Paolo Mieli presenta il suo ultimo libro, “L’arma della memoria”
contro la reinvenzione del passato
La storia è fatta di vinti e vincitori, ma non si tratta di categorie stabili: spesso le vicende di ieri sono riscritte a uso e consumo dei vincitori di oggi.
L’onesto uso della memoria è il più valido antidoto all’imbarbarimento. E lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un uso onesto che, in quanto tale, presuppone non ci si rivolga al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. Anzi, semmai, per individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o a mettere a registro quel che pensiamo adesso. Ben diverso (e diffuso, purtroppo) è il ricorso a forzature della memoria come arma per farci tornare i conti nel presente. Un’arma usata con infinite modalità di manipolazione, che producono danni quasi irreparabili alla coscienza storica, deformano il passato, intossicano il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi. E che, come tale, merita di essere combattuta. Paolo Mieli ce lo dimostra attraversando secoli di storia con la consueta competenza e passione, ricostruendo storie grandi e piccole, facendoci guardare a fatti apparentemente noti con un occhio diverso e disincantato, perché “infinite sono le leggi che regolano lo studio del tradimento nella storia. Ma due sono superiori alle altre. La prima: chi vince non verrà mai considerato un traditore. La seconda: il tradimento è questione di date, ciò che oggi è considerato un tradimento, domani potrà essere tenuto nel conto di un atto coraggioso”.
RECENSIONI
L’arma letale della memoria
Un saggio di Mieli ripropone il tema della manipolazione del passato. La responsabilità della scrittura storica che seleziona i fatti ad uso dei vincitori
Come si avvelena la coscienza storica dei popoli? Con l’uso distorto della memoria, risponde Paolo Mieli nel suo ultimo libro: “L’arma della memoria. Contro la reinvenzione del passato” (Rizzoli, pp. 428, euro 20). E dall’avvelenamento dipende anche la strumentalizzazione del passato per legittimare discutibili scelte del presente. La memoria, dunque, utilizzata impropriamente è un ordigno dal potenziale altamente distruttivo, responsabile delle nefandezze sulle quali hanno fondato il potere tutti i regimi totalitari, in particolare del Novecento che hanno fatto ricorso ad una sorta di “mistica” della memoria contraffatta per giustificare l’oppressione.
La logica secondo la quale l’opposizione ad una memoria di comodo, dunque artificiosa, equivale a delegittimare addirittura l’identità delle nazioni è il grimaldello per scardinare il corretto e civile confronto nelle società plurali. L’alterazione della memoria ha tra gli effetti collaterali l’amnesia che è forse ben peggiore dell’armeggiare attorno alla verità storica per scopi ignobili. Il tempo lungo, ad esempio, del sovietismo ha di fatto penetrato le fibre dell’Estrema Europa finendo per infiacchire moralmente un mondo complesso e composito che non ha avuto più consapevolezza di se stesso tranne chi ostinatamente l’ha conservata imboccando però la via dei gulag.
Spiega Mieli nel suo pregevole saggio, ricco di rievocazioni, che il modo spregiudicato con cui si manipola la realtà storica per demonizzare o riabilitare ciò che non dovrebbe essere messo in discussione è l’attitudine di chi si dedica allo studio del passato in modo “selettivo” per “reinventarlo”. E, dunque, non per acquisire elementi realmente nuovi apportatori di acquisizioni tali da mutare il giudizio su eventi minuscoli o epocali (compito del vero storico), ma per asseverare verità di parte, ideologiche (come è stato per la tragedia delle foibe), in grado – se applicata all’attualità – di influenzare perfino i giudizi che maturano nelle aule dei tribunali.
Mieli offre una casistica ampia e documentata a supporto della tesi. E dai tempi più lontani dimostra come poco sia mutato: anzi, si può dire che la memoria, soprattutto negli ultimi decenni, sia stata ancor più adulterata dagli indirizzi politici che hanno orientato la pubblicistica ed il comune sentire. Addirittura, fa intendere Mieli, ha favorito il dilagare del “complottismo” (altro effetto collaterale dell’uso improprio della memoria), una progressiva mistificazione della realtà, volto a sostenere la tesi che dietro ad ogni evento vi è quasi sempre una “congiura” ordita da non distinguibili potentati.
Neppure l’identità nazionale è rimasta immune dai tentativi di inquinarla fino al punto, mi permetto di aggiungere alla riflessione dello studioso, di invocare una sorta di “memoria condivisa”. È questo un punto dolente, mitizzato un po’ da tutte le forze politiche che hanno creduto di fondare la morale civile di una impossibile “nuova Repubblica” sulla acritica condivisione di un’unica memoria. Un’utopia per legittimare una sorta di impoliticità, mentre si sarebbe dovuto fare di tutto perché nelle pieghe della società italiana si innervasse l’idea dell’accettazione di tutte le memorie, nessuna esclusa, e tutte vi avessero cittadinanza. Insomma, fermo restando che esistono valori non negoziabili – l’intangibilità della vita umana innanzitutto – dovrebbe essere naturale che chiunque riconosca dignità alle vicende storiche che nutrono le diverse memorie. I discendenti di coloro che si batterono e vennero sconfitti a Pontelandolfo e a Casalduni contro i Piemontesi, non invocando di certo la restaurazione del Regno delle Due Sicilie, per quale motivo non dovrebbero onorare i loro morti caduti impugnando le bandiere borboniche? Si può e si deve essere tutti italiani – la cui identità non è una costruzione “etnica”, come suggerisce Mieli, ma è frutto di un progressivo amalgama come ha dimostrato Gioacchino Volpe – pur senza eliminare le specificità.
Memoria adulterata, memoria frantumata, memoria manipolata: Mieli distingue ed analizza. Le acrobazie degli storici asserviti emergono prepotentemente in questo libro che è una sorta di silloge dei “tradimenti” a danno della storia e come tale esemplificativo di un costume datato che certo non finirà di questi tempi. E le vittime sono proprio gli storici onesti i quali non fermandosi davanti a talune “verità” acquisite e politicamente accettate, passano paradossalmente essi stessi per “traditori”. Quante se ne dissero anni fa su Renzo De Felice perché aveva violato la consegna del silenzio più vile sul fascismo?
Gennaro Malgieri
Paolo Mieli, da storico senza devozioni com’è, racconta il passato senza farsi prendere la mano dalle ideologie e dai luoghi comuni
di Diego Gabutti
Ogni epoca ha il suo passato, non meno imprevedibile del futuro, come racconta Paolo Mieli nel suo ultimo libro, L’arma della memoria (Rizzoli 2015, 20,00 euro, ebook 9,99 euro). Ermetico, il passato serve il tempo presente non soltanto perché sono i suoi lombi, per così dire, a generarlo. Esattamente come il futuro, di cui i contemporanei non smettono mai di parlare, un giorno immaginando orrori e catastrofi, un altro meraviglie, il passato è al servizio del presente soprattutto perché è chiamato ad alimentare le fantasie, le idiosincrasie, i pregiudizi dei contemporanei.
Storia e memoria sono armi, spesso devastanti. Bisogna guardarsi dalle storie troppo perfette, troppo rotonde – la storia in cui prendono forma lo Spirito Assoluto hegeliano e il suo doppio socialista, lo Spettro del Comunismo. Mieli, in questi suoi articoli saggi, per lo più letture di libri memorabili e riflessioni su storie minori, mostra in che modo l’arma della memoria (quando viene utilizzata per compiere attentati intellettuali e culturali, per esempio introducendo manipolazioni storiche e ridicolaggini ideologiche nei programmi scolastici) può essere disinnescata. Per rendere innocue le fantasie della propaganda sul passato, non c’è che tenersi lontani dai pregiudizi, diffidare dei luoghi comuni, evitare le consolazioni ideologiche e leggere buoni libri, come quelli che trovate nella bibliografia in appendice all’Arma della memoria (illustrerei ogni titolo uno per uno, ma sono troppi da citare, e nemmeno io, che pure leggo in maniera compulsiva dal mattino alla sera, li conosco tutti).
Non sempre la memoria è affidabile, del resto. Anzi, non lo è mai, se hanno ragione «il neuroeticista Andrea Lavazza e la psicologa Silvia Inglese», che l’ex direttore del Corriere cita nell’introduzione, quando parlano di «memoria frazionata», che fisserebbe i ricordi in certe speciali aree del cervello a partire del loro «contenuto emotivo». Morale: come in Rashomon, il film di Kurosawa sullo stupro d’una donna raccontato in maniera diversa e contradditoria da ciascuno dei testimoni, anche la storia ha un ché d’elastico. Nessuno di noi saprebbe dire cos’è esattamente successo mercoledì scorso. Figurarsi cos’è successo a Roma il giorno in cui fu ucciso Cesare.
Eppure il racconto storico è in questa giungla nera di falsi ricordi e di manipolazioni che avanza a colpi di machete. Agli storici di mestiere, che hanno almeno una mezza idea (non sempre, ma per lo più) di come precedere senza finire in pasto alle tigri, s’aggiungono gli storici dilettanti, per esempio i magistrati, specie italiani, e di scuola rococò, con la loro grottesca pretesa di raccontare la storia del mondo attraverso le sentenze. Questa la cornice del libro di Mieli, ma dentro la cornice ci sono le tele, e ogni tela racconta una storia: l’Olanda di Spinoza, Metternich e Napoleone, la nascita della teoria del complotto al tempo dei giansenisti, e poi il processo Eichmann, Garibaldi e la guerra civile italiana, l’America invaghita di Mussolini, i sionisti di destra, la storia come melodramma e il supremo tarocco religioso, la Sindone di Torino.
Mieli è uno storico senza devozioni, nel senso che anche per lui, morti e sepolti tutti gli storicismi muscolari, la Storia si scrive storia, senza la maiuscola di rispetto. Per Mieli la storia non è soltanto (anzi, semplicemente) il racconto di come andarono davvero le cose nei tempi remoti o la «narrazione» (come si dice adesso, con espressione orribile) che rende conto, più in piccolo, degli eventi prossimi – le Crociate e la Campagna di Russia da una parte, dall’altra la Resistenza oppure La vera storia d’Italia (un libro fantasy con la versione integrale della requisitoria della Procura di Palermo contro Giulio Andreotti). Per lui, come per chiunque legga i libri giusti, non importa se farlocchi o memorabili, la storia è un Rashomon su scala kolossal.
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