Raffaele Conforti e il Plebiscito

Raffaele Conforti, il napoletano che consegnò il Sud Italia a Vittorio Emanuele II
Federico Quagliuolo

Il plebiscito che diede il nome alla piazza e sancì l’annessione del Regno di Napoli a quello di Sardegna, in realtà, ha un nome e cognome: Raffaele Conforti.
Oggi il suo nome passa ignorato sull’ennesima lapide commemorativa di Via Toledo, una delle tante lastre di marmo bianche che stanno sulla via più viva di Napoli. Eppure, fra Cavour, Garibaldi, Bixio ed altri cento nomi più famosi, fu proprio una parola di Conforti a cambiare per sempre la storia dell’intera Italia.

Nacque in provincia di Salerno, precisamente a Calvanico, da una famiglia di magistrati, il suo sogno era sin da bambino quello di diventare avvocato. Sognava i tribunali, desiderava diventare padrone della legge, voleva entrare a far parte di quella casta che a Napoli sembrava quasi divina, sacra, sin dal 1600: l’avvocatura.

Come oggi appassionano le serie TV giuridiche americane, duecento anni fa le passioni non erano diverse, con la differenza che le udienze penali erano seguite dal vivo: addirittura i giornali dei primi dell’800 parlavano con enfasi di un giovanissimo avvocato che, con le sue orazioni, appassionava le folle e stupiva i magistrati.
Appassionatissimo di letteratura, parlava di legge in termini poetici: “gli occhi di quest’uomo nuotano nel sangue e spirano ferocia“, “è da condannare questa congrega tenebrosa“, “è un sozzo demone che sguazza nel sangue“: le sue arringhe erano degne di un teatro, accompagnate spesso da applausi scroscianti.

Conforti fu infatti a Napoli colui che diede forma al “mito” dell’avvocato napoletano: le sue orazioni erano così appassionanti che spinse generazioni di ragazzi a studiare giurisprudenza, nel tentativo di imitarlo.
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busto di Raffaele Conforti a Castel Capuano, sede storica del tribunale di Napoli

 

 

 

 

 

Conobbe Giuseppe Pisanelli e tutti i personaggi che sognavano una repubblica, ma la rivoluzione finì nel sangue: condannato a morte, fuggì a Torino e continuò i suoi studi su un nuovo e rivoluzionario codice penale, fino alla spedizione dei mille.

Tornò a Napoli nel 1860, fuggendo da Torino e da un Cavour che lo voleva morto, perché Conforti provò ad ostacolare la sua politica di annessione.

Attese i mille, pugnalò alle spalle Francesco II che lo aveva addirittura accolto nel suo governo e diventò uomo di fiducia di Garibaldi.
Nel 1860, infatti, all’indomani della conquista, il mondo intero si chiedeva che fine avrebbe fatto il Sud Italia: una confederazione? Una colonia? Una annessione? La decisione che avrebbe cambiato per sempre le vite di venti milioni di cittadini meridionali cadeva nelle mani di Giuseppe Garibaldi.

Da una parte Mazzini sperava in una assemblea nazionale, dall’altra un vecchio D’Azeglio desiderava un governo federale fra Stati indipendenti, dall’altra Cavour non vedeva l’ora di concludere l’annessione. E Conforti aveva l’ultima parola per convincere un confuso Garibaldi che, dopo essere diventato dittatore di Napoli, pensava al futuro del Sud Italia.
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Un’immagine d’epoca delle urne create per il plebiscito napoletano

E così quell’eloquenza, quella poesia, quella bravura che avevano reso Raffaele Conforti l’avvocato più bravo d’Italia, passarono dal tribunale al Palazzo Reale, facendo il gioco di Cavour: si dice che sia andato nel Palazzo Reale ed abbia passato due giorni e due notti a convincere Garibaldi ad approvare il plebiscito che avrebbe unificato l’Italia.
Fu poi lo stesso Conforti a consegnare i risultati del plebiscito a Vittorio Emanuele II, dicendo “consegno l’Italia al mio re“.

Eppure, fino a pochi mesi prima, proprio Conforti aveva provato a boicottare Cavour ed i suoi sogni di una annessione.

Cavour non fu però riconoscente: ottenuta l’Italia, non dimenticò le antiche inimicizie. Lo liquidò dicendo “dategli una magistratura e che non si parli mai più di Conforti“: fu nominato vicepresidente della corte di giustizia a Napoli, poi diventò senatore ed al governo passò gli ultimi anni della sua vita fra pubblicazioni di libri e progetti di legge falliti.

(Conforti fu anche PM nel processo contro Passannante, il primo terrorista della storia d’Europa)

E così, con un grande interrogativo, finisce la vita di uno dei personaggi più misteriosi della storia di Napoli e dell’Italia, l’uomo che, con le sue parole, decise il destino di un popolo con un cambio improvviso ed inaspettato di rotta.
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La targa dedicata a Raffaele Conforti sul palazzo della Provincia di Salerno

Chissà cosa avrebbe pensato Raffaele Conforti se avesse visto il futuro: suo figlio, Luigi, si appassionò alla storia di Napoli e rinnegò tutte le tradizioni di famiglia, volle diventare poeta, si trasferì a Napoli e pubblicò numerosi libri sulle tradizioni napoletane. Il pronipote, Benedetto Conforti, morto a Gennaio 2016, è stato uno dei padri del moderno diritto internazionale, tant’è vero che oggi i suoi testi sono adottati da molte fra le università più importanti d’Italia.

-Federico Quagliuolo