So benissimo che con questo post mi attirerò inimicizie, antipatie e rimbrotti.
Però vale il detto “amicus Plato, sed magis amica veritas”!
Con tutte le conseguenze che ne derivano.
Veniamo al dunque!
Sono veramente stufo di vedere l’universo femminile del brigantaggio postunitario trattato mielosamente, con una raffigurazione zuccherosa ed idilliaca!
Sono stufo di vedere, in una miscela incredibile di realtà e fantasia, rappresentazioni falsate del dramma di queste donne che subirono innanzi tutto la rottura dell’equilibrio familiare prima di quello politico- istituzionale.
Sono stufo di assistere a manifestazioni culinarie con il marchio delle “brigantesse”: si sprecano le sagre dell’arrosto qui, delle pappardelle ai porcini lì … il tutto con la griffe della “brigantessa”. E nessuno che controbatta che quelle poverette mangiavano quando e come potevano, anche solo erbe selvatiche, tuberi e radici!
Sono stufo di osservare improbabili auto rappresentazioni di se stesse con i panni presunti delle brigantesse.
Sono stufo di vedere circolare una improbabile foto di Michelina Di Cesare (come se fosse quella vera) al posto di quella dell’oltraggio della sua morte!
Tra poco avremo anche qualcuno che penserà bene di presentare una linea di lingerie delle brigantesse!
Sono stufo, insomma, dello sfruttamento – anche commerciale – di queste donne Sono stufo di ricostruzioni storiche che di “storico” hanno solo i nomi e i luoghi di nascita!
Vogliamo renderci conto che queste donne non meritano l’ennesimo schiaffo di una lettura distorta?
Vogliamo avere rispetto del dramma di una vita femminile alla macchia?
Vogliamo pensare per un attimo – per esempio – agli imbarazzi del mestruo in totale assenza di privacy? Vogliamo pensare a Michelina Di Cesare che partorisce su un letto di foglie alla presenza di tutta la banda? A Filomena Pennacchio, sbattuta da un casolare all’altro per difenderne la latitanza e la gravidanza? A Giovanna Tito e Giuseppina Vitale scippate dai galantuomini dei loro pochi averi (qualche camiciola e un paio di anellini di nessun conto)?
Vogliamo evitare di farne oggetto di romanzi e novelle alla “Liala”?
Vogliamo veramente immergerci nel loro mondo di sofferenze, nella loro umanità profonda, nelle loro debolezze (e non solo nelle loro eroicità) o vogliamo continuare a rappresentarle per come le immaginiamo noi?
Vogliamo restituire quelle verità che erano state loro negate?
E’ ora di dire basta a tutte le false rappresentazioni delle Brigantesse: quando, or sono dieci anni, raccolsi i frammenti di biografie di un centinaio di esse, intendevo offrire spunti di riflessioni sul loro dramma, non certo fornire materiale perché – in un’ansia di auto rappresentazione – se ne presentasse poi un’immagine idealizzata ma distorta. Perché la narrazione di un personaggio non si fa per come noi ci immaginiamo o vorremmo che fosse, ma per come è veramente Se non è chiaro, sappiatelo! Tra queste donne non c’erano sono eroine e partigiane!
C’erano donne che non sapevano nemmeno chi fossero re Francesco e re Vittorio; c’erano poveracce travolte da una guerra cafona, dal conflitto di classe che quella guerra aveva ingigantito, donne che vedevano attaccata la loro vera patria, la famiglia cioè, i loro affetti; c’erano pure prostitute (per fame e per necessità, intendiamoci, però bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere anche questo perché è semplicemente la verità).
Ma non c’erano donne che vivevano una vita idilliaca, fatta di amori più o meno sdolcinati nel bosco, di abiti caratteristici o di scena, di gioielli elaborati e ricercati e di frivolezze varie: solo una vita di stenti e privazioni, non solo materiali ma anche affettive. Una vita da poveracce, che più poveracce di così non potevano essere (come dimostra qualche foto che allego).
Ed è a queste che va la mia condivisione, la mia solidarietà, il mio rispetto.
Queste sono le mie brigantesse, queste sono le brigantesse, non altre!
Sappiatelo e smettetela di usarle a vostro piacimento.
A loro ho dedicato anni di ricerca ed è per loro che tornerò sull’argomento, riprendendo – seppure con diversa impostazione – la narrazione del dramma delle loro esistenze!
Devo precisare che non mi riferisco a nessuno in particolare, tantomeno a pubblicazioni recenti che apprezzo moltissimo, ma a un atteggiamento generale, diffuso, oggi ricorrente, che tende ad idealizzare e utilizzare queste donne, estrapolandole dal contesto socio-esistenziale in cui sono vissute.
Valentino Romano