L’OCCUPAZIONE DI RODI
di Angelo D’Ambra
L’occupazione italiana di Rodi ebbe un rilievo importante perché connesso alla necessità di costruirvi una base nelle operazioni di blocco dei rifornimenti tra Turchia e Libia nell’ambito della Guerra Italo-Turca.
L’occupazione di Rodi
L’occupazione italiana di Rodi ebbe un rilievo importante perché connesso alla necessità di costruirvi una base nelle operazioni di blocco dei rifornimenti tra Turchia e Libia nell’ambito della Guerra Italo-Turca.
Le operazioni iniziarono il 4 maggio del 1912 e si conclusero il 16 di quel mese. L’isola dell’Egeo fu in pieno controllo degli italiani sebbene solo con l’articolo 15 del trattato di pace con la Turchia, stipulato a Losanna alla fine della Prima Guerra Mondiale, si stabiliva che: “La Turchia rinuncia in favore dell’Italia a tutti i suoi diritti e titoli sulle isole qui appresso enunciate e cioè: Stampalia, Rodi, Calchi, Scarpanto, Caso, Piscopi, Nisiro, Calino, Lero, Patmo. Lisso, Simi e Co e gli isolotti che ne dipendono così pure, come sull’isola di Castellorizzo”.
Dopo la Battaglia di Bengasi del 12 marzo del 1912, il generale Giovanni Ameglio costituì un corpo di spedizione che si imbarcò a Tobruk sui piroscafi Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour e Valparaiso ed iniziò il suo viaggio scortato da una divisione della regia marina affidata al vice ammiraglio Marcello Amero d’Aste Stella. Il contingente, che ammontava a circa 9.000 uomini. Del corpo facevano parte il 57° Reggimento fanteria, protagonista a Bengasi, il 34° Reggimento fanteria, distintosi a Tobruk, i bersaglieri dei due battaglioni del 4° Reggimento e gli alpini del Battaglione Fenestrelle. Il resto del Corpo di spedizione venne costituito da due gruppi di due batterie: una da campo modello 1906 ed una da montagna da 65, un plotone degli Ussari di Piacenza, una compagnia di zappatori del genio, un plotone di minatori telegrafisti, telefonisti, radiotelegrafisti, guardie di finanza di mare, nonché servizi di sanità e di sussistenza.
La meta era stata tenuta segreta. Si supponeva che gli italiani avessero potuto occupare Bomba, ma lo sbarco a Rodi fu ritenuto dagli alti comandi italiani tatticamente e strategicamente più conveniente.
I fondali dell’isola permisero il rapido sbarco presso la rada di Calitea, sulla costa orientale dell’isola. Nel frattempo, per ingannare il nemico, l’incrociatore ausiliario Duca di Genova simulò lo sbarco a Trianda sulla riva opposta dell’isola e una divisione navale compariva presso le Cicladi per impegnare la flotta turca. Alle 4 del mattino gli italiani sbarcarono, toccò dapprima ad una compagnia di marinai destinata che apprestò rapidamente i pontili e costituì così la prima testa di sbarco, seguirono immediata mente le truppe di terra e poi i viveri, le munizioni ed il carreggio. Poco dopo mezzogiorno le truppe iniziarono a muovere verso la città di Rodi, contemporaneamente la resa venne intimata al wali turco dal capitano Nicastro, comandante del cacciatorpediniere Alpino. Rifiutata pure una seconda resa, il wali fuggì e fu trovato dopo quattro giorno e fatto prigioniero mentre tentava di imbarcarsi al porto di Lindos.
L’avanzata italiana non trovò ostacoli. Il presidio turco abbandonò ogni postazione fuggendo col proposito di predisporsi alla guerriglia.
Un esiguo reparto fu sbaragliato da un assalto alla baionetta ad Asguro. L’operazione contò un morto e cinque feriti tra gli italiani e l’intero reparto turco, costituito da 62 uomini, fatto prigioniero.
Alle 11 del giorno seguente Ameglio entrò a Rodi in una città trionfante perché la popolazione greca guardava con grande entusiasmo l’arrivo degli italiani. Senza difficoltà ogni borgo fu occupato ed il tricolore fu issato sul Castello di Rodi salutato dalle salve delle navi da guerra.
Nei giorni immediatamente successivi le nostre navi procedettero ad occupare le isole minori: la Pisa fu mandata a Calimno, la San Marco a Lero, l’Amalfi a Patmos e la prima divisione occupò Nisiro, Piscopi, Cos, Scarpanto. I turchi dei presidi furono tutti tratti in arresto e gli ufficiali della Marina allestirono alla meglio gli uffici amministrativi coinvolgendo la popolazione di lingua e nazionalità greca. Nel giro di nove giorni tutte le isole furono occupate.
Il conflitto decisivo si tenne il 16 maggio contro il presidio ottomano concentratosi a Psitos. L’attacco italiano fu così ricostruito dall’Ufficio storico del Capo di Sato Maggiore della Regia Marina: “Il 16 maggio l’attacco combinato ebbe luogo rapida mente, ottenendosi in breve la resa dell’intera guarnigione. La sera del 15, il generale Ameglio partiva da Rodi col grosso delle forze, diretto a Psitos. La stessa notte, protetto dalla R. nave Emanuele Filiberto, un battaglione alpini sbarcava nella baia di Malona a sud-est di Psitos, mentre tre battaglioni di bersaglieri, sotto la protezione delle RR. navi Saint Bon e Regina Margherita, prendevano terra a Calavarda a nord-ovest. Le due colonne, destinate a tagliare la ritirata ai Turchi, riuscirono mirabilmente al loro intento. Le forze ottomane tentarono inutilmente di aprirsi un varco verso Maritza e verso Calamona, per sfuggire all’urto della colonna principale che avanzava da Rodi: trattenute dai bersaglieri e dagli alpini, minacciate dal tiro delle navi, tentarono ancora il contrattacco, ma alla fine dovettero arrendersi e furono in massa condotte prigioniere. Fu concesso loro l’onore delle armi, in omaggio al disperato valore spiegato”.
L’occupazione di Rodi costò alle forze italiane di mare e di terra perdite decisamente contenute. Il 57° fanteria lasciò sul campo 2 uomini ed ebbe 5 feriti, mentre il 4° reggimento bersaglieri perse un ufficiale e 5 uomini ed ebbe un totale di 28 feriti. Da parte turca, i combattimenti sull’isola provocarono la morte di 23 tra ufficiali e soldati e il ferimento di altri 48 uomini. Gli italiani catturarono e fecero prigionieri 33 ufficiali e 950 soldati, oltre a 6 pezzi d’artiglieria, 750 fucili, munizioni, quadrupedi e carriaggi.
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Autore articolo: Angelo D’Ambra
Fonte foto: dalla rete
Bibliografia: R. Susani, L’occupazione di Rodi (4-16 maggio 1912)