Pontelandolfo, riconoscimento alla passione civile di Di Fiore
Carmine Pinto
La memoria è un terreno di battaglia scientifico e culturale. Non si tratta certo di una novità. Basti pensare agli anni della Guerra fredda, quando spesso lo studio della storia italiana servì a giustificare le vere o presunte radici nazionali dei grandi partiti, stimolan do confronti che coinvolsero il mondo accademico e quello politico, spesso con ruoli intercambiabili. II dibattito tra Rosario Romeo ed Emilio Sereni su Risorgimento e capitalismo ne fu uno degli esempi, mettendo in campo gli argomenti intellettualmente più vivaci delle tradizioni liberali e gramsciane italiane. Si trattava però di discussioni limitate ai circuiti culturali e politici più attenti delle élite, raramente avevano un peso nel discorso pubblico.
La novità degli ultimi decenni è proprio la crescente attenzione alla storia da parte di vasti settori della sociétà. Non è un fenomeno italiano né meridionale. E neppure limitato al modo con cui catalani o scozzesi la utilizzano per rivendicare autonomie regionali-statuali. È un fenomeno largamente difluso a livello globale che ha cambiato la relazione con il passato,testimoniata dal successo delle trasmissioni, dei siti e delle reti social dedicati alla storia, delle ricostruzioni in costume, ma anche dalla popolarità di nuovi narratori capaci di parlare al vasto pubblico.
La cittadinanza onoraria che il comune di Pontelandolfo ha assegnato al giornalista del «Mattino» Gigi Di Fiore è perfettamente inserita in questo fenomeno culturale.
Di Fiore studia, tra le altre cose, la fine del Regno delle Due Sicilie, lavora negli archivi e soprattutto, riesce a raccontare storie. I suoi lavori hanno raggiunto ampi settori della società, contribuendo a rivedere opinioni spesso consolidate. II libro su Pontelandolfo, pubblicato nel 1998 e poi, per il successo registrato, ristampato da Focus Storia, né è un esempio. Se il comune gli ha riconosciuto la cittadinanza onoraria è perché ha ritenuto che il suo lavoro ha modificato la percezione degli episodi avvenuti nell’estate del 1861.
I sostenitori di Francesco Il e del vecchio regno si erano mobilitati per rimettere in discussione l’unificazione, tentando senza successo una serie di attacchi contro regolari e meridionali filo-italiani. In questo contesto, a Pontelandolfo, i guerriglieri catturarono e giustiziarono un piccolo reparto dell’esercito. Il comando italiano decise una dura rappresaglia che colpì il comune (e quello vicino di Casalduni) e fece vittime solo tra i civili (i briganti erano già fuggiti).
La storia, già utilizzata nella polemica dell’epoca da legittimisti come Ulloa, De Sivo, Proto di Maddaloni e finalmente ricostruita da Di Fiore, è diventata un topos di questa nuov relazione tra memoria e presente nel discorso pubblico meridionale.
Innanzitutto è un simbolo per i gruppi che criticano le caratteristiche della partecipazione dell’ex regno all’unificazione italiana. In secondo luogo, il riconoscimento dato dal comune interpreta il diffuso desiderio di misurarsi con le vicende storiche, ma sistematizzando episodi al di fuori degli schemi ideologici del passato.
Inoltre, la decisione di individuare in Di Fiore il riferimento di questa decisione, testimonia il ruolo delle nuove voci del racconto storico rispetto ad un pubblico sempre più numeroso ed appassionato, interessato un modello narrativo capace di parlare al fuori di ristretti circuiti intellettuali.
Infine, nonostante retoriche diffuse che rappresentano una società meridionale poco colta o comunque disimpegnata, conferma una passione civile che anima le comunità del sud forse mai tanto diffusa come in questi ultimi anni.