Per una Manifestazione nazionale unitaria per la Cultura e il Lavoro
Il settore culturale muove 250 miliardi, il 17% del PIL, in controtendenza rispetto a molti altri; ogni euro investito in Cultura ne produce 1,8 in altri settori; la tutela del Patrimonio Culturale e della produzione culturale immateriale è principio fondamentale per il nostro Paese, contenuta nell’articolo 9 della Costituzione, che all’art.1 si fonda sul Lavoro. Eppure:
L’occupazione nel settore culturale non cresce, fatto reso possibile dal sistematico utilizzo di lavoro nero o gratuito.
I diritti e gli stipendi dei lavoratori della Cultura vengono di anno in anno abbattuti.
Un settore chiave dell’economia italiana viene pezzo per pezzo privatizzato, sulla pelle dei lavoratori, senza alcun vantaggio per la cittadinanza.
Per questo il 6 ottobre 2018 scendiamo in piazza. Ecco le nostre ragioni e le nostre richieste.
Siamo professionisti dei Beni Culturali, siamo professionisti dello spettacolo dal vivo, e del cinema, siamo autori, operatori, tecnici, custodi, siamo aspiranti professionisti e siamo soggetti in formazione. Siamo le lavoratrici e i lavoratori della Cultura. Svolgiamo professioni diverse, lavoriamo in decine di luoghi diversi, dai teatri ai musei, dagli archivi ai laboratori. Ma tutte e tutti abbiamo visto, negli ultimi decenni, il nostro settore definanziato e marginalizzato, di volta in volta screditato o strumentalizzato; tutte e tutti abbiamo visto i nostri diritti crollare, una crescita della competizione al ribasso, un attacco alla qualità del lavoro.
Per questo, oggi, chiamiamo a raccolta tutti i nostri colleghi, tutti i cittadini e le cittadine italiane, e in genere tutti coloro che abbiano a cuore il Patrimonio culturale e artistico di questo Paese, per la prima Manifestazione nazionale unitaria per la Cultura e il Lavoro.
Pochi lo sanno, ma il settore culturale è uno dei pochi in cui, nonostante la crisi, le entrate hanno continuato a crescere. Un settore cardine dunque, su cui investire e su cui puntare per il rilancio dell’occupazione. Ma non è andata così.
Nonostante l’enorme contributo offerto al Paese ogni anno, il settore culturale è costretto a funzionare (male) in costanti condizioni di ristrettezze economiche forzate, con investimenti e occupati nettamente al di sotto della media europea. Le Soprintendenze sono sotto organico, costantemente in regime di emergenza – da anni esponenti di diverse forze politiche ne chiedono la chiusura -; musei, siti archeologici, teatri, cinema, archivi e biblioteche chiudono, uno dopo l’altro; i pensionamenti si succedono spesso in assenza di turnover; il Fondo Unico per lo Spettacolo cala costantemente (-55% dal 1985), le esternalizzazioni dal 1993 in poi riguardano servizi sempre più essenziali per la vita dei luoghi culturali. I danni sono evidenti: l’80% degli italiani (dati Istat 2015) non è mai andata a teatro nel corso dell’anno, il 68% non ha mai visitato un Museo, il 56% non ha mai letto un libro. Questo non crea solo un problema economico e di esclusione sociale, ma permette anche il proliferare di teorie false e antistoriche che fomentano odio e divisioni, lontanissime dalla realtà storico-archeologica, o letteraria: teorie sempre più diffuse nella società e nel dibattito politico, fino ad arrivare alle Istituzioni.
Con la ricetta utilizzata finora – investimenti bassissimi e il sistematico utilizzo di volontari, esternalizzazioni e lavoro al massimo risparmio -, sarebbe difficile aspettarsi dati diversi: eppure la fame di Cultura c’è, è evidente dai buoni risultati registrati da teatro e lirica quando passano (eccezionalmente!) nel servizio pubblico radiotelevisivo, o dalla crescita costante del turismo culturale, nonostante la cronica mancanza di personale.
In questo quadro, ogni anno migliaia di giovani professioniste e professionisti della Cultura in Italia si trovano costretti a scegliere tra stipendi indecenti e vergognosi, tirocini di sfruttamento, stage senza prospettive, servizio civile, contratti a chiamata, volontariato, rimborsi spese…. o il cambiare mestiere, o l’estero.
Perché non si investe nel settore culturale, uno dei pochi che non conosce crisi? Perché non si permette a giovani e meno giovani di lavorare nel rispetto delle proprie qualifiche, con stipendi e contratti dignitosi, in modo che possano mettere le loro competenze a servizio del Paese? Perché non si lavora per ottenere contratti di qualità per tutti, lasciando perdere le esternalizzazioni a tutti i costi, e puntando a un equo trattamento per i lavoratori? Perché non si rispettano i contratti nazionali di categoria dove esistono, e non si punta ad estendere simili diritti a tutte e tutti?
I numeri parlano chiaro: risparmiare sulla cultura, in Italia, è una scelta suicida, ma la cittadinanza lo ignora perché il dibattito pubblico è viziato da letture volutamente distorte, come il fatto che la crisi della cultura sia economica o che la mancanza di lavoro nel settore sia un fatto logico e scontato.
