Una lettura diversa di Cesare Lombroso
Intervista a Maria Teresa Milicia, autrice del libro “Lombroso e il brigante. Storia di un cranio conteso”
Gio, 11/09/2014 Davide Simone
http://www.ilsitoditalia.it/content/161-intervista-maria-teresa-milicia-autrice-del-libro-lombroso-e-il-brigante-storia-di-un-cr
In passato omaggiato ed acclamato, Cesare Lombroso è oggi al centro di una rilettura estremamente critica, in Italia come all’estero, e di numerose polemiche, come quelle che hanno accompagnato la riapertura del museo di antropologia criminale che a Torino porta il suo nome. Ma chi era veramente Cesare Lombroso? Un uomo minato dal pregiudizio? Uno scienziato da rivalutare? Oppure, semplicemente un figlio del suo tempo, di quel positivismo ambizioso che sembrava convinto di poter dare una risposa a qualsiasi interrogativo? Lo abbiamo chiesto alla studiosa calabrese Maria Teresa Milicia, le cui tesi sembrano andare nella direzione opposta alle critiche nei confronti dello scienziato veronese. Maria Teresa Millicia insegna Antropologia Culturale all’Università di Padova.
-Professoressa, perché un libro su Cesare Lombroso?
-Il mio saggio non è propriamente un libro su Lombroso. È più corretto dire che affronta un aspetto specifico dell’opera di Lombroso, a partire dalla prospettiva particolare del mito di fondazione dell’Antropologia criminale, la famosa scoperta della fossetta occipitale mediana nel cranio del “brigante” Giuseppe Villella. Ho iniziato la mia ricerca proprio cercando di ricostruire la biografia di Villella che da Motta Santa Lucia in Calabria, fu inviato a scontare una condanna per furto nelle carceri di Pavia dove si ammalò e finì i suoi giorni nell’Ospedale di quella città. Sono tornata all’opera di Lombroso quando mi sono resa conto che si trattava dell’unica fonte disponibile per seguire le tracce dell’esistenza storica dello sfortunato detenuto calabrese. Il ritrovamento dei documenti negli archivi calabresi mi hanno permesso di accertare l’identità anagrafica del Villella morto nell’ospedale di Pavia e, allo stesso tempo, chiarire alcune circostanze controverse della “scoperta” dell’atavismo del criminale, che per la prima volta trovano un riscontro documentato.
-Lomborso è considerato da una certa fetta della pubblica opinione e della comunità scientifica come un razzista e un antimeridionalista. Vero o falso?
-La ricerca storica non si può affidare alle categorie del presente per comprendere gli avvenimenti e le ragioni dell’agire nel passato, proprio come la ricerca sul campo in una società diversa dalla propria richiede di imparare la lingua prima di tutto e poi di applicare un relativismo metodologico indispensabile per evitare fraintendimenti e giudizi affrettati. Ho tentato di approfondire la lettura del contesto scientifico in cui nacque la teoria dell’atavismo dell’uomo criminale, grazie alle conoscenze di storia dell’antropologia razziale. Ho seguito un percorso già tracciato da Sandra Puccini e da un grande storico dell’antropologia, scomparso di recente, George Stocking Jr., che ha sempre cercato di superare le trappole lessicali del linguaggio scientifico dell’epoca. La terminologia è in parte identica a quella odierna ma con significati del tutto diversi. Lombroso era razzista, nel senso deteriore che noi oggi attribuiamo alla parola, come erano razzisti indistintamente tutti i suoi contemporanei. L’antropologia del tempo, sia di matrice evoluzionista come quella di Lombroso, sia quella creazionista che riteneva di non dover mettere in discussione l’origine divina dell’uomo, aspiravano a ordinare l’umanità secondo gerarchie che naturalizzavano le differenze sociali e culturali. Non si tratta di accusare o assolvere Lombroso, bensì di restituire una visione del passato che possa davvero insegnarci a riconoscere le forme attuali dell’odio razziale, spesso mascherato dalle rivendicazioni identitarie e nostalgiche delle “tradizioni autentiche”. Lo stesso discorso si può dire dell’antimeridionalismo di Lombroso, forse in un modo ancora più netto: l’impegno del padre dell’antropologia criminale fu quello di trovare, nei termini del paradigma positivista dell’epoca, una spiegazione al comportamento criminale degli uomini. Di tutti gli uomini, meridionali o nordici che fossero, come attesta senza ombra di dubbio proprio il suo lascito museale.
-Con il tempo, personaggi prima oggetto di critica e biasimo vanno spesso incontro a rivalutazioni e riscoperte. Lo ritiene possibile anche in questo caso?
