Maria Scerrato – “Fiori di ginestra”

scerrato

 

La prof.essa Maria Scerrato insegna INGLESE presso l’IStituto Magistrale PIETROBONO di ALATRI (FR) , un Liceo con 4 indirizzi: classico ,scientifico, linguistico e scienze umane. erede del famoso Liceo Classico Conti Gentili di Padre Luigi Pietrobono, amico fraterno di Pascoli.

 

 

 

libro-fiori

I fiori di ginestra erano amati da Nicolina Iaconelli, una delle sette brigantesse trattate da Maria Scerrato nel suo libro. In esso si parla delle donne briganti vissute ed operanti alla frontiera tra lo Stato Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie, negli anni 1864-1868.
Le gesta di queste donne, realmente esistite, sono narrate ,in modo coinvolgente;. con il libro della Scerrato vuole dare un volto a quel “popolo senza nome”, ma anche un corpo, un cuore e un’anima, alle sette “donne briganti”.
Il libro è stato finalista alla festa del libro di Fiuggi, Giovedì prossimo sarà presentato a Gaeta, alle ore 11.00 presso l’Aula Magna, davanti agli studenti dell’Istituto Tecnico Nautico Giovanni Caboto Fondato da Ferdinando II di Borbone nel 1854 a spese della Procincia di Terra Di Lavoro). Sarà presente Antonio Ciano come relatore, tra i ricercatori revisionisti più importanti d’Italia.
Il Libro è stato recensito da Rocco Biondi, uno dei più importanti BLOGGER meridionalisti.

La Scerrato ha dato vita e sette coraggiosissime brigantesse del Lazio. Combatterono contro un esercito invasore ( quello piemontese) ; difendevano la loro Patria di allora, i loro figli, le loro famiglie, i loro uomini,.

