Un esule istriano senatore a vita
Nominare senatore a vita un esule istriano. Un testimone delle foibe, così come è stato fatto per Liliana Segre e la Shoah
Giannino Della Frattina – Mer, 10/02/2021
Nominare senatore a vita un esule istriano. Un testimone delle foibe, così come è stato fatto per Liliana Segre e la Shoah, qualcuno che, come lei, diventi la condanna reale e senza indulgenze dell’orrore di quell’ideologia comunista che ancora oggi trova spazio in simboli di partito, anche nostrani, e classi dirigenti al potere nel mondo.
Una proposta che riemerge, incassa qualche pacca sulle spalle e poi torna a sparire nell’oblio a cui l’ha destinata la sinistra, cultura egemone. Perché ci sono vicende storiche che a una nazione, o meglio a un popolo, dovrebbero restare marchiate a fuoco sulla pelle e invece continuano a scivolare sulle coscienze come fossero acqua sulla pietra, per riapparire, quasi fossero un fastidio, magari in quella data a loro dedicata, con una certa sufficienza, nel calendario istituzionale. E così intorno al 10 febbraio (ma solo in certi giornali o in certi dibatti) riecco l’idea di portare in senato un figlio o un nipote di qualcuno catturato dai partigiani, titini e italiani, ucciso con la crudeltà di cui solo loro erano capaci e fatto sparire per sempre in un anfratto carsico. Ed è proprio quel «per sempre» che continua a torturare le anime di chi del racconto di quel sangue italiano, che ha bagnato le terre d’Istria e Dalmazia, ha fatto una ragione di vita. Una nuova morte è la consapevolezza di essere ancora i protagonisti di una verità da infoibare, così come per decenni i loro morti e il loro drammatico esodo non trovarono spazio nei libri di storia scritti dai professori rossi, sacerdoti della cultura d’ispirazione comunista che per tutta la seconda metà del Novecento è stata egemone, colonizzando con violenta arroganza le scuole, le università e tutta l’industria culturale. Per non dire di quell’ancora più esecrabile storiografia cattolica che, per ossequio al più numeroso Partito comunista dell’Occidente, dimenticò lo scempio che della religione fecero gli sgherri di Tito, mentre sadicamente dilaniavano i corpi di miti sacerdoti. Come don Angelo Tarticchio: torturato ed evirato davanti alla madre e alle sorelle, gli misero i genitali in gola e una corona di spine in testa come sfregio alla fede sua e degli italiani di quelle terre. A raccontarlo il nipote Piero, 85 anni, che lo salutò al funerale mano nella mano con il padre. «Un uomo buono, straordinario, caritatevole», commerciante nel paese di Gallesano, a pochi chilometri da Pola, dove solo un anno e mezzo dopo fu preso a casa dai partigiani e fatto sparire in una foiba. Nemmeno un cippo dove pregarlo per il figlio che a ogni ritorno in Istria sceglie la tomba più disadorna e anonima del cimitero per posare un fiore. Sono passati 78 anni, ma le lacrime sono sempre le stesse e se possibile ancora più amare. Perfino oggi che la sua battaglia per erigere un monumento ai martiri delle foibe è finalmente vinta con la costruzione di una stele che lui stesso ha disegnato nei giardinetti di Piazza Repubblica a Milano di fronte alla Stazione Centrale, un tempo (ma solo un tempo) Piazza Fiume. Merito di partiti e giunte di centrodestra, anche se di fatto alla fine il nastro è stato tagliato dall’oggi sindaco Giuseppe Sala, i cui assessori però ben poco fanno per darle lustro. «Quel piccolo pezzo di terra – si commuove Tarticchio – è diventato per noi la nostra terra: Istria, Fiume, Dalmazia». Sarebbe un dovere offrire magari a lui stesso anche uno scranno in parlamento. Per non uccidere un’altra volta quei martiri dell’orrore comunista.
