Dai ciabattini alle popolane con la pistola. Gli eroi dimenticati del Risorgimento
Alberto Leoni racconta la lotta per l’unità d’Italia vista dal basso
Matteo Sacchi – Mar, 28/04/2020
Se scendete nell’ossario di Custoza realizzato tra il 1877 e il 1879 con uno sforzo comune dal Regno d’Italia e dall’Impero d’Austria (erano tempi in cui i morti nemici si rispettavano ancora come i propri) vi troverete circondati dai teschi di 1894 caduti.
Resti per lo più senza nome. Guardati da vicino fanno passare rapidamente l’immagine delle guerre risorgimentali come guerre da cartolina, da Libro cuore. Forse meno numericamente devastanti di quelle che seguirono, chiesero comunque un tributo di sangue consistente. E un tributo che non fu pagato solo da una ristretta élite di illuminati, corsa a salvare i destini patri mentre il popolo dormiva, anzi.
È sulla partecipazione dal basso al Risorgimento che si gioca la narrazione del saggio di Alberto Leoni appena pubblicato da Ares e intitolato Addio mia bella addio Battaglie ed eroi (sconfitti) del Risorgimento (pagg. 400, euro 18).
Leoni, esperto di storia militare (tra i suoi saggi Storia militare della campagna d’Italia, 2012), da largo spazio nella sua narrazione agli sforzi di chi si buttò nella mischia sua sponte e spesso, proprio per questo, pagò caro il suo volontarismo che faceva a cazzotti con i meccanismi della politica, della diplomazia e anche con le logiche degli eserciti regolari, soprattutto con quelle arcigne delle truppe sabaude. Ne esce una narrazione vivace che illumina, dal basso, alcuni particolari episodi. Non tutti ignoti, anzi, però spesso raccontati senza prendere atto di quanto grande sia stato lo spirito di sacrificio di chi, per ribaltare la celebre massima di Massimo D’Azeglio, era già italiano quando l’Italia era ancora tutta, o in buona parte, da fare.
Leoni da grande spazio ad esempio ai molti popolani che sacrificarono la loro vita sulle barricate delle Cinque giornate di Milano. Molto bello il racconto della lotta accanita per la presa del palazzo del Genio, in via Monte di Pietà, rimasto uno dei capisaldi cittadini in mani austriache e presidiato da 160 soldati. L’attacco viene portato dai rivoltosi con l’appoggio di alcuni cannoncini auto costruiti. Il comandante degli insorti, Augusto Anfossi (nizzardo che ha militato nella legione straniera), viene colpito in fronte da una fucilata proprio mentre manovra uno di questi pezzi. Il suo posto viene preso da Luciano Manara (un giovane e facoltoso borghese milanese che cadrà difendendo Roma nel 1849) che continua l’attacco senza riuscire a giungere alla vittoria. A cambiare tutto è l’azione di un ciabattino zoppo, Pasquale Sottocorno. Appoggiandosi alle grucce, incurante delle fucilate, bagna di acqua ragia la porta del palazzo e vi appicca il fuoco.
In questa minuscola battaglia c’è tutto: l’avventuriero votato alla causa italiana, il giovane borghese di cui spesso si parla nelle cronache sul Risorgimento, ma c’è anche l’elemento popolare spesso dimenticato. E non da ora. Sottocorno, dopo il ritorno degli austriaci, dovette scappare a Torino dove continuò a vivere come calzolaio. Morì il primo ottobre 1857 per tisi polmonare, all’età di 38 anni. Morì dimenticato tanto che Francesco Domenico Guerrazzi (il triumviro toscano dei moti del ’48) scrisse di lui un elogio che era più che altro una critica feroce a tutti coloro che l’avevano lasciato nell’oblio per nove anni: «La natura quando nacqui mi benedisse, come il vescovo quando mi cresimò, con uno schiaffo». E nel libro sono molte altre le storie di Risorgimento plebeo e anche al femminile. Come nel caso di Luigia Battistotti, sposata Sassi, che avvicinatasi a una pattuglia austriaca toglie la pistola a un soldato e prende prigionieri cinque militari. Per tutte e Cinque le giornate Luigia combatte in prima linea sparando con micidiale precisione e abbattendo una dozzina di soldati. Alla fine per noi oggi queste non sono persone, le ricordiamo al massimo per le vie che portano il loro nome. Nel libro di Leoni rivivono tutte.
Addio mia bella addio è una canzone del 1848 che cantavano i giovani volontari che combattevano per la libertà dell’Italia.
Di quei ragazzi oggi restano i teschi negli ossari di Custoza, di San Martino e in tanti altri luoghi d’Italia. E allora, per capire cosa animava quei giovani è necessaria una narrazione «dal basso», una storia militare che porti a immedesimarsi negli uomini di quel tempo, oggi così svalutato. Alberto Leoni ha ripercorso i campi di battaglia di allora, camminando su quei colli, in quei vigneti, visitando le case che ancora oggi portano i segni delle cannonate. E ripercorrendo quelle strade, salendo su quelle alture o visitando quelle cascine, il lettore riuscirà a varcare il cancello del Tempo, riappropriandosi così del passato per capire meglio il presente.