deficit accumulato nelle “guerre di indipendenza”, un’eredità che l’Italia attuale si è portata appresso, come ha riconosciuto l’economista Vito Tanzi, ex direttore del Dipartimento di Finanza Pubblica del FMI: “È innegabile che la nascita dell’Italia sia stata segnata da un peccato originale, vale a dire l’enorme debito pubblico che avrebbe accompagnato il nuovo Paese”(cfr. Gennaro De Crescenzo, “I peggiori 150 anni della nostra storia”, Editoriale Il Giglio, Napoli 2012, p.57).
Nella seduta del Parlamento di Torino del 7 giugno 1862 il ministro delle Finanze del regno d’Italia, Quintino Sella, dichiarò: “Il regno d’Italia spende novecento milioni ogni anno ed ha introiti per soli quattrocento milioni” ed il giornale di Torino “L’Opinione” forniva queste cifre: “Il debito pubblico in dieci anni si è accresciuto di 925 milioni (di lire, n.d.r.), ammontando così a sei miliardi”.
Le finanze del Regno delle Due Sicilie furono saccheggiate dal nuovo Stato italiano. Secondo il rapporto del segretario generale delle finanze e dei lavori pubblici, il piemontese Vittorio Sacchi, inviato a Napoli dal nuovo Governo, “Il numerario del Banco di Napoli che, al 27 agosto 1860 era di 77 milioni 265.460 franchi, al 27 settembre, vale a dire all’indomani della proclamazione della dittatura, era ridotto a 31 milioni 600.460 franchi e dal 2 aprile seguente, – cioè la data delle venuta del re Vittorio Emanuele – a 24 milioni”.
La reazione divampava: secondo il deputato di Napoli Giuseppe Ricciardi, ad Aprile 1862 a Napoli c’erano circa 6mila fermati come “sospetti di borbonismo”, un nuovo reato introdotto dai vincitori.
In Inghilterra, alla Camera dei Lord, il marchese di Normanby, Costantine Phipps, nella seduta del 7 luglio 1862 intervenne sul trattamento che veniva inflitto ai prigionieri e sintetizzò così la repressione nell’ex Regno delle Due Sicilie: “(…) su una popolazione di otto milioni di individui che contiene il regno di Napoli, 25mila appena hanno preso parte alle votazioni per l’annessione (il plebiscito, n.d.r.) ; ed ecco seimila persone gettate in prigione per aver ostacolato la volontà del popolo, rappresentata dai quei 25mila…”. (LN145/20)
Posted by altaterradilavoro on Apr 6, 2020