Gigi Di Fiore – Amarcord: 9 gennaio 1996, io pedinato dai carabinieri, al centro di un preciso articolo di Ottavio Ragone su Repubblica. Sono passati 20 anni, sembra un secolo. Frequentando da cronista il tribunale napoletano, poteva capitare allora anche questo.
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NAPOLI, CACCIA AL CRONISTA
NAPOLI – Dodici carabinieri pedinano un giornalista, lo filmano con una microtelecamera in tribunale mentre parla con magistrati e avvocati, lo seguono quando torna a casa in metropolitana. Un mese di appostamenti. Di quale colpa si era macchiato Gigi Di Fiore, cronista giudiziario del Mattino, per meritarsi un trattamento degno del peggior malvivente? Aveva pubblicato un articolo con l’ interrogatorio di Pasquale Casillo, imprenditore, ex presidente del Foggia Calcio, arrestato per camorra. Non erano rivelazioni sensazionali. La Procura di Napoli apre un’ inchiesta, vuole scoprire le fonti confidenziali del cronista. Ma indaga con gran dispiego di uomini e mezzi, in una città che pure ha altri problemi, dall’ ordine pubblico alla criminalità. Carabinieri acquattati dietro i portici, telecamere nascoste negli uffici per spiare i commessi, monitor, microspie piazzate nelle cancellerie a caccia dell’ impiegato “infedele”. Dopo l’ inchiesta sulle telefonate dal cellulare del sindaco Antonio Bassolino, l’ ultima iniziativa della Procura è destinata a riaccendere le polemiche che accompagnano Agostino Cordova da quando si è insediato a Napoli. Il solo pensiero delle riprese filmate nel cortile di Castelcapuano, il vecchio palazzo di giustizia, scatena i penalisti: “Così – protestano – si attenta alla libertà del cittadino e degli avvocati”. Insorgono i magistrati attraverso Umberto Marconi, segretario nazionale di Unicost, la corrente di maggioranza dei giudici. Parla, Marconi, di “smania investigativa che calpesta i diritti più elementari, lamenta il “grave danno alla libertà di informazione”. E aggiunge: “L’ inchiesta è riuscita a stabilire soltanto ciò che tutti già sapevano, cioè che il giornalista faceva il suo lavoro”. Ironizza Paolo Graldi, direttore del Mattino: “Con un tale spiegamento di forze in campo Tangentopoli sarebbe morta subito…”. Il pedinamento di Di Fiore comincia il 19 giugno scorso e dura fino al 10 luglio, quando il giornalista va in ferie. Un carabiniere non lo vede più in tribunale e allora telefona a suo padre con un nome falso: “Sono Raffaele Esposito – si presenta – un amico di Gigi, che fine ha fatto?”. La relazione degli investigatori descrive minuziosamente la giornata di Di Fiore, dall’ arrivo a Castelcapuano alle conversazioni con avvocati, impiegati, magistrati. Si scopre che buona parte del tribunale era sotto osservazione. Per esempio i commessi della quinta e nona sezione penale, dapprima pedinati e poi, per non destare sospetti, seguiti a distanza, soprattutto quando vanno negli uffici del riesame per consegnare fascicoli processuali. E’ lì che nottetempo vengono installate le microtelecamere, nelle stanze in cui sono sistemati gli armadi con gli incartamenti giudiziari. I carabinieri seguono le scene sui monitor, pronti a intervenire se qualcuno consegna atti o fotocopie sottobanco. Alla fine in Procura vengono depositate tre videocassette con le immagini. Il 20 giugno un maresciallo, un brigadiere e cinque carabinieri firmano la prima relazione. A bordo di due autovetture di servizio con targa falsa, una moto e un ciclomotore, aspettano Di Fiore. Accertano “che alle 9,10 il cronista si allontanava dalla propria abitazione a bordo dell’ autovettura fiat 126 di colore marrone…”. La relazione prosegue descrivendo il percorso dell’ auto, le fasi del parcheggio, il tratto coperto dal giornalista in metropolitana, dove viene seguito da un altro militare in borghese, fino all’ ingresso a palazzo di giustizia. Niente di strano, nulla di illegale. E l’ inchiesta si conclude con una richiesta di rinvio a giudizio per pubblicazione di atti coperti dal segreto (si cancella pagando un’ ammenda) e l’ archiviazione per l’ accusa più grave a Di Fiore, il favoreggiamento. E dodici carabinieri sono finalmente pronti per un’ altra indagine.
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09 gennaio 1996 sez.
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