Vittoria Italiana nella Grande Guerra

Vittoria Italiana nella Grande Guerra: evento declassato?
Studenti e contadini, reduci, morti o feriti dal 1915 al 1918 vittime di serie b?

Premessa e amara constatazione
In questo 2018 ricorre il centenario della Vittoria Italiana nella Grande Guerra che alcuni chiamavano anche IV Guerra d’Indipendenza. Evento importante che mi sembra trovi distratti i politici e le istituzion: Nessun paragone col 1961, soprattutto nelle scuole. Credo che questo clima sia dovuto al retroterra culturale ed ideologico degli occupanti la stanza dei bottoni, provenienti e formatisi nei partiti che non amavano la Nazione, pacifisti a corrente alternata, impegnati a sentenziare sulle guerre giuste ed ingiuste, apologeti delle lotte di liberazione, specialmente se sponsorizzate dalla ex Unione Sovietica: Non a caso tali partiti abolirono la festività del IV Novembre. La percezione della gente è di un’aria di “damnatio memoriae” più che di celebrazione della compiuta Unità d’Italia auspicata da Dante, Petrarca, Machiavelli, Vico, Manzoni, Pisacane, Mazzini, Cavour e Garibaldi. Tale atteggiamento è offensivo ed irriguardoso nei confronti dei 650.000 morti e del milione di feriti che indossarono il grigioverde, assieme agli altri 4 milioni di mobilitati, che, nell’Italia povera della pellagra, della tisi e della malaria, compirono pienamente il proprio dovere, senza essere eroi o guerrafondai.

Macro Storia e microstorie (intreccio) come riconoscimento agli uomini comuni: zi’ Nicola
Da piccolo conobbi uno di questi e lo ricordo spesso, non perché legato all’età felice, ma perché genuino ed emblematico rappresentante dei nostri paesi, della nostra gente, del nostro tessuto sociale, del “Mondo Piccolo” e dell’Italia che fu. A Pantuliano nel vico Testa, con la moglie Clementina Veltre (?) , abitava Nicola Testa-zi’ Nicol maulon’-,padre di Giuseppe, Michele, Natale, Giovanni, Annina, Maria e Pasquarella. Aveva un’asina ed un carretto e fumava una pipa di creta rossa con la cannetta gialla, in due pezzi, che riponeva, per volontà di zé Cremmentin’, dietro un vaso, all’inizio della scala. Portava la fibbia della cintura dei pantaloni dietro. Era analfabeta e dei numerosi settimanali illustrati che gli portava il figlio Angelo leggeva solo “i pagliacci” che mi spiegava a modo suo. Da giovane era stato più volte in America -cu’ legn’- facendo un mese di traversata; parlava dello “scieff” e “managgier” con la pronuncia classica dei nostri emigranti. Credo che andasse in Usa con contratti stagionali a costruire ferrovie e raccontava spesso un episodio capitatogli sul lavoro. Per combattere il freddo gli davano la classica bottiglietta di Wisky dei film americani che lui conservava nell’armadietto, ma, la trovava quasi sempre vuota. Quando scoprì che a rubargli “a ueskei” era un polacco di due metri, prese una bottiglietta vuota e ci urinò dentro; teneva lo “stesso colore ra ueskei”, precisava. Allorché il polacco si allontanò per la bevuta a scrocco lo seguì e si godette la scena dello stesso che trangugiato il primo sorso comincio a sputare ed imprecare: “Nek… gaddamm… salammabecc (son of…) !!!”. A quel punto zi’ Nicola chiosava: …teggia ‘mparat… (ti ho insegnato). Altro suo pezzo forte era la novella del garzone che, punito dal padrone perché non usava le parole gergali insegnategli per le cose, la notte che la casa prese fuoco, diede l’allarme secondo il vocabolario impostogli ed il padrone invece di mettersi in salvo si vantava con la moglie di aver saputo ammaestrare anche uno sciocco simile. A fine agosto ammucchiava 2 o 3 carrettate di granturco nel cortile comune del Vico Testa, appendeva una lampadina da “50 cannel’ “, su un tavolino, in un angolo, metteva il bottiglione di vino, salsiccia e dolci fatti dalle figlie e quasi tutti gli abitanti del Vico Testa, fino a tardi partecipavano “ cu’ chiuov’ o u puzzuch’ o spruogl’ ru raurinj”( col chiodo o col legno appuntito allo scartocciamento del granturco). Nell’occasione, Gelsomina Testa, con la pazienza e la dolcezza che solo i nonni possono avere, sceglieva le foglie più bianche e più tenere per rinnovarmi “u saccon’ ro lettariegliu”. Mobilitato nella Prima Guerra mondiale, zi’ Nicola fu mandato “aji cunfin’, a Monfalcone” sul Carso, con le guardie al gelo, i disagi della trincea, i superiori rigidi, i divieti e le consegne assurde. Là gli si congelarono i piedi e dovettero amputargli le dita. La convalescenza in ospedale era ricca fonte di narrazione di episodi tragicomici. Il più ricorrente, memoria a parte, riguardava il suo stupore di quando il nuovo vicino di letto gli chiese di aiutarlo a togliersi gli stivali: “… sanct’ a maronna, jett’ a tirà e se n’ venett tutt’ a coscia!!!…”. Senza le dita dei piedi l’equilibrio è precario, perciò portava scarpe col sottosuola di ferro che periodicamente andava a ritirare a Caserta. Oltre il fumo, altro motivo di polemica con “ze Cremmentin’” (Testa è tuosto, ripeteva) erano le ginocchia dei pantaloni sporchi di terra o rotti poiché zi’ Nicola, avendo l’equilibrio ridotto, doveva inginocchiarsi per tagliare l’erba “p’ ‘a ciuccia” ed al rientro gli stessi mostravano macchie indelebili o strappi. Nella seconda guerra mondiale morì in Africa settentrionale il figlio Giuseppe (foto allegata) a seguito di ferite dovute ad un mitragliamento inglese. L’inglese imparato da emigrante gli servì quando arrivarono gli americani che si accamparono sul pezzo di terra che coltivava e misero un deposito di scarpe in casa sua, ove gli chiedevano sempre: “Nek dringh-uain?”.
Lo rivedo con la bandiera sulla spalla, il bastone, la camminata lenta ed incerta, aprire la sfilata del IV Novembre a Pantuliano, senza fierezza marziale o compiacimento, anzi mi dava l’impressione che andasse “triste come chi deve” e giunto in piazza, sempre con lo sguardo un po’ pensoso, aiutato, metteva la corona di fiori sulla scritta Piazza Giuseppe Testa dedicata al figlio Peppino. Non ricordo ci fosse la banda a suonare la Leggenda del Piave. Non so se sia riuscito a diventare Cavaliere di Vittorio Veneto.

