Valentina Barile – Mine Viandanti

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Valentina Barile

IN PRINCIPIO ERANO LE MINEVAGANTI

Cosa volete che vi dica, come è cominciato tutto questo? No, non ve lo dico. Anche perché non lo so. Cioè, non so disegnare delle stanghette sulla linea del tempo e dire: Sì, a questo punto è successo questo, dopo, quest’altro.

La mia vita è un fluire continuo di robe. Di robe belle. E tra queste robe belle si è infilata l’Appia.

Una costruzione inconsapevole e uno sconvolgimento di piani che andavano tutti in quella direzione.

Incontri, coincidenze. Andavo dove i miei piedi mi portavano senza che io minimamente me lo chiedessi. E Federica. Federica rappresenta l’Appia della mia vita. Il cambiamento che dovevo attraversare, quello che dovevo conoscere. Tutto è maturato lentamente, senza che io potessi averne il tempo di ragionarci.

Dall’Appia in poi, ma anche giusto un poco prima, io non ragiono più, io vivo.

E Alessio. Alessio che non so come l’ho conosciuto. Ah, già, Facebook. I libri.

Alessio che mi contatta mentre Federica e io siamo nel deserto della Puglia a mangiare cannazze con le mani – perché non avevamo forchette –, scalze e all’ombra dell’uomo di Altamura.

È qui che Alessio mi scrive e mi dice di vederci la sera a cena, e io gli do appuntamento sulla strada per Palagiano.

Quanta bellezza la via Appia degli incontri!

E, forse, è a questo punto che comincia a prendere il volo l’idea di un diario, di questo diario.

E dell’avaria al motore, ne vogliamo parlare? Questo è stato uno dei momenti più esilaranti del viaggio. Cioè, mai luogo comune è stato più comune: parti per un viaggio su strada e si fonde la macchina a tredici chilometri dall’arrivo.

Le bestemmie contro l’aria, l’acqua e le sue creature, quel giorno, si disintegravano nell’afa.

Eravamo a pochissimi chilometri da Brindisi, dopo aver affrontato l’umidità, viaggiando nelle ore più torride e resistendo alle polveri di calore che si infilavano nelle orecchie e negli occhi, quando quella lamiera vecchia resta senza acqua e combina un casino.

Eravamo talmente rimbambite che quando vado per aprire il cofano, pur conoscendo la vaschetta in cui va l’acqua (che deve essere sempre piena), non vedendola, chiedo a Federica: «Ma tu vedi acqua qui dentro?», e lei: «No, aspetta…» – ci va con l’occhio sopra – «No, Happy. Non ce ne sta, ma forse così deve stare».

A queste parole resto ancora più stranita. E ho anche il barbaro coraggio di rifletterci sopra.

Voglio dire: ma come si fa a perdere anche la più elementare delle conoscenze nei momenti di poca lucidità?

La vaschetta dell’acqua era vuota e io avrei dovuto ricollegarla alla faccia di mio padre: “Quella macchina non li regge quei chilometri tutti insieme. Controlla sempre l’acqua”.

Giuro, mai oracolo nella mia vita ha parlato così bene. Mai uno.

Poi, il meccanico di Mesagne, che avrebbe dovuto buscarsi delle zainate a ripetizione in testa, per la stronzaggine con cui teneva fronte alle mie ansietà quando sono arrivata col malato terminale in officina.

Ma gli incontri sull’Appia cominciano prima della partenza. Torniamo un attimo indietro.

Mi sentivo con una tipa per lavoro e poiché sono molto empatica – ho l’attiracasiumani sempre in modalità on, la verità – mi rendo conto che anche lei (me lo dice chiaramente) vuole partire. E le dico di sì, figuriamoci.

Qualche tempo dopo cosa succede: portandosi dietro lo strascico anomalo di una relazione lunga e malata, e avendone un’altra ancora più anomala tra le mani, aveva deciso di rompere le palle a qualcuno e c’ero io di turno, naturalmente.

Un giorno, per fortuna proprio a due giorni dalla partenza, mi chiama con una voce diabolica perché aveva scoperto che la sua vecchia fiamma ne aveva, a sua volta, un’altra, e da pazza furibonda quale è, nel senso più vero degli aggettivi, scaraventa la sua ira su di me, dando di matto. Io intanto provo a calmarla senza risultati e alle sue parole di minaccia di suicidio allarmo le persone a lei più vicine.

Qualche ora dopo, la pazza mi dice che sono un essere immondo per quello che ho fatto e che non parte più per l’Appia (vivaddio, se posso aggiungere).

Risultato: resto con l’ansia e la tachicardia per due giorni, prima della partenza.

È così che comincia!

In principio erano le minevaganti è il racconto spin off di #mineviandanti.

Sono del parere che bisogna sempre raccontare il backstage di una storia, perché il backstage è più storia della storia stessa. Anzi, che backstage! Parliamo l’italiano: dietro le quinte.

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Valentina Barile. Fotogiornalista, scrive diari dei suoi viaggi insoliti. È tra gli scrittori emergenti de “Il libro che non c’è 2016” della casa editrice RAI Eri. È tra gli organizzatori della Fiera del libro di San Giorgio a Cremano, Ricomincio dai Libri. Vincitrice di vari premi letterari per scrittura inedita, tra cui il Premio “Carlo Levi”, in Piemonte. Finalista al Premio Passaggi 2015, al Festival della letteratura di Viaggio.