Scontri tra briganti ed esercito nel 1864

Scontri tra briganti ed esercito nel 1864
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Lo scontro del generale Franzini con le bande di briganti capeggiati da Malacarne e Tortora del maggio del 1864 ed i combattimenti di Ripacandida, segnati da fatti cruenti e drammatici, sono raccontati in questo articolo tratto da L’esercito Illustrato dell’11 giugno 1864.
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Rionero, 1° giugno 1864. L’avvenimento più palpitante, è quello di cui v’ho fatto telegrafare, lo scontro del generale Franzini colle bande riunite di Malacarne e di Tortora, nella sua marcia da Avellino a Lagopesole il 30 scorso mese. La scorta del generale componevasi di 15 cavalleggeri di Lucca comandati dal luogotenente Matteucci e di 50 granatieri del 3° reggimento; ed accompagnavalo il capitano di stato maggiore Ottolenghi. Passando sotto il villaggio di Sant’Ilario, venendo da San Fele il predetto capitano scorgendo su di una vicina eminenza alcun uomini a cavallo, che avevano tutto l’aspetto di briganti, chiese al generale di poterli raggiungere ed attaccare col drappello di cavalleria, mentre il generale stesso avrebbe seguito colla fanteria al passo accelerato. Il generale aderì a tale domanda, raccomandando però al capitano di non troppo allontanarsi dalla fanteria per non perderne l’efficace appoggio. Il capitano Ottolenghi seguito dal drappello di cavalleggeri slanciavasi tosto al trotto su per l’erta, ma giunto sull’altipiano ove un momento prima aveva visto i briganti, nel trovò vuoto affatto, ma innoltratosi alquanto due briganti appiattati in vedetta fecero fuoco a men di 50 passi, senza però colpir nessuno, e tosto si diedero a precipitosa fuga. Il capitano Ottolenghi non volendo a qualunque costo che quei scellerati gli sfuggissero di mano, slanciossi di galoppo ad inseguirli. Giunto sul ciglio opposto e vedendo nella sottostante valle una quindicina di briganti, diede il segnale della carica. I bravi cavalleggeri non se lo fecero ripetere, e sebbene avessero i cavalli già molto stanchi, sia per 15 miglia di strada già percorsi, sia per la rapida salita fatta al trotto, ciònondimeno piombarono di carriera sulla masnada.

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I soldati sono accolti da una viva fucilata, che uccide 1 sergente ed 1 caporale, ma raggiunti i briganti corpo a corpo due ne ammazzano, parecchi ne feriscono, e tutti pongono in fuga. Ma mentre vivamente li inseguono, un’altra mano di briganti imboscati in un borro fanno alle spalle dei nostri cavalieri una scarica generale, che altri due ne uccide e quindi per la Fiumara dell’Arvivo buttansi di galoppo per raggiungere i compagni fuggiaschi. Erano là 15 briganti tutti a cavallo tra cui il sanguinario Malacarne ed il famigerato gendarme di San Fele. Rivoltatisi i cavalleggeri slanciansi su questi ultimi, e sebben co’cavalli stanchissimi e quasi cadenti, armati della sola sciabola, poichè non eravi tempo a ricaricare i pistoloni, non esitarono ad assalir corpo a corpo quei 15 briganti montati su cavalli freschissimi, e tutti quanti armati di fucili, pistole e rewolvers. Il capitano Ottolenghi ed il luogotenente Matteucci sempre in testa animavano colla voce i soldati, i quali per le accidentalità del terreno trovavansi alquanto sparpagliati, ciascuno inseguendo un brigante. Il Malacarne fin da principio aveva preso di mira il capitano ed il tenente, sparando contro di essi ripetuti colpi, ma fuggendo sempre dinnanzi ad essi che vivamente l’incalzavano. Giunti quelli al limitare di un largo fossato che i cavalli saltar non poteano, i briganti, che ciò sapendo ivi li aspettavano di piè fermo, gridarono al capitano: arrendetevi, capitano, non vi faremo male, ed allo stesso punto sparavano addosso a lui ed al tenente, a non più di 7 passi di distanza, 2 