IL SUD DOPO IL 1860: COSA HA DETTO IL DIRIGENTE PIEMONTESE DELLO STATO VITTORIO SACCHI
Come abbiamo visto nei post precedenti, diversi autori piemontesi descrissero la situazione nel Sud dopo l’Unità e tra questi vi fu anche il magistrato e alto funzionario dello Stato Vittorio Sacchi, che nella lunga carriera si era sempre contraddistinto per la sua estrema correttezza. Direttore dei tributi e del catasto in Sardegna fino alla fine del 1860, nel marzo del 1861 era stato inviato da Cavour a Napoli per dirigere l’amministrazione delle finanze nei territori meridionali. Richiamato a Torino dopo la morte del conte (come tutti gli altri uomini di quest’ultimo nella Luogotenenza), prima di abbandonare l’ex capitale, volle lasciare una testimonianza obbiettiva su ciò che aveva visto e nel novembre 1861 pubblicò a proprie spese il suo rendiconto finale (riportato anche da Pietro Calà Ulloa in ‘Delle presenti condizioni del reame delle Due Sicilie’, 1862), rendendolo quindi di dominio generale.
Nel suo testo Sacchi definisce “mirabile l’organismo finanziario delle Province Napoletane”, sottolineandone la razionalità e la coerenza, e a proposito della riscossione dell’imposta sui terreni, che era la principale dell’epoca, scrive: “Il sistema di percezione della fondiaria, la prima e la più importante delle risorse dello Stato, era incontrastabilmente il più spedito, semplice e sicuro, che si avesse forse in Italia. Lo Stato avea assicurato a periodi fissi e ben determinati l’incasso del tributo, colle più solide garanzie contro ogni malversazione per parte dei contabili.”
Dopo aver elogiato il meccanismo generale delle finanze duosiciliane, l’alto funzionario dello Stato testimonia anche l’efficienza e la competenza del personale meridionale e a questo proposito scrive: “In generale nella finanza napoletana, molte belle intelligenze vi si faceano rimarcare. E checché voglia dirsi in contrario, vi si trovavano uomini di grande istruzione. Le scienze economiche, altrove generalmente sconosciute alla classe degli impiegati, erano qui generalmente professate. Facili e pronti i concetti, purgata ed elegante la lingua, si scostavano le scritture degli uffici da quell’amalgama di parole convenzionali che altrove rimpinzano le corrispondenze ufficiali. In una parola, nei diversi rami delle amministrazioni si trovavano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni qualunque più illuminato Governo”.
Nell’Italia unita, però, evidentemente non si riteneva che la competenza professionale fosse una qualità, ma era la fedeltà al nuovo potere, l’unica cosa che adesso veramente contava.
Enrico Fagnano
OTTAVO POST tratto dal mio libro LA STORIA DELL’lTALIA UNITA Ciò che è accaduto realmente nel Sud dopo il 1860 (pubblicato e distribuito da Amazon). I precedenti post sono sul sito ‘Alta Terra di Lavoro’ e sulla pagina facebook ‘La storia dell’Italia unita’.