Cronaca minima di un viaggio nei libri.
Di fronte a me, nel “Frecciarossa” che mi porta a Torino, una giovane signora che legge. E che ogni tanto sbircia “Classi pericolose”, l’ultimo nato di Enzo Ciconte, che mi sto sciroppando avidamente dalla partenza. Poi, poco prima dell’arrivo, la telefonata di un amico rivela la mia destinazione, il Salone del libro. E allora la signora rompe il ghiaccio e mi spiega che la meta è comune. È incuriosita dal libro di Enzo, estasiata dalla bellezza della copertina, si meraviglia di non conoscerlo. Le spiego che è fresco di stampa, nelle librerie da meno di ventiquattrore, e sorride: “io dovrei saperlo”. E mi dice che lavora in una grossa libreria napoletana: ha chiesto un permesso per una toccata e fuga, Napoli-Torino e viceversa nella stessa giornata, una faticaccia, ma non poteva farne a meno, il richiamo fascinoso del libro vince anche le fatiche …Provare per credere! E sorridiamo insieme, complici senza volerlo, ci capiamo senza bisogno di aggiungere altro. Un saluto all’arrivo, uno veloce scambio di recapiti e la promessa di andarle a salutarla in libreria quando passerò da Napoli.
Ecco, la Fiera è anche questo: odore della carta, incontri, scoperte e tanto altro … Il Lingotto è stracolmo di gente: due cose mi colpiscono immediatamente: la fiumana di giovani che si aggira nei padiglioni e le tante, diverse inflessioni dialettali (tra le quali tante, tantissime meridionali)
Raggiungo Peppino Piacente e tutta la squadra Secop allo stand della Regione Puglia: ed è un’altra scoperta, non c’è bisogno di consultare la mappa del padiglione Oval: la Puglia si vede da lontano, con il suo splendido festone di luminarie da festa padronale e con il gigantesco ulivo di “ferro e carta da pagine di libro” di Nicola Gengo. Sono più di trenta gli editori pugliesi presenti, molti dei quali (e tra questi Secop e Pos edizioni) anche con uno stand autonomo. E così per le altre regioni del Sud, dalla Sicilia alla Calabria. Insomma, il Sud c’è, e non in un angolino nascosto: e ci sono tante delle sue case editrici, da quelle affermate come Rubbettino a quelle emergenti come Cafiero & Marotta; ci sono tanti autori meridionali, da Erri De Luca, a Maurizio De Giovanni e Luigi De Magistris (scusate se è poco!) Trovo perciò singolare l’asserzione di chi – non perdendo l’occasione di dare sfoggio di quel vittimismo esasperato e di quel complesso frustrante di “minorità” che connotano un certo meridionalismo – parla di “dimenticanza” e di “marginalità” del Mezzogiorno nel contesto complessivo della kermesse torinese. Verrebbe da pensare che chi, per un motivo o per un altro, non c’è o non è stato invitato a partecipare, non trovi di meglio che minimizzare la presenza meridionale, esacerbando divisioni che proprio non hanno ragion d’essere in una festa del libro. Certo, non posso nasconderlo, le case editrici del Nord la fanno da padrone. Non starò certo qui ad analizzare le ragioni del concentramento quasi monopolistico dell’editoria “nordista”, ma non posso fare a meno di notare – en passant – come anche chi si propone come paladino delle ragioni del Sud (e, in questo caso, della sua imprenditoria locale) scelga poi di pubblicare i suoi lavori proprio con …gli editori di quel concentramento … Bah!
A me piace citare l’esempio dei duecento e passa titoli “pesanti” che la “Cafiero & Marotta” di, udite, udite, Scampia (si, proprio della “terribile” Scampia), espongono in bella mostra: è l’esempio di un’imprenditoria meridionale sana, quella che si rimbocca le maniche, che vince gli stereotipi del pregiudizio e dell’abitudine all’assistenzialismo pubblico e … si afferma: non con l’intensità del lamento, ma con quella del sudore.
Mi dicono che qualcuno ha sostenuto come nei tantissimi appuntamenti del trentaquattresimo Salone non si sia parlato di Sud, se non occasionalmente. Potrei, per esperienza diretta, contestare facilmente questa inesattezza, ma preferisco sorvolare: non ci posso fare nulla se qualcuno ritiene che non si parli di Sud se … non è chiamato lui a parlarne (e, talvolta, a sparlarne).
Torniamo al Salone, alla mia esperienza personale: incontri, dicevo all’inizio; tanti, come le scoperte. Nuovi (come quello con Vincenzo Dervish e Annamaria; “vecchi” (come quello con Angelo Coscia).
Partendo per il Salone avevo deciso di non comprare libri e me ne torno con un borsone stracolmo. Succede sempre così: so resistere a tutto, come diceva Oscar Wide, meno che alle tentazioni …
E, a margine (ma anche al centro) di tutto, un selfie gioioso riannoda casualmente fili che non si erano mai del tutto spezzati. Angelo, anche per questo, soprattutto per questo, grazie. Semplicemente grazie.
Valentino Romano