colpi di pistola ed uno di moschetto. Quest’ultimo toccò il capitano Ottolenghi, ma fortunatamente il maggior proietto sviò, e solo due grossi pallini da caccia entrarongli l’uno nel petto e l’altro nel braccio destro. Ma lo scelerato Malacarne non tardò a scontare colla vita il fio delle sue sceleratezze: il luogotenente Matteucci destrissimo tiratore di revolver alloggiavagli una palla nel petto, ed un cavaliere finivalo a sciabolate. Durante un momento la mischia fu orribile, uffiziali e soldati gareggiando di bravura e d’ardimento, non badando nè al numero triplo dei briganti, nè alle difficoltà d’ogni modo del terreno, e sebbene certissimi di non poter essere in tempo soccorsi dai granatieri, ch’erano indietro a più di 2 chilometri, gittavansi la testa bassa sul grosso della masnada, ed incalzavanla con impeto sempre più crescente. Da più di mezz’ora ferveva questa lotta ineguale, e già tutti i briganti erano sparpagliati a dirotta fuga, quando sopraggiunse al passo di corsa la fanteria, preceduta dal generale Franzini, il quale giunse ancora in tempo per sentirsi parecchie palle fischiare alle orecchie. I granatieri slanciavansi alla loro volta ad inseguire i briganti, ma inutilmente, poichè costoro a tutta carriera inselvavansi e svanivano uno ad uno all’orizzonte. Fu certamente questo un brillante fatto d’armi che altamente onora la bravura del capitano Ottolenghi e del tenente Matteucci, ma la vittoria fu pur troppo caramente pagata, poichè sei di quelli intrepidi cavalleggeri rimasero estinti; nè valgono a compensar tale perdita 6 briganti uccisi a sciabolate, uno ferito (certo Esposito Donato da Rionero), preso vivo e fucilato il domani a Rionero, oltre 6 altri feriti che riuscirono a campare colla fuga. Spero che il governo saprà degnamente rimunerare i prodi superstiti, non che nelle loro famiglie la gloriosa memoria dei caduti. Ora che vi ho detto il fatto più recente, lasciate che un altro ve ne dettagli di alcun giorno prima, sfortunatissimo pur troppo l.. ma non perciò meno glorioso pei soldati nostri: vo dirvi dello scontro avvenuto il 23 maggio fra 30 soldati del 1° battaglione del 1o reggimento fanteria e 80 briganti, 30 dei quali a cavallo. Il luogotenente colonnello Peyssard sin da quando prese il comando della sotto zona di Melfi aveva introdotto il sistema di piccole frazioni mobili. Perciò giornalmente due pelottoni di 30 uomini si dirigevano verso Lagopesole, gli altri distaccamenti facevano altrettanto secondo la proporzione delle loro forze. I due pelottoni suddetti avevano ordine di batter la campagna e di recarsi ove loro meglio piacesse, prestandosi vicendevolmente soccorso in caso di scontro. La durata del servizio era stabilita di 48 ore; se però la truppa scorgeva i briganti, essa doveva inseguirli ad oltranza, senza badare all’ora del rancio. Nello spazio di 4 giorni si presero ai briganti quattro cavalli ed un puledro di 3 mesi, senza poterli raggiungere. Pareva che cedendoci questo piccolo bottino i briganti volessero ingannarci sui loro ulteriori progetti….. Fatale illusione!
Il 23 maggio il generale Franzini lasciò Melfi dirigendosi ad Avellino. La 3° compagnia, la quale ha 40 uomini distaccati, somministrò quel giorno 30 uomini di scorta al generale, dimodochè non potè spedire che un piccolo e solo pelottone in colonna mobile.
Il luogotenente Falaschi (fiorentino) partì adunque verso un’ora dopo mezzogiorno. Appena fuori dell’abitato gli ufficiali dei due pelottoni rientranti l’avvertirono di stare in guardia, perchè lor aveva sembrato vedere un movimento inusitato nel bosco, senza perciò supporre un aumento della banda. E qui devo soggiungere che giunto a un miglio di distanza, il sig. Falaschi scorse sull’altura (mercè il suo cannocchiale) due uomini appiedati che appena vedutolo montarono rapidamente a cavallo e probabilmente diedero l’allarme alla banda.
