Modena , il dibattito: «Cialdini, patriota da vergogna» Via il nome da strade e piazze
di Gabriele Sorrentino 31 maggio 2017
Dal Veneto a Napoli passando per città e piccoli paesi in tutta Italia si moltiplicano le iniziative per cambiare il nome ai luoghi pubblici intitolati alla memoria dell’ufficiale che guidò i massacri al Sud
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Alcuni giorni fa il consiglio comunale di Napoli ha revocato la cittadinanza onoraria al generale Enrico Cialdini, che gli era stata conferita il 21 febbraio del 1861 dall’allora sindaco Giuseppe Colonna, nominato dalle autorità piemontesi che aveva esercito e funzionari in pieno esercizio. Il merito del generale modenese? Il fatto che avesse comandato le truppe piemontesi nell’assedio di Gaeta, l’ultima fortezza dove rimasero i sovrani, Francesco II di Borbone e la regina Maria Sofia di Baviera, assieme a 20 mila soldati, mai battuti in 107 giorni di combattimenti. Al loro fianco anche una piccola flotta e i diplomatici stranieri.
La decisione del sindaco di Napoli De Magistris dunque arriva dopo altre cancellazioni di strade ed edifici pubblici in tutta Italia, da Nord a Sud. E la scelta della sua giunta non è isolata. A Lamezia Terme, l’ex via Cialdini è ora dedicata ad Angelina Romano, la bambina uccisa dell’esercito piemontese comandato da Cialdini. A Mestre è stata approvata la proposta di cambiare il nome di una piazza a lui intitolata.
E Modena? Qui il generale è una gloria locale. A Modena c’è la strada con il suo nome che collega via Carlo Zucchi a via delle Suore, passando sul cavalcavia. Al generale è intitolata anche una strada a Formigine, mentre Castelvetro gli ha dedicato una via e una statua.
La cancellazione di Cialdini come eroe da vie e piazze ha riaperto il dibattito su un personaggio controverso del Risorgimento che ha attraversato gli anni dell’Unità guidando con ferocia la durissima repressione del “brigantaggio” nel regno conquistato a forza. Basta guardare la sua biografia per capire la persona.
Cialdini nacque a Castelvetro nel 1811; la sua famiglia si trasferì a Reggio nel 1815 e fu coinvolta nei moti del 1831, durante i quali Enrico, ventenne, si arruolò tra le truppe insurrezionaliste dei ducati emiliani e delle Romagne, comandate del generale reggiano Carlo Zucchi. Un mese dopo, sconfitti ovunque, fuggirono in Francia dopo il ritorno di Francesco IV, riparando nella penisola iberica dove si offrirono come soldati.
Cialdini fu al servizio dell’imperatore del Brasile, nella vittoriosa guerra civile contro il fratello Miguel che pretendeva il trono. Partecipò quindi alla guerra civile spagnola tra la reggente Cristina e don Carlos, dove operavano altri esuli italiani, tra cui il carpigiano Manfredo Fanti. Nel 1848, avuta notizia della Prima Guerra di Indipendenza, si dimise dall’esercito iberico e tornò in patria e, grazie all’intercessione di Fanti, si arruolò nell’esercito sabaudo.
Partecipò alla Guerra di Crimea (1853-1856) che gli fruttò la nomina ad aiutante da campo del Re e, in seguito, l’incarico di organizzare i Cacciatori delle Alpi, fatto di volontari.
Prese parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza e nel 1860 guidò la spedizione nelle Marche che portò alla conquista di Pesaro, Castelfidardo e Ancona. Scese poi in Molise e Campania, partecipando anche alla presa di Messina. Dopo la guerra fu eletto alla Camera dei Deputati e nel 1861 divenne Luogotenente del Regno con poteri speciali nell’ex Regno delle Due Sicilie.
Cialdini fu protagonista di una dura repressione che portò ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, fino agli eccidi di Casalduni e Pontelandolfo, nell’agosto 1861, come rappresaglia per il precedente assalto a un drappello di soldati piemontesi, tutti uccisi. Esiste infatti, a riprova del massacro, il memoriale di uno dei soldati di Cialdini, Carlo Margolfo, che racconta la violenza della repressione. Ne riportiamo alcuni passi nell’articolo qui a fianco.
Lo stesso generale, in un rapporto ufficiale sulla cosiddetta “guerra al brigantaggio”, fornì queste cifre per i primi mesi e per il solo territorio di Napoli: 8.968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10.604 feriti; 7.112 prigionieri; 918 case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2 905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13.629 deportati; 1.428 comuni posti in stato d’assedio.
Sono dati impressionanti, eppure Cialdini riceve dal Re ben tre onorificenze; fu Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia (1860), Grande Ufficiale dell’Ordine Militare d’Italia (1860), Commendatore dell’Ordine Militare d’Italia (1856) che vengono conferite per “le azioni distinte compiute in guerra da unità delle Forze Armate nazionali”.
Onorificenze che stupiscono se pensiamo che addirittura l’Inghilterra, che aveva sostenuto la spedizione dei Mille, accusò di eccessiva violenza il governo sabaudo, con Lord Henry Gordon – Lennox, esponente della più antica aristocrazia britannica, che si scagliò contro il Regio Esercito nel 1863 alla Camera dei Comuni.
Eppure la carriera di Cialdini non conobbe soste a dimostrazione della considerazione che aveva a Torino. Nel 1864 divenne senatore e nel 1866 partecipò alla Terza Guerra d’Indipendenza. Dal punto di vista militare l’impresa fu un fallimento totale, ma diplomaticamente portò all’annessione del Veneto grazie alla vittoria degli alleati prussiani contro l’Austra Ungheria.
Cialdini è morto a Livorno nel 1892, a 81 anni. La sua salma venne tumulata a Pisa nel cimitero monumentale. Questa brevissima biografia è sufficiente a dare la misura di come Enrico Cialdini sia stato uno degli uomini chiave del Risorgimento, una figura scomoda perché impiegata su un fronte “sporco”, quello della conquista del Sud Italia, spesso in contrasto con importanti ambienti del governo piemontese, eppure sempre sulla cresta dell’onda. Nel 2011, a Reggio Emilia, la giunta Delrio ricevette una petizione per togliere il busto di Cialdini da sotto il porticato del Comune che ad oggi risulta inevasa. Insomma, anche da queste parti il nome di Cialdini si sta offuscando sotto i colpi di numerose ricerche storiche che hanno portato alla luce il lato oscuro del Risorgimento italiano. È difficile per gli storici giudicare un personaggio come Cialdini, perché arduo è districarsi tra i documenti contraddittori e la propaganda delle diverse fazioni.