Quando Mastriani scrisse sui briganti
Gigi Di Fiore
Morì quasi cieco e indebitato, ma fu uno dei più prolifici romanzieri dell’Ottocento napoletano. Francesco Mastriani scriveva, scriveva, per crescere i figli e onorare i debiti.
Molti suoi titoli divennero famosi, come “La cieca di Sorrento”. Alcuni furono anche rappresentati in teatro dalla compagnia di Federico Stella, in una Napoli nel passaggio tra capitale borbonica e città italiana. Mastriani unitario, Mastriani liberale, Mastriani apprezzato anche da Matilde Serao.
Scriveva della plebe, dei diseredati di Napoli, di quei “Vermi” delle classi inferiori come aveva fatto Victor Hugo per Parigi. I suoi riflettori erano accesi soprattutto su Napoli città, ma fece una eccezione, sempre a puntate per il quotidiano “Roma”, nel settembre del 1886. Pubblicò allora un romanzo, “d’appendice” come si diceva allora, sempre nella classica collocazione del piede di prima pagina, interamente ispirato ai briganti post-unitari.
Il titolo era “Cosimo Giordano e la sua banda”, scovato dal cultore di storia sannita Salvatore D’Onofrio e ristampato dall’appassionato editore cavese Vincenzo D’Amico. Fonti d’ispirazione furono per Mastriani gli articoli di giornali, gli atti della Corte d’Assise di Benevento, anche un precedente libro di Pasquale Villani.
Come era nelle corde della penna di Mastriani, personaggi e vicende storiche si intrecciano a protagonisti di fantasia. Cosimo Giordano, il più famoso capobrigante del Sannio oggetto di uno studio di Abele De Blasio, è nel romanzo un feroce brigante. Un criminale tout court, responsabile con Angelo Pica del massacro dei 41 tra soldati e carabinieri con il loro comandante Bracci agli inizi dell’agosto 1861 tra Pontelandolfo e Casalduni.
Nulla racconta Mastriani del dopo, della rappresaglia successiva dei soldati, concentrato soltanto su Giordano e i personaggi che gli ruotano attorno. Fece così anche Giustino Fortunato, nel suo articolo sui “fatti di Pontelandolfo”. Ma Mastriani aggiunge qualcosa di più, nel suo romanzo. Riconosce al brigantaggio post-unitario insieme caratteristiche politiche e sociali.
Scriveva infatti: “Il brigante sciolse a modo suo il gran problema sociale. La legge esercita il suo impero in nome del re. C’è il brigantaggio sociale e il brigantaggio politico. Il problema non risoluto o mal risoluto degli utili tra i diversi fattori è una delle cause più efficienti del brigantaggio sociale”. E ancora: “Finché l’esistenza non sarà assicurata a tutti per via del lavoro obbligatorio, finchè il ricco e potente calpesteranno il Cristo, non sperate che il brigantaggio si estingua”.
Un’idea chiara, espressa 25 anni dopo le vicende raccontate. Mastriani era anti-borbonico, unitario, liberale. E guardava con attento paternalismo alla miseria e alle classi povere. Pochi sapevano che si fosse occupato anche del brigantaggio e dei briganti. Ora è possibile colmare questa lacuna, nel testo anastatico dell’editore D’Amico. E meno male.
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Lunedì 28 Ottobre 2019
Ultimo aggiornamento: 12:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA