Non è una novità la “reciproca assistenza”

Non è una novità la “reciproca assistenza” tra le due sponde dell’Adriatico. Come ad esempio ai tempi di Giorgio Castriota Scanderberg e Alfonso e Ferrante d’Aragona.
Scanderbeg, atleta di Cristo

Negli ultimi anni la musica popolare ha avuto un ruolo fondamentale per la riscoperta della storia, spesso dimentica dell’Italia meridionale. Tra i tanti autori e gruppi folk protagonisti di questo fenomeno, un posto di rilievo lo merita il gruppo Terra Nostra, i cui componenti sono originari di Foggia e dintorni. Da alcuni anni i ragazzi “capitanati” da Antonio Anzivino girano il Sud con la loro musica, che comprende anche alcuni testi inediti, come “L’inno dei legittimisti”, un canto dei guerriglieri borbonici, scoperto da Angelo D’Ambra all’Archivio di Stato di Caserta; le tante poesie di Antimo Ceparano, musicate da Giorgio Frigerio e cantate da Enzo De Matteis.

Ma ciò che differenza i Terra Nostra è l’indubbio merito di aver musicato anche alcune canzoni delle minoranze linguistiche di Puglia: gli arbëreshë e i franco-provenzali.

Preziose testimonianza linguistiche, culturali e folkloristiche di secoli passati.

I franco-provenzali ci rimandano alla discesa nel Regno di Napoli di Carlo d’Angiò nel XIII secolo, e il conseguente legame tra la Provenza e il Napoletano e più in generale alle varie invasioni francesi, più o meno cruenti, che si sono avute nel corso dei secoli.

I canti arbëreshë, invece, ci parlano di un popolo che scappò dalla propria terra per non dover essere costretto a scegliere tra la islamizzazione forzata o a rassegnarsi ad essere cittadini “di serie B”. I primi sempre fedeli ai sovrani e ai principi angioini si scontreranno proprio con gli arbëreshë, preziosi alleati degli aragonesi.

Manco a farlo apposta nel cd dedicato alle minoranze etniche c’è una canzone dedicata a Carlo d’Angiò e una a Giorgio Castriota Scanderbeg.

Grande protagonista del XV secolo, l’Atleta di Cristo nacque nel 1405, da una nobile famiglia albanese. Suo padre Giovanni guidò la resistenza contro i Turchi, ma fu sconfitto dall’esercito della mezzaluna, che gli rapì i figli. Così il giovane Giorgio fu educato all’Islam e avviato al mestiere delle armi, coprendosi di gloria combattendo per il sultano Murad II.

Nel 1443 Castriota avrebbe dovuto affrontare un esercito cristiano, guidato da Ungheresi, ma poco prima dello scontro, passò dalla parte della sua gente. Il sultano reagì all’affronto inviando un corpo d’armata molto agguerrito che fu però sconfitto nel corso dell’anno successivo dalle truppe di Scanderbeg.

La vittoria cristiana rincuorò il Papa e il Re di Napoli, Alfonso il Magnanimo, i quali temevano che i Turchi una volta completata la conquista di ciò che restava dei domini bizantini, avrebbero invaso anche l’Italia.

Per tale ragione, il Magnanimo rafforzò l’alleanza con tutti i principi cristiani dei Balcani, in particolare con Giorgio Castriota, ai quali fornì sia aiuti economici che militari. Inoltre inviò dei funzionari con la carica di viceré che ebbero il compito di controllare la fascia adriatica che va dall’Albania alla Grecia. Caduta Bisanzio nel 1453, Niccolò V pensò addirittura di indire una crociata contro i turchi, che sarebbe dovuta essere capitanata dal Re di Napoli.

Morto Alfonso nel 1458, gli successe Ferrante, suo figlio illegittimo.

Sostiene Tejada, che i baroni napoletani rispettavano e temevano Alfonso d’Aragona, in quanto questi non era semplicemente il Re di Napoli, ma anche il sovrano d’Aragona, Sardegna, Sicilia e Corsica. Profittando del malcontento dei baroni, la maggioranza dei quali non riconosceva il “bastardo” come proprio re, Giovanni II d’Angiò mosse guerra a Ferrante.

Durante i convulsi anni di guerra tra gli eserciti delle due casate, Scanderbeg si recò in Puglia per combattere al fianco dell’Aragonese. Respinto il tentativo di conquista franco-provenzale e neutralizzati i baroni ribelli, Ferrante premiò Giorgio Castriota, fedele alleato della sua casata, assegnandogli i feudi di Monte Sant’Angelo, di Trani e di San Giovanni Rotondo.

Ma la pressione turca sull’Albania non si fermò mai, in quanto i generali ottomani erano consapevoli di non poter avanzare verso nord, lasciandosi alle spalle un’”isola cristiana”, che poi li avrebbe posti tra due fuochi, pertanto lo Scanderbeg fu costretto a tornare frettolosamente in patria per combattere gli invasori.

L’Atleta di Cristo morì di malaria nel 1468. Dieci anni dopo, i turchi completarono la conquista dell’Albania, ma l’ostinata resistenza di Scanderbeg e dei suoi soldati, impedì loro di invadere anche la penisola italiana. Non a caso il sultano Maometto II ebbe a dire che a causa della sconfitta di Skojpe (1462), tramontò definitivamente il sogno turco di islamizzare Roma.

La piccola Albania ha attraversato molte altre dure prove nella sua tormentata storia, ma adesso è un modello per il resto del mondo, non solo grazie alla rinascita economica di cui si è resa protagonista negli ultimi anni, ma anche e soprattutto perché in essa convivono pacificamente islamici, ortodossi, cattolici e atei. Una speranza per l’umanità che sembra essere sul punto di intraprendere una nuova avventura senza ritorno.

Questa storia fa capire tante cose. E’ bello pensare che semplicemente ascoltando la musica di un “piccolo gruppo locale”, si può rivivere il rinascimento napoletano. Così a distanza di secoli, si perpetua la memoria dei cavalieri angioini e dei valorosi guerrieri albanesi. A tal proposito è giusto ricordare che i discendenti di Scanderbeg si rifugiarono nel Regno di Napoli e che ancora oggi vivono nel Sud Italia, anzi a Napoli esiste il Palazzo Castriota.

Autore: Vincenzo D’Amico

In foto un dipinto del 1931 conservato presso la Galleria Nazionale d’Arte di Tirana, raffigurante Scanderbeg

Vincenzo d’Amico, editore, bibliofilo, studioso di giornali napoletani di fine Ottocento
historiaregni