La brigantessa Maria Teresa Roselli era nata nel 1838 nello Stato Pontificio. Il padre Domenico venne arrestato più volte con l’accusa di manutengolismo. Lei sposò giovanissima il noto brigante Giuseppe Molinari, dal quale ebbe numerosi figli. Giuseppe venne catturato e chiuso a vita nelle carceri di Frosinone. Maria Teresa, divenuta l’amante del brigante Giorgio il Calabrese, vestita da uomo partecipava abitualmente alle azioni brigantesche, maneggiando con grande precisione le armi da fuoco. Arrestata, venne condannata all’ergastolo da scontare nel carcere papalino delle Terme di Diocleziano a Roma. Fin qui la storia. Il romanzo narra, tra l’altro, di una precedente rocambolesca fuga della brigantessa, lanciandosi dal treno in corsa. E raggiunge i suoi cinque figli: tre maschi e due femmine, che dovrà poi lasciare per sempre prima di consegnarsi ai gendarmi pontifici.
Michelina Di Cesare nacque nel 1841 a Caspoli in Terra di Lavoro, in una famiglia poverissima. Sposò ventenne un bracciante, che si ammalò e morì l’anno dopo. Svolgendo l’attività di manutengola incontrò il capobrigante Francesco Guerra e ne divenne la donna, avendone anche un figlio. Combatterono insieme per sette anni e furono uccisi insieme dai piemontesi sul Monte Morrone il 30 agosto 1868. Nel racconto si dice del solenne battesimo celebrato per il figlio di Michelina e del brigante Guerra. «Vennero accesi tutti i ceri davanti alle statue dei Santi, stesi i paramenti più belli e il sacerdote cantò la messa, facendo risuonare la voce stentorea nella chiesa gremita». Poi consegnò il bambino a un vecchio monaco, affinché fosse allevato bene. E corse libera, a combattere per la libertà.
Elisa Garofoli era nata nel 1844 nello Stato della Chiesa. Divenne l’amante del capobanda Luigi Cima e intorno a lei nacque la leggenda de “La Regina delle Montagne”. Ebbe una figlia, che affidò ad una balia. Venne tradita e finì i suoi giorni nel carcere delle Terme di Diocleziano. Si narra della sua investitura come brigantessa. Di fronte alla banda, Luigiotto Cima le porse le armi: una carabina a sei colpi, una pistola revolver ed un pugnale; ed infine le venne inciso sul braccio con un coltello appuntito il simbolo della banda. La bella brigantessa divenne ben presto una leggenda nella piana di Fondi, al punto da oscurare la fama dello stesso capobrigante Luigiotto. E famoso divenne anche il suo tesoro, che nella sua fantasia, quando sarebbe uscita dalla galera e si sarebbe ricongiunta a sua figlia, si sarebbe andato a riprendere.
Michelina Iaconelli fu una delle molte donne del capobrigante Domenico Fuoco e si diede alla latitanza a soli 18 anni, partecipando alle azioni brigantesche, armata e vestita da uomo. Era nata nel 1846. Strinse un rapporto di amicizia con Michelina Di Cesare. Venne catturata a Scifelli e tradotta in treno presso il carcere femminile alle Terme di Diocleziano in Roma, scortata da 40 militi. Si ignora il suo destino successivo. Temeva Domenico Fuoco ed allo stesso tempo sentiva di non essere in grado di lasciarlo. Anzi gli salvò la vita, quando due briganti tramarono di ucciderlo per intascare la taglia.
Rosa Antonucci, nata nel 1838 in Terra di Lavoro, sposò avendo solo 16 anni Francesco Cedrone, che sarebbe diventato il luogotenente di Chiavone. Rosa lo seguì nella latitanza. Fu uccisa in combattimento dai piemontesi il 7 febbraio 1866. Rosa da viva era tenuta in grande considerazione dalla banda e, perché onesta e fidata, si decise di affidare a lei la cassa comune.
Cristina Cocozza è avvolta nel mistero; di essa, come di tante altre brigantesse, si persero le tracce ancor prima di subire il processo. Resta comunque il ritratto scritto da Jacopo Gelli, non suffragato però da nessuna verità storica, che la dipinge come la più feroce delle brigantesse. La Scerrato, nel suo racconto, ci dice che il buio della cella la rese quasi cieca.
Maria Capitanio, la settima e ultima brigantessa della quale parla il libro, era nata nel 1850 da piccoli proprietari terrieri. Conobbe Antonio Agostino Longo, abbastanza più grande di lei, e lo seguì nella banda del capobrigante Giacomo Ciccone. Fu arrestata dai piemontesi nel 1868. Portata nel carcere di Isernia subì un processo, ma grazie all’intervento del padre, che inventò un rapimento della ragazza da parte del Longo e corruppe i giudici, venne prosciolta da ogni accusa e scarcerata. La leggenda, ripresa nel libro, racconta che preferì suicidarsi ingerendo dei pezzi di vetro, piuttosto che tornare al suo paese. Il libro si chiude con la frase, riferita a Maria Capitanio, «ha continuato ad esistere quando già era morta sul Monte Cavallo di Presenzano un giorno di marzo del 1868».