La verità è che il lavoro nella Cultura in Italia c’è, e pure parecchio. Ma in questo settore si sta sperimentando l’abbattimento dei diritti e del costo del lavoro, perché si tratta di professioni poco note, e di categorie storicamente divise, o poco numerose, o poco pronte a manifestare per la propria dignità professionale.
Abbiamo assistito a questo sfacelo per troppo tempo. Ora tutto ciò deve finire.
Per questo il 6 Ottobre 2018 tutti noi lavoratori e professionisti dell’intero settore culturale italiano, dagli archeologi ai musicisti, dagli autori, gli attori, le guide fino ai custodi museali o ai bibliotecari, con l’aiuto di Sindacati, Associazioni e di tutti i cittadini che hanno a cuore la causa, abbiamo deciso di mobilitarci, per la prima volta insieme, per far vedere che ci siamo, abbiamo chiaro dove stiano le colpe e abbiamo capito come rilanciare il Paese: ora lo faremo capire a tutti, con una Manifestazione per la Cultura e il Lavoro.
A Roma (percorso e sede da definirsi) si terrà una Manifestazione unitaria dell’intero settore dei Beni e della Attività Culturali, la prima nella Storia d’Italia, per chiedere di ribaltare il tavolo, e di iniziare a trattare la Cultura come merita: come uno dei settori cardine dell’economia Italiana, dando risorse, dignità e riconoscimento a Istituzioni, professionisti e lavoratori del settore.
Chiediamo ai cittadini, alla classe politica e ai giornali di prendere coscienza del problema, e al Governo di prendere urgentemente provvedimenti per porre fine a queste politiche del tutto insensate. I provvedimenti da assumere sono tanti, previa l’abrogazione del pareggio di bilancio (art.81) in Costituzione, ovvia premessa di tutte le altre necessarie azioni; azioni quali, anzitutto:
Portare l’investimento dell’Italia in cultura al 1,5% del PIL, in linea con gli altri Paesi europei.
Aumentare i finanziamento pubblici al settore dello spettacolo (Fondo Unico per lo Spettacolo e finanziamenti locali), e creare miglior coordinamento e sinergia degli stessi, garantendo altresì finanziamenti certi su base almeno triennale. Modificare i criteri di elargizione del Fondo Unico per lo Spettacolo secondo veri principi di pluralismo, trasparenza, reale controllo dei criteri, evitando centralismi e marginalizzazioni dettati da mancanza di norme.
Pubblicare i decreti attuativi della legge 175/2017 ascoltando le Parti Sociali.
Promuovere un nuovo, coerente, omogeneo e condivisibile sistema nazionale di abilitazione a guida turistica.
Pubblicare i decreti attuativi della legge 110/2014, che riconosce per la prima volta 7 professioni dei beni culturali; riconoscere e tutelare tutte le professioni oggi non regolamentate del settore dello spettacolo (registi, sceneggiatori, danzatori, attori, musicisti, doppiatori…), dei beni culturali (mediatori museali, paleontologi, manager del Patrimonio Culturale…) e in generale della cultura (traduttori, scrittori…).
Far rispettare i Contratti nazionali esistenti, prevedendo che in mancanza di tale requisito si determini automaticamente la decadenza dei finanziamenti; creare finalmente un contratto nazionale del settore audiovisivo.
Promuovere l’assunzione, nei ranghi ministeriali, di almeno 3500 lavoratori entro il 2020, a partire dagli idonei al concorso dei 500 funzionari MiBACT, al fine di ottenere la copertura totale del turnover; ridefinire i fabbisogni professionali in modo tale da garantire la possibilità di adempiere a tutti i compiti specificati dal Codice del 2004, riqualificando i servizi ed elevando gli standard di tutela, mortificati dalle ultime riforme organizzative.
Ampliare le previsioni occupazionali specifiche degli Enti Locali e delle Istituzioni Culturali pubbliche, permettendogli, dopo anni di compressione forzata delle spese, di assumere secondo le esigenze.
Promulgare una legge che regolamenti il volontariato culturale, mettendo fine al lavoro gratuito mascherato da volontariato.
Abrogare l’articolo 24 legge 160/2016 sul declassamento delle fondazioni lirico-sinfoniche ed estinguere il debito pregresso delle fondazioni causato dalle inadeguate erogazioni.
Riformare la Legge 4/1993 (Legge Ronchey) e rivedere il sistema delle esternalizzazioni, per tutelare il Patrimonio pubblico e il lavoro; ristatalizzare ove necessario, come nel caso delle fondazioni lirico-sinfoniche o dei servizi essenziali di Musei, Biblioteche e Archivi.
Servono leggi, servono risorse. Ma non solo per i professionisti dei beni culturali, non solo per i professionisti dello spettacolo, non per gli operatori museali, non per le Soprintendenze né per i Teatri: servono per il Paese.
Ed è il momento che la politica si decida a far funzionare il settore culturale. Siamo stati zitti all’angolo, chiusi nella nostra frustrazione e divisione per troppo tempo.
Il 6 ottobre la Cultura italiana si muove, unita: smettetela di mentirci, smettetela di sfruttarci, e lo vedrete, vi #RilanciamoilPaese.
Il 6 Ottobre 2018, una Manifestazione unitaria nazionale per la Cultura e il Lavoro. E da lì non si torna indietro.
Vi aspettiamo in piazza. Non serve a noi, serve al Paese.