-Posso rispondere partendo da quanto ho appena detto. La domanda di Lombroso – unde malum – attraversa la storia culturale dell’umanità che ha sempre cercato risposte teologiche, filosofiche, letterarie e, da ultimo, scientifiche all’insensata irruzione del male nel mondo. Le ricerche sul fondamento biologico del comportamento criminale sono oggi più fiorenti che mai, nel campo delle neuroscienze e della genetica. Capita spesso di leggere affermazioni di trionfali scoperte che di fatto non hanno ancora un solido riscontro scientifico. Proprio la figura di Lombroso ci ammonisce a diffidare di quelle spiegazioni che applicano un ingenuo riduzionismo alla complessità dei comportamenti umani. Ma questo oggi gli scienziati lo sanno bene, mentre a noi profani spetta il compito politico di vigilare sulle ricadute sociali dell’avanzamento della conoscenza scientifica. Quanto alla rivalutazione storica, non certo celebrativa di Lombroso, è già stata avviata da molti anni da studiosi come Giorgio Colombo, Renzo Villa, Delia Frigessi, Mary Gibson, che ha curato di recente la traduzione integrale in inglese dell’ultima edizione de L’uomo deliquente, solo per citarne alcuni. Il nuovo allestimento del museo Lombroso a Torino nel 2009 è stata poi l’occasione per un’ampia ricognizione degli studi sull’Antropologia criminale, editi nel volume curato da Silvano Montaldo, Cesare Lombroso cento anni dopo.
-Lei è calabrese: come giudica una certa polemica che sembra riaffacciarsi negli ultimi anni al Sud in materia risorgimentale?
-Non ho molto da dire a proposito delle polemiche sul Risorgimento. Mi ritengo fortunata perché non mi sono mai nutrita di retorica risorgimentale e tanto meno di retorica patriottica. Non ho mai studiato la storia sul Bignami e sono stata sempre guidata da spirito critico nelle mie letture. Quindi ho sempre saputo quello che qualcuno oggi pretende di spacciare come la rivelazione della congiura del silenzio contro i meridionali. Fin dagli anni sessanta, basti pensare al lavoro pioneristico di Molfese, è stata avviata una revisione del fenomeno del brigantaggio e degli studi sull’unificazione dell’Italia. Al di là di ogni retorica e revisionismo storico, i valori ideali del Risorgimento restano, valori per i quali hanno combattuto anche molti italiani allora sudditi del Regno delle Due Sicilie. Ritengo comunque che la polemica attuale non abbia niente a che fare con le interpretazioni storiche del Risorgimento, quanto piuttosto con le rivendicazioni politiche degli attuali movimenti leghisti, sia a Nord che a Sud. La polemica si autoalimenta anche grazie ai nuovi spazi di propaganda aperti dai social media, decisivi nel contribuire al successo di quello che è diventato un lucroso filone editoriale.
Nella foto: Cesare Lombroso
Curriculum
Maria Teresa Milicia
mariateresa.milicia@unipd.it
Maria Teresa Milicia,
è ricercatrice di Antropologia Culturale, presso il
Dipartimento DiSSGeA, Università degli Studi di Padova.
Fa parte del Comitato Scientifico del “
Centro Internacional de Estudios
de Religiosidad Popular: la Semana Santa”
e della Redazione della
Rivista di Scienze Umane
“Voci”.
2000, laurea con lode in Etnologia, relatore L. M. Lombardi Satriani,
Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma “S
apienza”.
2001, Diploma di Perfezionamento in Bioetica, con E. Lecaldano,
Università
di Roma “Sapienza”.
2003/04, collaborazione alla cattedra di Antropologia del Viaggio e del
Turismo, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli.
2007, tito
lo di Dottore di Ricerca in Etnoantropologia, Università di
Roma “Sapienza”.
2007/09, Cultrice della Materia, cattedra di Etnologia I, Facoltà di
Lettere, Università di Roma “Sapienza”.
2008/09, professore a contratto di Antropologia Culturale, Facoltà d
i
Scienze Politiche, Università degli Studi di Macerata.
2009, Vincitrice di concorso da ricercatore nel settore M
–
DEA/01,
Università di Padova
Ricerche sul campo
1993
–
1994 e 1999, Veggenza e apparizioni mariane a Crosia (CS).
2004
–
2007, Apparizioni ma
riane a Oliveto Citra (SA).
2007/2008, Pisoniano(RM), ricerca sul campo finalizzata alla
schedatura e precatalogazione degli oggetti della collezione museale
sulla canapa. Progetto di Allestimento del Museo della Canapa, diretto
dalla dott.ssa Rosa Parisi
e finanziato dalla Comunità Montana Zona
IX del Lazio.
2012 (in corso), Into the Heart of Italy: lombrosismi e meridionalismi
nell’Italia contemporanea. Ricerca etnografica multisituata: Museo di
Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” di Torino, Motta
Santa
Lucia (CZ), Social Network del Comitato “NoLombroso”.
2000, laurea con lode in Etnologia, relatore L. M. Lombardi Satriani,
Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma “Sapienza”.
2001, Diploma di Perfezionamento in Bioetica, con E. Lecaldan
o,
Università di Roma “Sapienza”.
2003/04, collaborazione alla cattedra di Antropologia del Viaggio e del
Turismo, Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli.
2007, titolo di Dottore di Ricerca in Etnoantropologia, Università di Roma
“Sapienz
a”.
2007/09, Cultrice della Materia, cattedra di Etnologia I, Facoltà di Lettere,
Università di Roma “Sapienza”.
2009, Vincitrice di concorso da ricercatore nel settore M
–
DEA/01,
Università di Padova