La brigantessa Maria Teresa Roselli era nata nel 1838 nello Stato Pontificio. Il padre Domenico venne arrestato più volte con l’accusa di manutengolismo. Lei sposò giovanissima il noto brigante Giuseppe Molinari, dal quale ebbe numerosi figli. Giuseppe venne catturato e chiuso a vita nelle carceri di Frosinone. Maria Teresa, divenuta l’amante del brigante Giorgio il Calabrese, vestita da uomo partecipava abitualmente alle azioni brigantesche, maneggiando con grande precisione le armi da fuoco. Arrestata, venne condannata all’ergastolo da scontare nel carcere papalino delle Terme di Diocleziano a Roma. Fin qui la storia. Il romanzo narra, tra l’altro, di una precedente rocambolesca fuga della brigantessa, lanciandosi dal treno in corsa. E raggiunge i suoi cinque figli: tre maschi e due femmine, che dovrà poi lasciare per sempre prima di consegnarsi ai gendarmi pontifici.
Michelina Di Cesare nacque nel 1841 a Caspoli in Terra di Lavoro, in una famiglia poverissima. Sposò ventenne un bracciante, che si ammalò e morì l’anno dopo. Svolgendo l’attività di manutengola incontrò il capobrigante Francesco Guerra e ne divenne la donna, avendone anche un figlio. Combatterono insieme per sette anni e furono uccisi insieme dai piemontesi sul Monte Morrone il 30 agosto 1868. Nel racconto si dice del solenne battesimo celebrato per il figlio di Michelina e del brigante Guerra. «Vennero accesi tutti i ceri davanti alle statue dei Santi, stesi i paramenti più belli e il sacerdote cantò la messa, facendo risuonare la voce stentorea nella chiesa gremita». Poi consegnò il bambino a un vecchio monaco, affinché fosse allevato bene. E corse libera, a combattere per la libertà.
Elisa Garofoli era nata nel 1844 nello Stato della Chiesa. Divenne l’amante del capobanda Luigi Cima e intorno a lei nacque la leggenda de “La Regina delle Montagne”. Ebbe una figlia, che affidò ad una balia. Venne tradita e finì i suoi giorni nel carcere delle Terme di Diocleziano. Si narra della sua investitura come brigantessa. Di fronte alla banda, Luigiotto Cima le porse le armi: una carabina a sei colpi, una pistola revolver ed un pugnale; ed infine le venne inciso sul braccio con un coltello appuntito il simbolo della banda. La bella brigantessa divenne ben presto una leggenda nella piana di Fondi, al punto da oscurare la fama dello stesso capobrigante Luigiotto. E famoso divenne anche il suo tesoro, che nella sua fantasia, quando sarebbe uscita dalla galera e si sarebbe ricongiunta a sua figlia, si sarebbe andato a riprendere.
Michelina Iaconelli fu una delle molte donne del capobrigante Domenico Fuoco e si diede alla latitanza a soli 18 anni, partecipando alle azioni brigantesche, armata e vestita da uomo. Era nata nel 1846. Strinse un rapporto di amicizia con Michelina Di Cesare. Venne catturata a Scifelli e tradotta in treno presso il carcere femminile alle Terme di Diocleziano in Roma, scortata da 40 militi. Si ignora il suo destino successivo. Temeva Domenico Fuoco ed allo stesso tempo sentiva di non essere in grado di lasciarlo. Anzi gli salvò la vita, quando due briganti tramarono di ucciderlo per intascare la taglia.
Rosa Antonucci, nata nel 1838 in Terra di Lavoro, sposò avendo solo 16 anni Francesco Cedrone, che sarebbe diventato il luogotenente di Chiavone. Rosa lo seguì nella latitanza. Fu uccisa in combattimento dai piemontesi il 7 febbraio 1866. Rosa da viva era tenuta in grande considerazione dalla banda e, perché onesta e fidata, si decise di affidare a lei la cassa comune.
Cristina Cocozza è avvolta nel mistero; di essa, come di tante altre brigantesse, si persero le tracce ancor prima di subire il processo. Resta comunque il ritratto scritto da Jacopo Gelli, non suffragato però da nessuna verità storica, che la dipinge come la più feroce delle brigantesse. La Scerrato, nel suo racconto, ci dice che il buio della cella la rese quasi cieca.
Maria Capitanio, la settima e ultima brigantessa della quale parla il libro, era nata nel 1850 da piccoli proprietari terrieri. Conobbe Antonio Agostino Longo, abbastanza più grande di lei, e lo seguì nella banda del capobrigante Giacomo Ciccone. Fu arrestata dai piemontesi nel 1868. Portata nel carcere di Isernia subì un processo, ma grazie all’intervento del padre, che inventò un rapimento della ragazza da parte del Longo e corruppe i giudici, venne prosciolta da ogni accusa e scarcerata. La leggenda, ripresa nel libro, racconta che preferì suicidarsi ingerendo dei pezzi di vetro, piuttosto che tornare al suo paese. Il libro si chiude con la frase, riferita a Maria Capitanio, «ha continuato ad esistere quando già era morta sul Monte Cavallo di Presenzano un giorno di marzo del 1868». La brigantessa Maria Teresa Roselli