𝐌𝐚𝐳𝐳𝐢𝐧𝐢, 𝐥’𝐚𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨
Giuseppe Mazzini fu il profeta scontento di un’Italia ideale sempre sconfitta dalla realtà.
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Mazzini, l’apostolo controverso
Giuseppe Mazzini fu il profeta scontento di un’Italia ideale sempre sconfitta dalla realtà. A 150 anni dalla sua morte, sopravvivono di lui nella memoria pubblica solo le strade, i corsi, le piazze a lui intestate. La storia, soprattutto quella risorgimentale, si è ritirata nella toponomastica. Gli ultimi leader politici che si ricordarono di lui furono il garibaldino Craxi, che lo paragonò ad Arafat, e lo storico Spadolini, repubblicano mazziniano a Salò e poi nel Partito di La Malfa.
Di Mazzini è stinta la memoria perché le imprese da lui ispirate non andarono in porto, finirono tragicamente (I fratelli Bandiera, Felice Orsini, Pisacane e altre congiure). Restò di lui il pensiero, il mito della Giovine Italia, della Giovane Europa e il titolo di Apostolo del Risorgimento. L’oblio ormai divora Mazzini, la sua figura mesta e severa, il suo ruolo e il suo afflato. In questi giorni è uscito un libro di un giovane studioso, Francesco Carlesi, Giuseppe Mazzini un italiano (ed. Eclettica), che ne sottolinea soprattutto la sua eredità in tema di patria e questione sociale nel fascismo e nella destra sociale.
Ma chi fu Mazzini? Fu il fondatore della religione della patria; pensò una religione civile, al di là del cristianesimo, oltre la versione cattolica e protestante (che aborriva per il suo individualismo). Una visione mistica rivolta alla politica e all’educazione popolare; Dio era inteso come pensiero vivente dell’Umanità. Il suo può definirsi spiritualismo politico e sociale.
Le sue parole chiave risuonano stinte nella nostra memoria: Dio e Popolo, Pensiero e Azione, Patria e Umanità, la vita come missione, i doveri dell’uomo. E poi la concezione etico-pedagogica, per cui l’Italia avrebbe dovuto cominciare dalle scuole per formare le coscienze religiose e civili delle nuove generazioni. Mazzini e Gioberti furono gli ispiratori ideali del Risorgimento ma restò tra loro un divario, pur avendo Mazzini auspicato invano, in una missiva rivolta a lui, un ravvicinamento.
Considerato un sovversivo dai conservatori e dai difensori delle monarchie, in odore di Massoneria, ritenuto un cospiratore, criticato dai rivoluzionari per la sua impronta religiosa, al punto che Marx lo chiamava ironicamente Teopompo, considerato da taluni menagramo e da altri donnaiolo, formato da sua madre, Maria Drago, Pippo Mazzini diventò l’alfiere di un’Italia repubblicana, non clericale, europea, fondata su patria e lavoro. Fu nella clandestinità fino alla morte: l’Italia era unita, Roma era già capitale e Mazzini non poté diventare deputato per i pesanti capi d’accusa che gravavano su di lui.
Augusto del Noce lo vide come il padre dell’interventismo democratico e nazionale, “la guida ideale” dei repubblicani e degli azionisti ma anche dei fascisti. Ma si deve a lui, nota Del Noce, la critica alla democrazia materialista. Carducci e Oriani erano stati i suoi cantori agli albori del Novecento. Mazzini fu per anni il simbolo dell’esule romantico, inquieto e fuggente, vestito sempre di nero, in lutto per la patria oppressa, ricercato dalla polizia. Cercava fratelli nel passato e nel futuro.
Tra i suoi incontri di viaggio, quello col giovane professor Nietzsche in una diligenza sul Gottardo. Mazzini consegnò al suo giovane compagno di viaggio una massima goethiana che aveva fatto sua, “Vivere risolutamente”, senza accomodamenti, in bellezza e integrità; motto che poi diventò in Nietzsche “Vivere pericolosamente”. Lo racconta Daniel Halévy in “Vita eroica di Nietzsche”.
Mazzini delineò un pensiero nazionale, sociale, comunitario, repubblicano, spirituale e lo intese come superamento del liberalismo individualistico e del socialismo materialistico. L’apostolo della Terza Via. Per questo Mazzini apparve ai fascisti il loro precursore, che si contesero l’eredità con i repubblicani. Mazziniani furono combattenti antifascisti, da Nenni a Pacciardi, ma anche fascisti rivoluzionari, da Italo Balbo a Berto Ricci. A consacrarlo come precursore della nuova Italia fascista fu Giovanni Gentile che ne I profeti del Risorgimento italiano, uscito mentre Gentile riformava la scuola, lo reputò erede del pensiero italiano nel passaggio dal pensiero all’azione; ne difese lo spirito religioso da Gaetano Salvemini che invece aborriva la deriva teocratica mazziniana. Gentile riprese il primato mazziniano dei doveri sui diritti, la concezione della vita come missione, il suo amor patrio e la visione etico-pedagogica tra politica e religione civile.
Ma lo stesso Gentile che aveva elogiato Mazzini considerandolo il precursore del fascismo e che poi lo esalterà nell’Enciclopedia italiana e nelle celebrazioni mazziniane, era stato in gioventù piuttosto critico verso di lui. “Di filosofia lesse poco, con poco gusto e meno profitto”, scrisse di Mazzini nel 1903; egli non colse l’importanza di molti autori cruciali, fu “scarsissimo il contenuto ideale del suo pensiero”; Mazzini, per Gentile, agita i cuori più che le menti, va collocato tra l’ingenua fede del fanciullo ispirato dalla madre e la rettorica del Romanticismo. Non mancarono in lui, notava, errori, slealtà, verbosità, avventatezze nelle sue imprese fallite. Gentile citava Carlyle che nella sua invettiva contro Mazzini gli rinfaccia: “Voi non siete riuscito, perché avete parlato troppo”.
Più onore per Gentile ebbe la sua breve esperienza della Repubblica romana, che pur rivelò la sua “scarsa intelligenza politica concreta”, arrivando a dire con un suo biografo, Bolton King: “Se gli italiani avessero ascoltato i consigli e le rampogne di Mazzini, l’Italia non si sarebbe fatta”. Il giovane Gentile concludeva: “fu un agitatore entusiasta ma non fu né un santo né un profeta”. Poi lo stesso Gentile lo definirà apostolo e profeta del Risorgimento italiano…
Se il Risorgimento è ormai rimosso dalla memoria storica, Mazzini lo è doppiamente, senza bisogno di cancel culture… I viali Mazzini si perdono nel nulla.
MV, La Verità (10 marzo 2022)