La giovane pittrice giapponese mi ha dato l’appuntamento alle quattro del pomeriggio di domenica, nel suo atelier nella città vecchia di Seoul. Mi ha mandato per email le indicazioni per raggiungerlo ( qui gli indirizzi non esistono) e sono così precise e dettagliate che neanche io posso sbagliare .
L’ho conosciuta casualmente, ad una cena.
Quando lei ha saputo che vengo dall’Italia, non mi ha mollato più.
Lei non è mai stata in Italia, me lo ha detto sorridendo:”Perché non ho soldi. non me lo posso permettere!!”.
Sorrido anch’io e, scherzando, le dico che adesso sono arrivato io e lei non ha più bisogno di venire in Italia”. E mi chiede se voglio andare al suo atelier a vedere le sue opere.
Sorride. E io accetto.
È incinta all’ottavo mese, precisa.
C’è una luce nel suo sguardo che solo le giovani mamme possono avere.
Quando arrivo al suo studio, mi accoglie festosa. Non le porgo la mano (e molto scortese da queste parti) e mi inchino goffamente.
Lei è gentile, mi porge un pennellino e un foglio di pergamena, mi chiede l’autografo, e, se voglio un “haiku”.
Non mi viene in mente niente e faccio uno sgorbio a caso.
Poi lei mi mostra i suoi acquerelli su carta e mi spiega la simbologia densa che ha voluto dare. Mi perdo tra tartarughe, pavoni e tigri.
Io, sinceramente, capisco una parola su tre. Ma annuisco interessato e ogni tanto, quando lei si interrompe, le dico “Really?” Sgranando gli occhi. Questo deve piacerle molto perché continua a spiegarmi cose che non capisco con molta concitazione.
Poi, non so perché, lei mi chiede di Caravaggio: il mio pittore preferito.
Io che non sono un critico d’arte mi spertico su un discorso infinito perdendomi nei dettagli, esagero, mi ripeto.
Ecco questo è il punto in cui all’improvviso sono entrato in buco spazio-temporale.
Che ci faccio io qui, in un’atelier di una pittrice, in un vicolo della città vecchia di Seoul a spiegare la pittura di Caravaggio a una giapponese incinta ?
Come ci sono finito qui ?
Dov’è che lo spazio normale e il tempo normale si sono interrotti?
In questi casi la mia anima si separa dal corpo e vola appollaiandosi su una trave di legno della vecchia stanza e mi guardo da lontano. Incredulo.
Poi le parlo di Firenze di Napoli e di Venezia e lei mi guarda estasiata.
Poi mi chiede un commento sulle sue opere, e io, che sono un imbecille, le dico che il suo più grande capolavoro deve ancora arrivare: è nel suo pancione.
Per fortuna non capisce.
Oppure è così gentile da non farlo notare.
Ma la prossima volta, dico io, non mi posso stare zitto??
Carlo Perugini