Il SUD DOPO IL 1860: LA MAFIA NELL’AVANZATA DI GARIBALDI IN SICILIA.
La partecipazione della mafia alle azioni delle camicie rosse è ampiamente documentata. Innanzi tutto ne parla Pasquale Villari, che fu un fiero oppositore dei Borbone, ma questo non gli impedì di essere in prima linea nella denuncia delle ingiustizie e delle violenze contro il Sud. Ecco cosa scrive a proposito dell’organizzazione criminale ne ‘Le Lettere Meridionali’ del 1875: “La rivoluzione ricorse ad essa, che potè subito armare contadini e popolo, porsi alla loro testa, e rovesciare il Governo stabilito.” A proposito, poi, del modo in cui il suo potere si sia consolidato dopo l’Unità, il grande l’intellettuale napoletano è altrettanto esplicito e aggiunge: “La pubblica sicurezza venne affidata alla mafia, dandole così in mano la società, e questo sistema che pur troppo fu sempre seguito, rese sempre più forte l’associazione che si voleva distruggere.”
Più o meno negli stessi termini si esprime l’ex garibaldino Napoleone Colajanni (come politico noto per aver sollevato in Parlamento lo scandalo della Banca Romana), che in ‘Nel regno della Mafia’ (Rivista Popolare, 1900) scrive: “La mafia rese i più grandi servizi alla causa della rivoluzione contro i Borboni … Gli stessi mafiosi si battettero prodemente nel 1860 tra i picciotti di Garibaldi e quando trionfa la leggendaria spedizione dei Mille, nel momento in cui una nuova vita doveva cominciare per la Sicilia, la mafia si trovò circondata dall’aureola del patriottismo e col battesimo del sangue versato in difesa della libertà.”
Della presenza della mafia accanto ai garibaldini riferiscono anche diversi protagonisti delle lotte di quei giorni, tra i quali Crispi ne ‘I Mille’ (Treves, 1911), Nicolò Turrisi Colonna in ‘Cenni sullo stato attuale della sicurezza pubblica in Sicilia’ (Lorsnaider, 1864) e Francesco Brancaccio di Carpino in ‘Tre mesi nella Vicaria di Palermo nel 1860’ (Ruggiano, 1901). Ne parla addirittura anche Ippolito Nievo, che in una lettera inviata il primo luglio del 1860 alla madre dice: “Tutta la rivoluzione è concentrata nelle bande campagnuole chiamate squadre e composte per la maggior parte di briganti emeriti … Tant’è vero che noi dobbiamo farla da carabinieri contro i nostri alleati di ieri.” Al riguardo, infine, lo storico Raffaele De Cesare ne ‘La fine di un regno’ (Lapi, 1909) afferma: “Le squadre ingrossavano reclutando gente d’ogni risma e la mafia, che in quei giorni assumeva un’aria addirittura provocatrice, si dava un gran moto”.
In conclusione, sembra sorprendente (per non dire altro) che di fronte a testimonianze così numerose (ma ve ne sono ancora altre) e così rilevanti la storia ufficiale non parli della presenza della mafia accanto ai garibaldini. Il compito della Storia è quello di raccontare la Verità, non di mistificarla o di tacerla. Nelle vicende di tutti gli Stati ci sono fatti, dei quali ci si deve solo vergognare, ma gli storici stranieri li descrivono senza alcuna remora. Spetta poi ai contemporanei fare i conti con queste scomode verità e imparare a conviverci.
Enrico Fagnano
NONO POST tratto dal mio libro LA STORIA DELL’lTALIA UNITA Ciò che è accaduto realmente nel Sud dopo il 1860 (pubblicato e distribuito da Amazon). I precedenti post sono sul sito ‘Alta Terra di Lavoro’ e sulla pagina facebook ‘La storia dell’Italia unita’.