La Sig.ra Liliana Segre è stata nominata Senatore a vita il 19 Gennaio 2018 da Sergio Mattarella per rappresentare ed onorare così gli Italiani Ebrei sterminati dai nazisti, quindi direi che anche la Sig.ra Egea Haffner dovrebbe diventarlo per rappresentare gli Italiani Istriani e Dalmati sterminati dai Titini. Quest’iniziativa dovrebbe partire “motu proprio” dal Presidente della Repubblica…forse non è conoscenza della storia della Sig.ra Egea Haffner…altrimenti l’avrebbe già nominata Senatore a vita…quindi cerchiamo di fargliela giungere all’orecchio…
La bambina con la valigia è l’immagine simbolo dell’esodo istriano.
Egea aveva 5 anni e nel luglio del 1946 si stava preparando con la mamma a lasciare Pola assieme ad altri 30mila italiani. Il papà, prelevato dai partigiani di Tito, era sparito nel nulla. Lo zio Alfonso, pochi giorni prima della forzata partenza dall’Istria aveva chiesto ad un fotografo di scattare l’immagine simbolo per non dimenticare mai il dramma dell’esodo.
Egea, con i boccoli da bambina e un vestitino estivo, teneva con tutte e due la manine mani un borsone. Lo zio aveva aggiunto un cartello con la scritta “esule giuliana” e il numero dei polesani costretti ad andarsene dalle violenze di Tito e per non vivere sotto il comunismo. La foto è diventata il simbolo dell’esodo di almeno 250mila italiani dall’Istria, Fiume e la Dalmazia. Egea Haffner, con il nome come il mare, oggi è una signora di 78 anni che vive a Rovereto, in provincia di Trento.
I ricordi della seconda guerra mondiale di Egea sono ancora drammatici: “Il fischio delle sirene, per gli allarmi aerei, le fughe nei rifugi sotterranei”. E la ferita del padre prelevato dai partigiani di Tito a conflitto finito non si è mai rimarginata, anche se allora era solo una bambina. “Suonarono al campanello di casa nostra due titini, mia madre andò ad aprire. Dissero che papà doveva venire via con loro per un semplice controllo. Lui si tranquilizzò” seguendo i suoi carnefici. Kurt Haffner aveva fatto da interprete ai tedeschi perché conosceva la lingua. Figlio di un ungherese di Budapest, che a Pola aveva una gioielleria e di una viennese che faceva la pasticciera. Era il primo maggio 1945 e non riapparve mai più. A 26 anni venne probabilmente infoibato nei dintorni di Pisino, forse la notte stessa.
La mamma di Egea, Ersilia Camenaro, era invece figlia di un croato e di un’italiana nel miscuglio etnico dell’Istria. Proprio lei il giorno dopo l’arresto ha visto la sciarpa del marito attorno al collo di un partigiano.
Dopo meno di un anno la giovane donna fu costretta a scegliere la via dell’esodo assieme alla piccola Egea. La nonna paterna, l’ultima a partire da Pola, si imbarcò sul piroscafo Toscana, che ha segnato il destino degli esuli. I profughi in patria trovarono prima ospitalità in Sardegna, da una zia a Cagliari e poi si trasferirono nella zona di Bolzano. Egea è cresciuta con i nonni nelle difficoltà quotidiane degli esuli additati come fascisti, anche se non avevano fatto nulla di male. La bambina con la valigia si tuffò nella scuola e “terminati gli studi – racconta – la vita mi sorrise un po’”. Grazie ad un bando dell’Enpas, l’ente nazionale di previdenza per i dipendenti pubblici, ottenne un lavoro come profuga e orfana di guerra. Egea si è ricostruita una vita sposandosi e mettendo al mondo due figli.
A Pola, dove c’è ancora la casa abbandonata dei nonni, torna spesso per vedere il bellissimo mare, ma resterà per sempre la bambina con la valigia, simbolo dell’esodo, con il ricordo strappato via del padre vittima delle foibe.
Alfonso Gaudino