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Conclusione ed auspicio
L’intreccio di Macro storia e microstorie ci dice che , per il senso delle radici e per orgoglio d’identità, è nostro dovere conservarne ed onorarne la memoria. Nel Centenario della Vittoria che per la prima volta, dai tempi dell’antica Roma, vide il più Grande Esercito, composto di soli italiani, superare un evento come Caporetto ed arrivare alla Giornata di Vittorio Veneto, non è accettabile che qualcuno, per scelta ideologica, questa sì condannata dalla Storia, voglia declassare e trattare quei contadini analfabeti e quei giovani studenti idealisti in grigioverde come, nella poesia di Totò, il supponente marchese trattava “Esposito Gennaro netturbino”, senza che alcuna voce autorevole richiami il senso d’ ‘A LIVELLA. In questo scorcio di 2018, prima del IV Novembre, per mia formazione e per debito verso chi chiamato rispose, mi auguro che D’annunzio, Baracca, Oreste Salomone, Filippo Corridoni, Ettore Muti, Damiano Chiesa, gli affondatori delle corazzate austriache S. Stefano e Viribus Unitis, Nazario Sauro, Cesare Battisti e tutti i zi Nicola d’Italia vengano ricordati degnamente, magari, ove latitino le istituzioni, con iniziative di popolo. Facciamoci storia! Cominciamo?

P.S. Mia nonna materna,Testa Gelsomina “ze Gesummina”, che vendeva i fasci “ ‘e rammegna (gramigna)” all’imbocco del Vico Testa non era parente di zi’ Nicola. Apparteneva ad un altro ramo dei Testa che abitavano nell’omonimo vico e “p’ ‘a scesa sellecata” (discesa selciata), assieme ai fratelli Raffaele con la moglie ze Matalena, Minicuccio “cazzotto” marito di ze Rusella e al fratello del padre zi Francisch“, chiamati “i Bis” perché il mio bisnonno materno, zi’ Peppe, scolarizzato ed a tempo perso scrivano di paese, serviva la messa in latino. Zi Lisandro (u cavalier?), se non sbaglio marito di ze Giuannina e fratello di zi’ Peppe bis, abitava “ncopp’ o marchese” proprio di fronte all’omonimo palazzo. Nel vico abitavano anche il maestro Giuseppe Russo che fu sindaco di Pastorano, Michele Testa, i vascisi zi’ Pascal’ e ze Pasquarella, Jnnaro con la moglie Crestenella e don Antonio Friuozz- Friozzi, con la moglie, maestra Ester(?) Valletta. Il padre di zi Nicola, Angelo -Zi’ ‘Ngiuligl papocchj-, che abitava a pochi passi dalla piazza, a nord-est, sull’angolo di un vicolo, morto nel 1958(?), secondo radio cummarelle, faceva dire una messa a Mussolini perché aveva messo la pensione per i vecchi. Presso i centri documentali dell’esercito- CEDOC- e comuni convenzionati, i discendenti possono chiedere, anche on line, lo stato di servizio (reparti, destinazioni, ferite, menzioni ecc) dei Combattenti della Grande Guerra. Le foto e la cartolina di posta militare sono state fornite dal nipote Lello Testa figlio di Angelo ex finanziere. Mi scuso per eventuali errori di memoria e sarei grado a chi li correggesse: Io ho provato a salvare quella, poco, che ho.

Il presidente di Storia Memoria Identità

Brescia