Pontelandolfo – Stabilite le date del dramma sacro di Santa Giocondina

Stabilite le date del dramma sacro di Santa Giocondina

Stabilite le date, il 31 luglio e il primo agosto prossimi torna sulla scena il tradizionale dramma sacro di Santa Giocondina che dal 1872, anno in cui il canonico don Ulisse Rinaldi ne stese il copione, ciclicamente, caratterizza le estati pontelandolfesi. Nell’anno 303 il rientro trionfante dell’Imperatore Diocleziano, che aveva issato i vessilli romani su tutto l’impero riconquistato, generò una grande eccitazione popolare. L’entusiasmo che aveva riconsegnato nuova linfa a Roma, venne turbato dall’inizio di una delle pagini più tristi della storia di tutti i tempi: la feroce persecuzione dei cristiani, decretata dagli editti di Nicomedia del 303 e del 304. Gli editti prescrivevano che i cristiani non potessero godere di alcuna distinzione o carica onorifica. Dovessero essere sottoposti ad ogni genere di tormenti, indipendentemente dalla classe sociale d’appartenenza. Si proibiva loro di poter agire legalmente se fossero stati fatti oggetto d’ingiurie o avessero subito adulterio o furto. Si toglieva loro, infine, qualsiasi diritto di libertà e di difesa. La persecuzione fu violenta. I cristiani venivano puniti con atroci torture. Gettati in pasto alle belve. Le vergini abusate. Solo alle persone di nobile origine veniva riservato il supplizio della decapitazione. In questo periodo di brutale violenza si materializza la storia della nobile Giocondina, figlia del senatore Merio, le cui sacre spoglie trasferite a Pontelandolfo il 9 luglio del 1827, sistemate alla base di una elegante statua di cera, sono custodite nella Chiesa Madre del SS. Salvatore. Giocondina, una fanciulla di grande coraggio, aveva aperto il suo cuore alla luce della Verità e della Fede. Sostenuta dall’amore di Lucina, la zia paterna da cui aveva ricevuto gli insegnamenti evangelici, con parole e argomenti di elevato spessore spirituale, confessa al padre di essere cristiana. Immediata e violenta fu la reazione del senatore che vuole uccidere l’unica sua figlia, ma viene fermato dal provvidenziale intervento divino. Le trame del diavolo, re della menzogna e dell’inganno, rivelano alle gerarchie militari e politiche che una fanciulla, di nobile famiglia e figlia di un senatore, è convertita al cristianesimo. Lo scopo del maligno è quello di far crollare la Fede di Giocondina e di ricondurla al culto pagano. Il male, per ora, esulta ma dovrà confrontarsi con la forza della Fede e l’indomabile coraggio di una ragazza cristiana. Il senatore Merio, “mente eccelsa e cuore incline al vero, al giusto, al santo”, così come lo definisce l’autore del dramma, abbandonata l’idea di sacrificare la figlia, inizia il delicato cammino che lo porterà alla conversione tra dubbi, paure e incertezze, prontamente sorretto dalla Parola del Signore e dall’affetto dei suoi cari. Giocondina, fortificata dalla preghiera, è chiamata a rendere testimonianza della propria Fede davanti all’imperatore Diocleziano. Nulla la fa vacillare; le minacce di tortura e di sofferenza e le lusinghe per una vita colma di agi e di ricchezze non la turbano e, con il coraggio che Iddio dona a chi lo ama senza riserve, proclama l’innocenza del suo Gesù che volontariamente si consegnò alla morte ignominiosa della croce “per redimere gli uomini dal tirannico giogo del demonio”. Anche la condanna a morte per decapitazione, emessa direttamente da Diocleziano, le offre occasione per glorificare Dio e perdonare, così come fece Gesù dalla Croce, i suoi feroci persecutori. In una orrenda cella delle carceri Mamertine, Giocondina prega, rende lode al Signore per la conversione del padre e, confortata da un Angelo, attende il momento dell’estremo sacrificio. Il senatore Merio, intanto, è riuscito a penetrare nel carcere per riabbracciare per l’ultima volta l’amata figlia. L’incontro, veramente struggente e carico di una forte tensione emotiva, fa scaturire dialoghi di alta levatura spirituale e di completo abbandono alla volontà del Padre che possono sintetizzarsi nella meravigliosa espressione che l’autore del dramma affida al senatore convertito: “O Croce di Cristo, primo supplizio inflitto all’innocenza dall’odio umano, io ti offro il mio dolore. Si faccia la Tua Volontà. Ti offro la figlia mia, rasserena la sua ora estrema e tienimi per mano in questo mio cammino fatto deserto e buio”. Allontanato a viva forza il senatore dalla prigione, Giocondina riafferma con coraggio l’Amore al suo Dio, disprezza le lusinghe e le false divinità e con il cuore ancor più ricolmo di gioia si consegna al carnefice. Le forze del male sono sconfitte; il diavolo manifesta la sua vergogna eterna, proclama che Dio è il Signore che folgora, annienta e disperde e, dopo aver rinnovato annunci di guerre e vendette, sprofonda nel baratro dell’abisso. Il senatore Merio, intanto, viene confortato dalla sorella Lucina che gli ricorda le Parole di Gesù: “Beati quelli che piangono perché saranno consolati. Beati i perseguitati per amore della giustizia perché di essi è il Regno dei Cieli. Beati voi, tormentati per cagion mia! Rallegratevi ed esultate perché è grande la ricompensa che vi attende nei Cieli”. Con la visione della Gloria Celeste, nella quale è entrata la martire Giocondina, ha termine il dramma sacro.

Gabriele Palladino