L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile
Salvatore Lupo
Donzelli, Roma, 184 pp., Euro 16,50 2011
In premessa a questo suo denso libretto, dedicato all’incontro non facile tra l’Italia e il Mezzogiorno, Salvatore Lupo si preoccupa di stroncare ogni lettura del Risorgimento come operazione di marca settentrionale e dunque penalizzante per il Mezzogiorno. In primo luogo, dice, malgrado i ricorrenti pregiudizi anticentralistici, è un fatto che il nuovo Stato unitario svolge una cruciale funzione modernizzatrice. E questo giova soprattutto al Sud. In secondo luogo, pur con i suoi aspetti drastici e perfino autoritari, la piemontesizzazione del paese introduce le popolazioni meridionali a una pratica rappresentativa che permetterà loro di pesare significativamente sulla politica nazionale.Dato a Cesare quel ch’è di Cesare, Lupo appare tuttavia assai lontano dall’apologia della nazione. Della quale sottolinea piuttosto il segno conflittuale e divisivo. Il patriottismo – scrive l’a. – aspira a rappresentare l’intera comunità politica, ma in realtà ne è soltanto una parte. La rivoluzione nazionale divide il fronte interno, produce la controrivoluzione, accende la guerra civile. Tra 1860 e 1863, in una sequenza drammatica, si scontreranno senza esclusione di colpi i siciliani e i napoletani, i democratici e i cavouriani, i piemontesi e i meridionali, gli uomini del nuovo Stato e le bande del «grande brigantaggio».Il fatto è, ricorda Lupo, che il Risorgimento non è popolato soltanto da studenti, professionisti e notabili. Ne sono parte tumultuosa e talvolta incontrollabile i contadini a caccia di terre demaniali, le bande armate che cavalcano le insurrezioni siciliane, gli artigiani dei centri urbani, i militari borbonici sconfitti e senza lavoro e l’esercito garibaldino bruscamente licenziato, la plebe filoborbonica napoletana e la polizia camorrista di Liborio Romano, i criminali di professione e i detenuti comuni liberati dalla folla. Alle origini della storia italiana, dice l’autore, c’è il Cuoco delle due nazioni. In un paese territorialmente, sociologicamente e culturalmente lacerato, la rivoluzione nazionale diventa sale sulle ferite antiche. Acuisce e mobilita le fratture. La promessa garibaldina di distribuire terre demaniali è materia incendiaria. Ma lo è anche la repressione di Bixio a Bronte o il massacro di Pontelandolfo per mano dei militari italiani.Aggirandosi senza falsi pudori tra eventi di rara intensità, l’a. insiste però sulla politica, più che sul sangue. èquesto il registro ermeneutico del volume. Alla politica Lupo riconduce non solo l’iniziativa democratica di Crispi o i furori etici di Spaventa, ma anche il protagonismo dei guerriglieri siciliani, i tumulti dei villaggi lucani, le stragi dei «briganti». Ambedue le nazioni cuochiane, sembra dire, sono fenomeni politici e hanno, in senso lato, consapevolezza politica. Il che gli permette (crocianamente, direi) di restituire ragioni meno faziose all’oleografia unitaria e al vittimismo legittimista, e insieme di prendere le distanze da ogni interpretazione del Mezzogiorno come eccezione sociologica o antropologica.Consapevole tuttavia – Lupo è troppo intelligente per ignorarlo – che anche simili registri fanno parte di questa storia.
Paolo Macry
Lo storico siciliano Salvatore Lupo (1951) è Professore ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo. Condirettore di “Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali” e redattore della rivista “Storica”, fa parte del Comitato scientifico dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia ed è stato membro del Comitato scientifico di FestivalStoria. Ha all’attivo articoli e monografie sulla storia d’Italia tra Otto e Novecento e ha approfondito in particolare la storia della Sicilia e del Mezzogiorno, mettendo in luce i nodi irrisolti dell’Italia post-unitaria in studi come “Il passato del nostro presente. Il lungo Ottocento 1776-1913” e “L’ unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile”. Altri suoi ambiti di ricerca sono l’età liberale, quella fascista e quella repubblicana, con un’attenzione preminente alla storia della mafia siciliana e al suo rapporto con la politica italiana, oggetto del recente volume “La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa”, scritto con Giovanni Fiandaca. Per il libro “Quando la mafia trovò l’America. Storia di un intreccio intercontinentale, 1888-2008”, nel 2009 si è aggiudicato il premio letterario Vitaliano Brancati.