Il 4 Novembre e quella battaglia che ha fatto l’Italia
Il 4 Novembre è un giorno fondamentale della storia d’Italia. Ecco la battaglia che ha deciso la Grande Guerra
Lorenzo Vita – Mer, 04/11/2020
“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”. Con queste parole si concludeva il bollettino diramato dal generale Armando Diaz il 4 novembre del 1918: l’ultimo giorno della Grande Guerra.
Una guerra che aveva portato alla morte 650mila italiani, ma che aveva anche avuto l’importanza di plasmare e per certi versi completare quella che era l’unità del Paese iniziata con le guerre d’Indipendenza e il fenomeno risorgimentale.
L’avanzata che porta alla vittoria inizia a ottobre. Il generale Diaz, dopo lunghi anni di assalti, trincee, sangue versato a fiumi sulle pietraie e sui fiumi delle Alpi e delle valli del Triveneto, decide di attivarsi ad autunno inoltrato. Le pressioni alleate sono molte, il primo ministro Vittorio Emanuele Orlando chiede che sia finalmente data una sferzata definitiva alla logorante campagna italiana. E l’Austria-Unghiera non sembra più così granitica come un tempo. L’iltima offensiva estiva delle forze di Vienna era stata respinta dalle truppe italiane, che avevano combattuto strenuamente contro una delle più poderose avanzate delle truppe austroungariche. La vittoriosa resistenza del Regio Esercito non aveva però convinto Diaz a sferrare una controffensiva, innescando polemiche sia del comando congiunto degli Alleati sia del governo.
Le cose cambiarono però verso la fine dell’estate. Il comandante in capo delle forze italiane era preoccupato che gli Imperi centrali potessero crollare prima delle riconquiste italiane dei territori friulani e trentini, la guerra sembrava poter cambiare da un momento all’altro e l’Impero austriaco appariva sul punto di crollare sia per la pressione dei popoli che componevano l’impero sia per le possibili sconfitte sul campo di battaglia.
La svolta arrivò ad ottobre. Diaz scelse in particolare tre armate per la grande offensiva: la VIII, comandata da generale Enrico Caviglia, la X armata, affidata al generale inglese Frederick Cavan e la XII guidata dal francese Jean-César Graziani. Una scelta non particolarmente apprezzata dagli alti ufficiali italiani ma che aveva tutto il sapore anche di una mossa diplomatica.
Il 24 ottobre fu l’inizio delle operazioni. La prima offensiva fu quella del monte Grappa. Il Piave, fiume “calmo e placido”, era gonfio d’acqua per le piogge autunnali e non permetteva una facile traversata. La scelta ricadde sul Grappa ma con risultati non particolarmente brillanti. Gli austro-ungarici sono ben posizionati mentre l’assalto estenuante degli italiani, in cinque giorni di fuoco e sangue, non mostrò la capacità di spezzare le difese di Vienna. La IV Armata appariva in difficoltà e il sostegno delle altre divisioni non sembrava poter far pendere la bilancia in favore degli italiani. Il Regio Esercito era pronto a un’altra lunga battaglia di logoramento sul massiccio.
La svolta sembrò arrivare alcuni giorni dopo grazie a quel Piave che aveva rappresentato la vera prima grande linea della Guerra degli italiani. Il fiume si stava lentamente normalizzando e le acque permettevano una maggiore capacità di attraversamento. Il genio iniziò a costruire nuove teste di ponte, rendendo sempre più difficile all’artiglieria austriaca il mantenimenti delle posizioni. Guadato il fiume, l’Esercito riuscì a costruire attraversamenti a Valdobbiadene, nei pressi delle Grave di Papadopoli e nella piana di Sernaglia. Ma il Piave si rigonfiò dando modo agli artiglierie austriaci di sferrare un nuovo attacco.
Il 28 ottobre, Caviglia, generale alla testa dell’VIII armata ottenne finalmente una prima importantissima vittoria. I suoi uomini riuscirono nuovamente a gudare il fiume e aprire la strada alle file dell’esercito italiano. Fu il momento decisivo. Le città italiane cadute nelle mani austro-ungariche furono liberate poco alla volta dall’avanzata delle armate italiane mentre il grande esercito dell’Imperatore appariva sempre più fiaccato dalle sconfitte e dalle difficoltà di ricevere rifornimenti e razioni di cibo. La resistenza austro-ungarica si affievoliva di giorno in giorno mentre aumentavano diserzioni e rese. Iniziavano le prime grandi ritirate anche dal fronte trentino mentre Caviglia, nella tarda mattinata del 30 ottobre, entrò a Vittorio Veneto con lancieri e reparti d’assalto, accolti festosamente dalla popolazione dopo il periodo buio dell’occupazione austriaca.
Iniziò la rotta definitiva delle armate austriache, ormai convinte della fine della guerra. E non solo sul fronte italiano. Il mattino del 2 novembre 1918, l’Austria Ungheria chiede al generale Diaz la firma dell’armistizio. Il 3 novembre, i soldati italiani entrarono finalmente a Trento e Trieste.Nel frattempo, a Padova, presso Villa Giusti, Weber von Webenau e Pietro Badoglio si riunivano per stabilire i termini della resa di Vienna. La fine delle ostilità sarebbe stata alle 15 del 4 novembre. Scoccata quell’ora la guerra, la Grande Guerra, sarebbe finalmente finita.
Il sacrificio italiano fu enorme. Solo nella battaglia di Vittorio Veneto persero la vita 35mila italiani, più migliaia tra britannici e francesi. Gli austriaci caduti sul campo si aggirarono intorno ai 90mila. Uomini che avevano dato la vita per la propria patria e che oggi riposano tra le vette e le valli di una terra resa sacra dal loro sangue. Gli italiani fecero forse definitivamente l’Italia nata dal Risorgimento ma forgiata tra le trincee della Grande Guerra. Mentre gli austriaci, i tedeschi e i soldati dell’Europa orientale che combattevano per l’Aquila imperiale morirono insieme a un mondo che stava definitivamente lasciando il passo a quello che conosciamo anche oggi.