Forze speciali e commando: la storia segreta dello sbarco in Sicilia
20 Luglio 2023
Lo sbarco di Sicilia, avvenuto ottant’anni fa, fu preceduto da una serie di operazioni di forze speciali decisive per il successo alleato
Andrea Muratore
Il 10 luglio 1943 le truppe angloamericane sbarcarono in Sicilia, dando vita al primo attacco alla “fortezza Europa” costruita dalle potenze dell’Asse e mettendo in campo una potenza di fuoco notevole contro le truppe di Germania e Italia, accelerando le dinamiche che in due settimane avrebbero portato alla caduta del regime fascista a Roma e all’inizio della durissima campagna d’Italia.
Per la Sicilia fu battaglia vera: 8mila caduti per le potenze dell’Asse e 5mila alleati in sei settimane di scontri. Le truppe italiane e i rinforzi tedeschi, ben armati di carri armati Tiger e guidati dalla divisione corazzata di paracadutisti “Hermann Goring”, la migliore unità schierata in Italia assieme ai famigerati “Diavoli verdi” che bene avrebbero performato a Cassino, combatterono con indubbia tenacia. Sul fronte alleato, dopo quello che fu il più ampio e complesso sbarco anfibio mai realizzato prima del D-Day del giugno 1944, un fattore decisivo della vittoria ottenuta in poche settimane dai soldati dei generali Harold Alexander e George Patton fu la silenziosa, ma decisiva, preparazione dell’invasione grazie alle operazioni delle forze speciali.
Nella notte precedente gli sbarchi, infatti, paracadutisti e ranger delle forze angloamericane furono inviati in Sicilia a conquistare snodi strategici, a fungere da avanguardie per gli sbarchi e a consolidare i gangli vitali delle teste di ponte che gli Alleati intendevano costituire nella parte meridionale della Sicilia. Decisivi furono in quest’ottica i reparti dell”82ª Divisione aviotrasportata statunitense, al comando del maggior generale Matthew Ridgway, e della 1ª Divisione aviotrasportata britannica, al comando del maggior generale George F. Hopkinson. L’operato delle truppe non andò nella direzione prevista, ma ebbe il decisivo effetto di distogliere riserve dalle forze italo-tedesche in aree come Siracusa.
Nella notte tra il 9 e il 10 luglio, portate da alianti, le truppe delle due divisioni iniziarono di fatto l’Operazione Husky, l’invasione della Sicilia, prima dell’arrivo al largo delle coste dell’isola italiana della flotta partita dal Nord Africa. Esploratori americani della 21ª Compagnia Paracadutisti Indipendente del 504º reggimento di fanteria paracadutista, insieme al 456º battaglione di artiglieria campale paracadutista, tutte parti dell”82ª Divisione aviotrasportata, furono inviati a seminare scompiglio alle spalle della zona di sbarco americana presso Gela.
La forza britannica avrebbe dovuto invece conquistare il Ponte Grande sul fiume Anapo, per bloccare l’afflusso di riserve tedesche dall’entroterra verso la zona di sbarco di Cassibile. A sostenere l’operazione sarebbe dovuta intervenire la 1ª Brigata aviotrasportata britannica, che si trovò per effetto dei venti che sferzavano la costa e dispersero la forza americana a essere l’unità maggiormente concentrata alle spalle del nemico, ma anche quella più investita dai contrattacchi nemici che si concentrarono sul Ponte Grande. Avrebbe tenuto il ponte tutto il giorno: alcuni suoi elementi si arresero di fronte alle truppe italiane alle 15.30, ma furono riscattati un’ora dopo dagli Scots Fusiliers che lo riconquistarono di slancio, consolidando la testa di ponte.
Al contempo, andava in scena a Capo Murro di Porco una delle operazioni destinate a diventare più celebri nella storia delle forze speciali nella seconda guerra mondiale: l’assalto dello Special Air Service Service britannico alla batteria costiera “Lambda Doria” che dominava la parte sud-orientale della Sicilia, nella penisola della Maddalena facente parte del comune di Siracusa. Nel sito dedicato alla storia dell’Operazione Ladbroke, la serie di sbarchi che precedettero Husky, è narrato il ruolo dei commando di Sua Maestà nell’operazione, affidata allo Special Raiding Squadron del Sas, guidato dal Maggiore Paddy Mayne, definito dai suoi compagni d’arme come una “valorosa canaglia”.
Dopo lo sbarco, tra il 13 e il 16 luglio il ponte Primasole sul fiume Simeto fu attaccato nuovamente da elementi della 1ª Divisione paracadutisti britannica decollati dal Nord Africa nell’Operazione Fustian. L’obiettivo era colpire alle spalle le truppe dell’Asse e accelerare la marcia su Catania. Giocando di sponda con la 50ª Divisione di fanteria britannica, promosse un successo simile a quello del Ponte Grande: cattura dell’infrastruttura, ritirata sotto i colpi dell’offensiva nemica, propiziata soprattutto da truppe tedesche dotate di mitragliatrici pesanti, ricongiungimento con la forza da sbarco giunta, in questo caso, da Lentini.
313 militari morirono nell’Operazione Landbroke e 141 nell’Operazione Fustian: perdite pesanti concentrate principalmente tra i britannici, che non si risparmiarono nella battaglia. Il coordinamento tra commando e forze da sbarco ebbe successo a prezzo di un tributo di sangue notevole e nella caduta di insostituibili professionisti capaci di attività dall’alto valore strategico. I comandi alleati avrebbero replicato in grande, in Normandia, queste importanti manvore. Ma non da meno fu la capacità delle truppe dell’Asse di opporre una degna resistenza: tra il 9 e il 10 luglio, ad esempio, il 1º Battaglione del 75º Reggimento fanteria italiano (parte della Divisione “Napoli“) ingaggiò una forza americana atterrata e fece prigionieri 160 paracadutisti che volevano impadronirsi della strada tra Palazzolo Acreide e Siracusa. Il 385º Battaglione costiero italiano si distinse al Ponte Grande, che di fatto contribuì a riconquistare e tenne prima del contrattacco britannico. Per sei, lunghe settimane la battaglia avrebbe fatto emergere altre unità che tennero in condizioni di netta inferiorità di uomini e mezzi. Ma la crepa nella “fortezza Europa” era aperta, inesorabilmente. E abbandonati da Roma e da un regime in dissoluzione, i militari italiani si trovarono a considerare vano il loro sacrificio. Al contrario di quello, oneroso ma strategicamente decisivo, dei militari alleati con cui si erano battuti con valore.
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