L’eccidio del 23 luglio del 1861 Somma Vesuviana (NA)
Finalmente la memoria storica riemerge dell’oblio del passato: Somma Vesuviana ricorda l’eccidio. Uccisi dai piemontesi perché briganti.
Sei pietre d’inciampo per i fatti del 1861 per commemorare le vittime di un eccidio risalente ai tempi dell’Unità d’Italia. Nella piazza centrale di Somma Vesuviana, sono state collocate sei pietre di inciampo, una per ogni persona fucilata, ricordano l’eccidio del 23 luglio del 1861. Morirono con l’accusa ingiusta di essere complici del brigantaggio. Furono giustiziati dai berssglieri con l’accusa di essere briganti o loro complici.
Ma il sindaco Salvatore Di Sarno ha deciso di fare giustizia con documenti storici alla mano che attestano che si trattava di vittime innocenti. Francesco Maria Carlo Di Mauro, di anni 45; Saverio Scozio di anni 28; Giuseppe Iervolino di anni 40; Luigi Romano di anni 40; Vincenzo Fusco di anni 50; Angelo Granato, anni 48.
«Furono fucilati dopo un processo sommario ed accusati ingiustamente di brigantaggio.
I fatti diranno che non erano parte del brigantaggio ma cittadini innocenti».
I corpi poi furono appesi come dei trofei a monito per chi nutrisse dubbi sulla bontà dei fratelli che venivano a liberarci!
Non è da escludere che ben presto la nostra Piazza centrale possa cambiare nome e non chiamarsi più Vittorio Emanuele III anche perché abbiamo anche cittadini, intellettuali, personalità del nostro paese che hanno contribuito alla storia d’Italia, le parole del sindaco che lasciano ben sperare anche sulla toponomastica imposta.
Era la notte tra il 22 e il 23 luglio 1861, le strade erano buie e silenziose a Somma Vesuviana. La compagnia dei bersaglieri guidata dal Capitano Federico Bosco, conte di Ruffina, ruppe la quiete notturna facendo irruzione nel paese alla ricerca dei briganti della banda Barone. Il Capitano aveva con sé una lista di nomi conferitagli dal Dicastero di Polizia. Seguendo le indicazioni della suddetta lista i bersaglieri arrestarono otto persone con l’accusa di “compromissione” coi briganti. Presi con la forza gli otto sommesi vennero subito legati ed imbavagliati. Venne istituito un Consiglio di Guerra in fretta e furia, guidato dal Capitano Bosco. Vi facevano parte anche: il sindaco dell’epoca, Domenico Angrisani, il Giudice Regio, un ufficiale dei bersaglieri e il comandante della caserma locale dei carabinieri. Questi uomini furono chiamati a giudicare i malcapitati. Seppur in assenza di prove schiaccianti contro gli accusati e senza il coinvolgimento degli alti organi di Giustizia, si decise che gli otto arrestati dovevano essere fucilati, d’altronde il popolo dei terroni andava sottomesso anche con il terrore. Il giorno successivo, il 23 luglio, a largo Mercato vennero giustiziati. Nessuna giustizia, nemmeno postuma, ci fu per i morti sommesi, anzi al danno si aggiunse anche la beffa quando il 30 novembre 1861 il Tribunale Militare assolse Federico Bosco, ritenendo provato che i condannati fossero effettivamente complici dei briganti. Tali abominevoli azioni vennero assolte e giustificate dai nuovi detentori del potere poiché considerate indispensabili per completare il processo di unificazione nazionale italiano.
160 anni dopo un sindaco e non un capo di governo restituisce l’onore a poveri cittadini ingiustamente uccisi dal regime coloniale toscopadano.