La scomparsa di Ermanno Rea

La scomparsa di Ermanno Rea e quella telefonata sul Risorgimento
di Gigi Di Fiore

Ho custodito come un bel ricordo quella telefonata, ricevuta nella redazione del Mattino. Si era nell’anno delle celebrazioni sui 150 anni di unità d’Italia. Molti preparavano libri, interpretazioni, ricordi, saggi originali. Lo fece anche Ermanno Rea, che, in un’altalena tra presente politico e passato dell’Italia unita, scrisse per Feltrinelli “La fabbrica dell’obbedienza: il lato oscuro e complice degli italiani”.

Già nel titolo si capiva l’intento provocatorio e non omologato della lettura di Rea sul passato. Era nello spirito di un giornalista e scrittore combattente, che avevo ammirato nel suo splendido “La dismissione”, vero testamento di speranze e disillusioni legate alla presenza dell’Italsider a Bagnoli. E, quando mi chiamò per chiedermi due-tre cose legate al mio “I vinti del Risorgimento”, che avevo pubblicato con Utet nel 2004 (il testo è stato poi rieditato nel 2014 dalla stessa casa editrice), mi emozionai.

Mi chiese con umiltà, come se io fossi un maestro e non, come era in realtà, un allievo. Due cose su Silvio Spaventa, un accenno sul famoso carcere di Fenestrelle dove furono imprigionati gli ex militari delle Due Sicilie. Mi riferì di aver apprezzato il mio saggio. Preparava il suo libro e mi disse: “non è un libro di storia, ma di lettura della storia che è il mio intento”. Quasi come Croce, nell’idea che i fatti crudi della storia siano facilmente acquisibili, quello che distingue un autore da un altro è la lettura originale e profonda che ne fornisce con onestà e rigore.

La telefonata durò pochi minuti. Risposi con emozione. Ma la sorpresa maggiore fu per me il suo libro che venne pubblicato da Feltrinelli qualche mese dopo. Rea definiva il mio testo “pregevole saggio”. E lo citava nella nota 81, con precisione a proposito dell’attività repressiva di Silvio Spaventa a Napoli come ministro della Luogotenenza. E citò la vicenda dei prigionieri di Fenestrelle, richiamando il mio testo di sette anni prima. Fu una seconda emozione. Non lo chiamai, per pudore e perché non avrei saputo cosa dire. Ma, ancora una volta, verificai l’onestà intellettuale di uno dei maggiori scrittori di Napoli degli ultimi 30 anni, che non è stato abbastanza apprezzato.
Martedì 13 Settembre 2016,

rea