era nata nel 1838 nello Stato Pontificio. Il padre Domenico venne arrestato più volte con l’accusa di manutengolismo. Lei sposò giovanissima il noto brigante Giuseppe Molinari, dal quale ebbe numerosi figli. Giuseppe venne catturato e chiuso a vita nelle carceri di Frosinone. Maria Teresa, divenuta l’amante del brigante Giorgio il Calabrese, vestita da uomo partecipava abitualmente alle azioni brigantesche, maneggiando con grande precisione le armi da fuoco. Arrestata, venne condannata all’ergastolo da scontare nel carcere papalino delle Terme di Diocleziano a Roma. Fin qui la storia. Il romanzo narra, tra l’altro, di una precedente rocambolesca fuga della brigantessa, lanciandosi dal treno in corsa. E raggiunge i suoi cinque figli: tre maschi e due femmine, che dovrà poi lasciare per sempre prima di consegnarsi ai gendarmi pontifici.
Michelina Di Cesare (alla quale, Eugenio Bennato ha dedicato la Canzone Il Sorriso di Michela”)nacque nel 1841 a Caspoli in Terra di Lavoro, in una famiglia poverissima. Sposò ventenne un bracciante, che si ammalò e morì l’anno dopo. Svolgendo l’attività di manutengola incontrò il capobrigante Francesco Guerra e ne divenne la donna, avendone anche un figlio. Combatterono insieme per sette anni e furono uccisi insieme dai piemontesi sul Monte Morrone il 30 agosto 1868. Nel racconto si dice del solenne battesimo celebrato per il figlio di Michelina e del brigante Guerra. «Vennero accesi tutti i ceri davanti alle statue dei Santi, stesi i paramenti più belli e il sacerdote cantò la messa, facendo risuonare la voce stentorea nella chiesa gremita». Poi consegnò il bambino a un vecchio monaco, affinché fosse allevato bene. E corse libera, a combattere per la libertà.
Elisa Garofoli era nata nel 1844 nello Stato della Chiesa. Divenne l’amante del capobanda Luigi Cima e intorno a lei nacque la leggenda de “La Regina delle Montagne”. Ebbe una figlia, che affidò ad una balia. Venne tradita e finì i suoi giorni nel carcere delle Terme di Diocleziano. Si narra della sua investitura come brigantessa. Di fronte alla banda, Luigiotto Cima le porse le armi: una carabina a sei colpi, una pistola revolver ed un pugnale; ed infine le venne inciso sul braccio con un coltello appuntito il simbolo della banda. La bella brigantessa divenne ben presto una leggenda nella piana di Fondi, al punto da oscurare la fama dello stesso capobrigante Luigiotto. E famoso divenne anche il suo tesoro, che nella sua fantasia, quando sarebbe uscita dalla galera e si sarebbe ricongiunta a sua figlia, si sarebbe andato a riprendere.
Michelina Iaconelli fu una delle molte donne del capobrigante Domenico Fuoco e si diede alla latitanza a soli 18 anni, partecipando alle azioni brigantesche, armata e vestita da uomo. Era nata nel 1846. Strinse un rapporto di amicizia con Michelina Di Cesare. Venne catturata a Scifelli e tradotta in treno presso il carcere femminile alle Terme di Diocleziano in Roma, scortata da 40 militi. Si ignora il suo destino successivo. Temeva Domenico Fuoco ed allo stesso tempo sentiva di non essere in grado di lasciarlo. Anzi gli salvò la vita, quando due briganti tramarono di ucciderlo per intascare la taglia.
Rosa Antonucci, nata nel 1838 in Terra di Lavoro, sposò avendo solo 16 anni Francesco Cedrone, che sarebbe diventato il luogotenente di Chiavone. Rosa lo seguì nella latitanza. Fu uccisa in combattimento dai piemontesi il 7 febbraio 1866. Rosa da viva era tenuta in grande considerazione dalla banda e, perché onesta e fidata, si decise di affidare a lei la cassa comune.
Cristina Cocozza è avvolta nel mistero; di essa, come di tante altre brigantesse, si persero le tracce ancor prima di subire il processo. Resta comunque il ritratto scritto da Jacopo Gelli, non suffragato però da nessuna verità storica, che la dipinge come la più feroce delle brigantesse. La Scerrato, nel suo racconto, ci dice che il buio della cella la rese quasi cieca.
Maria Capitanio, la settima e ultima brigantessa della quale parla il libro, era nata nel 1850 da piccoli proprietari terrieri. Conobbe Antonio Agostino Longo, abbastanza più grande di lei, e lo seguì nella banda del capobrigante Giacomo Ciccone. Fu arrestata dai piemontesi nel 1868. Portata nel carcere di Isernia subì un processo, ma grazie all’intervento del padre, che inventò un rapimento della ragazza da parte del Longo e corruppe i giudici, venne prosciolta da ogni accusa e scarcerata. La leggenda, ripresa nel libro, racconta che preferì suicidarsi ingerendo dei pezzi di vetro, piuttosto che tornare al suo paese. Il libro si chiude con la frase, riferita a Maria Capitanio, «ha continuato ad esistere quando già era morta sul Monte Cavallo di Presenzano un giorno di marzo del 1868».