La repressione del brigantaggio tra i crimini di guerra: un nuovo studio all’Università di Perugia
Gigi Di Fiore
Dapprincipio fu Carlo Alianello, con il suo La conquista del Sud. Fu lui, l’autore lucano dell’Eredità della priora, ad azzardare le prime analogie tra i crimini delle Ss in Italia e la violenza della repressione militare nella guerra contadina nel Mezzogiorno dal 1861. E giù polemiche, accuse di esagerazioni. Paragoni azzardati? Cosa c’entrano quelle migliaia di fucilazioni senza processo, a freddo, assai spesso ignorate nei rapporti militari, dei poveri cristi accusati di far parte o appoggiare le bande dei briganti, con le stragi naziste?
Già, cosa c’entrano. Eppure, nuove ricerche, alimentate dalle famose polemiche sulla scoperta dell’armadio della vergogna a palazzo Cesi a Roma, con i 695 fascicoli accantonati per anni sugli eccidi decisi dai nazisti in Italia, cominciano a fornire una visione storica complessiva anche sui comportamenti dei militari italiani dall’unità d’Italia in poi. E associano, alle recenti definizioni giuridiche internazionali di “crimini di guerra”, anche ciò che avvenne negli anni del brigantaggio al Sud. A dimostrazione che sono le nuove convinzioni, le nuove sensibilità, le nuove acquisizioni culturali in più materie, a rendere necessaria la continua revisione di nostre vicende nazionali anche lontane 155 anni fa.
Ci aveva scritto, utilizzando questa metodologia, già anni fa il famoso storico Angelo Del Boca, il pioniere negli studi sulle stragi coloniali compiute dai nostri militari con l’utilizzo dei gas vietati. Il suo Italiani brava gente? pubblicato da Neri Pozzi partiva dal brigantaggio e dagli eccidi, compiuti, senza che si potesse dire nulla, nel Sud. A partire da quello più famoso a Pontelandolfo in provincia di Benevento.
Ora, con la stessa impostazione, è in libreria un nuovo studio, scritto dal professore Alberto Stramaccioni, docente di Storia contemporanea all’Università per stranieri di Perugia. E’ stato da poco pubblicato per la Laterza, si chiama Crimini di guerra – Storie e memoria del caso italiano. E le pagine iniziali, manco a dirlo, sono dedicate alla Repressione nel Sud. Nell’elencare alcuni esempi di vicende su cui, da qualche anno, si è ravvivata la memoria nonostante l’assenza di interesse in gran parte degli storici per professione, il docente cita “la deportazione al Nord di migliaia di militari borbonici, nella fortezza di Fenestrelle e a San Maurizio Canavese vicino Torino, mentre al Sud, a Pontelandolfo e Casalduni, furono fucilati centinaia di civili”.
Un riconoscimento a vicende che alcuni accademici, chissà perchè, cercano di dimostrare “esagerate” o inesistenti abbagliati da tendenze negazioniste che di certo non fanno bene all’Italia e ai conti di verità con la sua storia. Cosa scrive, invece, nel secondo capitolo del suo recentissimo saggio, il professore Stramaccioni? Ecco: “I metodi repressivi adottati dall’esercito al Sud suscitarono nel Parlamento italiano e all’estero critiche e condanne fino a far emergere poi precise accuse per aver compiuto, ante litteram, i primi crimini di guerra o crimini contro l’umanità. L’attenzione si concentrò su alcune vicende tra il 1860 e il 1861”.
Ma guarda un po’. Le amare conclusioni del docente, a commento dell’attività delle due commissioni parlamentari sul brigantaggio, sono poi che purtroppo “non misero certo in discussione l’attività dei tribunali militari che avevano applicato le norme della legge Pica”. Ed è la spiegazione di una legittimazione giuridica, per legge speciale, fornita 153 anni fa all’arbitrio repressivo dell’esercito nel Sud contro i contadini, gli ex militari borbonici, gli ex garibaldini, in armi. Una vicenda piena di ombre, che ha pesato per decenni sull’unificazione italiana, sul rapporto Nord e Sud, sulla questione meridionale. Ben vengano, così, nuovi saggi di accademici, se un po’ più di luce e un po’ più di memoria e coscienza collettiva aiuteranno a fare su quegli anni. Ultimo
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Gigi Di Fioreaggiornamento: 29-09-2016 © RIPRODUZIONE RISERVATA