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Sboccando su un altipiano, chiamato degli Scrugli, l’ufficiale pose la sua piccola colonna in catena, dopo aver ben raccomandato a tutti l’insieme e l’attenzione ai segnali. Bentosto 4 uomini a cavallo, sbucando dall’attiguo bosco, piombarono a briglia sciolta sul centro, probabilmente per far sprecare le munizioni ai cacciatori. Subito dopo il resto della banda a cavallo, divisa in due pelottoni, irruppe sui fianchi. In questo momento sei soldati si sbandarono e sette altri divisi dal restante del pelottone furon fatti prigionieri. L’ufficiale fece formare il gruppo ai 17 uomini che gli restavano e marciò, facendo fuoco, fino a un piccol gruppo d’alberi verso Ripacandida. Questa prima parte del combattimento durò circa mezz’ora. I briganti subirono perdite sensibili. Fra mezzo a loro v’erano due donne, l’una delle quali fece si notare per raro coraggio, caricando sempre in testa e tirando colpi come un vero dragone. Per scansare i nostri colpi i briganti caricavano per linee successive – arrivando vicino alla fanteria e dopo aver tirato facevano dietro-fronte. Un brigante essendo stato ferito la donna-uomo smontò da cavallo per assisterlo, ma ferita essa stessa alla sinistra del petto, ebbe grandissima fatica a potersi porre in salvo (dicesi che l’indomani fu trovata morta nel bosco ad una distanza di 8 miglia). I briganti si spingevano vicinissimo alla fanteria gridando: arrenditi, fesso d’un tenente, che tanto sei morto – posate l’arma, fessi, mangiapolenta (alludono ai piemontesi) – e ad un solo soldato: giù l’arma, paesano mio, che no ti farò nulla, ecc. ecc. Frattanto parecchi d’essi cadevano colpiti dai nostri soldati, e l’ufficiale faceva prodigi coi suoi diciassette bravi che gli restavano, allorchè scoperse in lontananza dei bersaglieri. Ma a vece di liberatori erano nientemeno che la banda Masini, forte di 60 uomini, la più gran parte dei quali vestono l’uniforme di bersaglieri. A 30 passi di distanza l’ufficiale conobbe l’errore, ed impiegò le poche cartucce che gli restavano per far testa da ogni lato. Questi ultimi briganti non avendo il coraggio di caricare alla baionetta, restarono sempre sulla difensiva, dietro ostacoli del terreno. Finalmente la compagnia distaccata a Ripacandida (capitano Borrone) attratta dal rumore delle fucilate che durava pressochè da due ore, accorse al soccorso di Falaschi, e 50 veri bersaglieri sboccarono sulla destra del nostro luogotenente. Era tempo, imperocchè parecchi soldati non avevano più che l’ultima cartuccia nel fucile per uccidere un ultimo brigante prima d’aprirsi il passo alla baionetta!
Vedendo giungere l’insperato soccorso, i briganti a piedi ed a cavallo fuggirono disordinatamente, non lasciando, secondo il loro sistema, pur un ferito sul terreno. Il maggiore spedì da Rionero cinquanta uomini sotto il comando d’un capitano, ma dopo aver percorso in due ore uno spazio di tre ore e mezzo di strada di montagna giunsero ansanti agli Scrugli e marciarono al seguito della banda che da lungo tempo s’era ritirata, dimodochè si fu obbligati di prendere posizione aspettando il domani. Si era molto inquieti sulla sorte di Falaschi, imperocchè non si sapeva cosa ne fosse divenuto; ed alle 10 ore di notte il capitano Chavasse ebbe ordine di partire con 100 uomini, onde portare viveri a quelli partiti precedentemente ed agire in modo da salvare dai briganti il suddetto ufficiale. Alle due del mattino il capitano Chavasse riposesi in marcia sulla direzione che credeva si presa dalla banda, percorrendo sullo spazio d’un chilometro la Cocozza, la Cerasa, l’Agromonte, Valle del Forno ed arrivando al castello di Lagopesole dopo 10 ore di montagna senza menomamente riposarsi, e senza pur vedere l’ombra d’un brigante. Finalmente, dopo tanta anzietà, seppesi che Falaschi aveva valorosamente combattuto per due ore contro triplici forze ed aveva avuto un ferito e sette dispersi. Il 25 una pattuglia dei bersaglieri di Ripacandida, trovò a grande distanza del luogo del combattimento i sette dispersi. Essi erano stati tutti fucilati e la più parte pugnalati – tutti avevano in bocca un pezzo di carta con questo scritto: ucciso dal capo-banda Donato Tortora di Ripacandida. Tra gli altri un soldato aveva sul petto un soldo coll’effigie di Vittorio Emanuele, e sovrapposto un zolfanello ed un mozzicone di sigaro (vulgo cica). A tutti avevano tolte le scarpe. Il caporale (certo Aluffo di Torino) aveva ricevuto più di 30 colpi di pugnale, i soldati uno o due. Oggi s’ebbe notizia che verso Pietragalla si trovarono i cadaveri di 5 briganti ed una donna.

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