VALENTINO ROMANO, GRANDE STORICO DEL BRIGANTAGGIO, MI SCRIVE A PROPOSITO DEL MIO TESTO “SUD DA BORBONE A BRIGANTE”
“Carissimo,
ho ricevuto ieri il tuo libro e mi sono immediatamente posto alla lettura. Ho saltato a piè pari la prefazione di Pino Aprile. Questo, non certamente per personale, immotivata (e, soprattutto, inesistente) disistima nei suoi confronti, ma unicamente perché sono abituato a leggere le prefazioni solo dopo aver letto il libro: in questo modo evito di lasciarmi – in qualche mondo – condizionare neller mie valutazioni; una volta letto il libro, mi piace poi confrontare le mie impressioni con quelle del prefatore. Così sarà anche questa volta.
Ho letto subito, invece, e con la dovuta attenzione, la tua introduzione e desidero, senza tanti giri di parole, complimentarmi con te, senza attendere la lettura del resto (che comunque farò senza indugi). Io adoro le ricostruzioni delle storie dei libri, delle loro fortune editoriali, delle loro vicende spesso travagliate: da tempo – ad esempio – mi occupo di ricostruire quelle della Rivoluzione Francese di Salvemini. E tu hai saputo ricostruire benissimo quelle del nostro corregionale De Cesare. Davvero complimenti! Ottima la ricostruzione di quell’atmosfera malinconica che accompagna tutta l’opera del Di Cesare; così come puntuale e attenta è quella della discriminante politico-culturale che accompagnò quel difficile periodo storico anche parecchio tempo dopo il suo immediato evolversi.
Se un appunto (riservatamente e con spirito assolutamente costruttivo) posso permettermi è quello relativo alle conclusioni che tu porti (p. 9) a esemplificazione delle motivazioni della rivolta popolare che passa sotto il nome di brigantaggio.
Non mi pare molto percorribile la tesi secondo la quale la massa dei protagonisti della guerriglia avesse avuto la consapevolezza di opporsi, come tu dici, all’invasione “per pagare i debiti del Regno di Sardegna” e, ancor più “per soddisfare le trame revanscistiche della Gran Bretagna”.
Perdonami, ma davvero sei convinto che i nostri contadini avessero maturato conoscenze e consapevolezze tali da intendersi perfino di bilanci e di politica internazionale? A me così non pare. Non credi che la loro legittima reazione fosse, invece, molto più istintiva e molto meno politicizzata? Non credi poi che generalizzare le molle della rivolta non ne spieghi a fondo le reali cause? Io, chiedendoti scusa per l’ineleganza dell’autocitazione, studio da anni il ribellismo contadino meridionale; e nei miei approfondimenti mi sono reso conto, ad esempio, di quanti “diversi” brigantaggi confluiscano in quello che viene (genericamente e superficialmente) chiamato “grande brigantaggio. Tanto per fare un esempio, non si può equiparare il brigantaggio postunitario calabrese a quello della Daunia: mentre il primo, infatti appare come lo sbocco obbligato della sconfitta delle rivendicazioni contadine intorno alla (da sempre irrisolta) problematica dei demani e delle terre comuni della Sila, il secondo è la risultante di due diverse concezioni dell’utilizzo della terra, sulla quale e per la quale matura la lotta secolare tra pastorizia e agricoltura. E quest’ultima contrapposizione – tanto per citare un personaggio conosciuto (e non sufficientemente studiato) – emerge chiaramente nelle vicende di Michele Caruso.
Ma questo è argomento che ci porterebbe lontano e, certamente, non esauribile attraverso una mail.
Ti ribadisco che l’osservazione è fatta costruttivamente e dettata dalla sola convinzione dell’utilità e della necessità del pacato confronto (che arricchisce molto più delle astiose e sterili polemiche che dilaniano e dividono il mondo di noi cosiddetti “meridionalisti”).
Inutile che ti faccia ancora i miei complimenti.
A te un caro saluto; a me una “buona lettura completa”, cordialmente”.
Valentino Romano
Posso solo ringraziarti carissimo Valentino per l’attenzione che stai dedicando al mio testo e confermarti che per gli storici le critiche non possono che costituire lo stimolo per giungere ad un sapere sempre più aderente alla realtà storica. Valentino sai – ne abbiamo parlato nel passato – che per noi una critica è un valore e diventa oggetto di nuovi e proficui studi, cosa che un piccolo ma nutrito stuolo di accademici non accetta continuando a propagandare una storia agiografica al di fuori di ogni contesto reale.
Caro Valentino, dopo la tua lettera, nel breve giro di due giorni ho letto “L’Europa e la questione napoletana 1861-1870” di Eugenio Di Rienzo che nel primo capitolo “La nazione napoletana prima e dopo il 1860” allarga gli orizzonti su quello che fu considerato un vero e proprio patriottismo borbonico, in cui furono coinvolti nel sostenere la reazione all’invazione militare dei piemontesi non solo i contadini presi dalla questione sociale, ma interi pezzi della società meridionale.
Ti ringrazio e ti saluto caramente aspettando una tua recensione completa del mio testo e naturalmente tutte le critiche che saranno per me un patrimonio di arricchimento personale.
Michele Eugenio Di Carlo