La flotta in fiamme e la ricostruzione

La flotta in fiamme e la ricostruzione

Nel corso dei tragici e travolgenti eventi del 1799, fra le altre sciagure, accadde pure che Ferdinando fu convinto da Horatio Nelson (altro inglese a Corte oltre all’Acton), presente a Napoli in veste di “amico protettore”, ad incendiare l’intera flotta di stanza a Napoli e Castellammare, affinché non finisse nelle mani dei napoleonici che stavano per entrare nella capitale. Il tragico spettacolo cui assistettero tutti i napoletani il 9 gennaio 1799 non fu più dimenticato.
Nel golfo, all’improvviso, l’intera gloriosa flotta era in fiamme dinanzi ai loro occhi sconvolti e affranti.
Si può discutere finché si vuole (come è sempre avvenuto) sul fatto che è prassi d’uso in guerra distruggere i propri armamenti quando stanno per finire nelle mani del nemico: fatto sta che annientare la flotta del Regno di Napoli era sicuramente un evento che avvantaggiava enormemente il predominio inglese nel Mediterraneo, oltre a gettare ancor di più il Regno sotto il controllo britannico. In ogni caso, come è noto Ferdinando dovette riparare nuovamente in Sicilia dal 1806 al 1815 quando poté tornare a Napoli e riprendere nelle sue mani il governo effettivo del Regno, ora denominato “delle Due Sicilie”. Subito cominciò a riorganizzare le sue forze armate (l’esperienza degli ultimi venti anni aveva lasciato il segno), e in particolare la Marina.
Si varò il primo piroscafo a vapore del Mediterraneo il 24 giugno 1818; vennero poi pubblicate le “Ordinanze Generali della Real Marina”, relative e l’organizzazione dell’Armata di Mare, comprese le disposizioni di carattere generale sulle uniformi. In soli quattro anni la Marina era giunta ad allineare tre divisioni con una settantina di legni da guerra di tutte le stazze.
Chi riprese poi la politica militare marittima fu naturalmente Ferdinando II: la flotta napoletana si arricchì delle unità a vapore (“Nettuno”, “Ferdinando II”, “S. Wenwfrida”), prima a ruote e poi a elica, divenendo così una delle più potenti del Mediterraneo.

Nel 1856 furono poi costruite navi con macchine a bilanciere: “Ferdinando”, “Nettuno”, “Peloro”, e, col sistema a connessione diretta e cilindri oscillanti, il “Fulminante”, il “Veloce”, la “Saetta”, il “Messaggero”. Anche in questo campo Re Ferdinando II si distinse per intraprendenza e genialità: nel 1834 fu istituito a Pietrarsa il “Real opificio meccanico Militare” e la prima “Scuola ingegneri meccanici” d’Italia, alla quale fu annessa una fabbrica d’attrezzi e macchine marine per armare le pirofregate Napoletane.
Pietrarsa, con i suoi 800 operai, era il primo opificio italiano. Inoltre l’azione di Ferdinando favori anche l’iniziativa privata: nacquero fabbriche come la Guppy & Co., la Zino & Herry e i cantieri e le officine Pattison, tutte ubicate nel napoletano, che poi saranno utilizzate dalla Marina Italiana dopo il 1861. Inoltre il Sovrano fece costruire nel porto di Napoli anche il primo bacino di raddobbo in Italia.
L’armata di mare aveva intanto aumentato la sua consistenza con numerose fregate e pirofregate a ruote da 50 cannoni, vari brigantini e pirocorvette.
Essa era così composta:
1) Reale Corpo di cannonieri e marinai, articolato in 16 compagnie attive da imbarco e due compagnie sedentarie;
2) Reggimento “Real Marina” (con un organico di 2400 uomini) articolato su due battaglioni per sei compagnie;
3) Corpo di genio marittimo;
4) Corpo telegrafico;
5) Corpo sanitario;
6) Corpo amministrativo con tre Dipartimenti (Napoli, Palermo e Messina).
Organo supremo dell’Armata di Mare era l’Ammiragliato, retto da un principe di Borbone fratello del Re, Comandante Generale dell’Armata di Mare con il grado di Vice Ammiraglio, affiancato da un Consiglio di Ammiragliato. L’Armata ebbe anche occasione di operare oltreoceano, in Brasile.
Gli ufficiali venivano formati alla Reale Accademia di Marina, fondata nel 1735, che possedeva un osservatorio astronomico-nautico tra i più belli d’Europa; Ferdinando II nel 1841 la fuse con l’Accademia militare della Nunziatella, in modo che i futuri Ufficiali di Marina venissero selezionati tra gli alunni del Collegio militare. Nel 1848, durante la Prima Guerra di Indipendenza, Ferdinando II inviò 5 fregate a vapore, 2 a vela, 1 brigantino e vari trasporti con 4.000 soldati, agli ordini di Guglielmo Pepe, allo scopo di liberare Venezia dagli austriaci; ma poi la rivoluzione del 15 maggio mandò tutto a monte, e il Re, come già detto nella voce a lui dedicata, si ritirò dalla guerra.
Nel suo brevissimo regno, Francesco II riuscì a varare la fregata ad elica “Borbone”.

I vascelli dell’Armata di mare erano generalmente a due ponti di batteria e uno di coperta, e le loro dimensioni andavano da 50 a 60 metri di lunghezza e 15-17 di larghezza per una stazza tra le 3.000 e le 4.500 tonnellate. Le vele erano a tre alberi, l’armamento a di 60 o 74 cannoni, l’equipaggio di 700-800 unità, dagli ufficiali fino ai servitori, passando per i cappellani, chirurghi, ecc.
Le fregate erano generalmente a due ponti, uno a batteria coperta uno scoperta; lunghezza m. 35 circa, larghezza m. 13, stazza 1500-2000 tonnellate; a tre alberi, con 40-44 cannoni, circa 300 uomini di equipaggio.Le corvette un solo ponte di coperta, lunghezza come le fregate ma la larghezza era inferiore di un paio di metri, la stazza di un migliaio circa di tonnellate; due alberi, da 20 a 30 cannoni, equipaggio dalle 140 a lle 180 unità. L’Armata di mare era talmente grande e moderna «che per numero di imbarcazioni (oltre cento tra grandi, medie e piccole), stazza complessiva, percentuale di legni a vapore e potenza di fuoco, è non solo di gran lunga la maggiore fra le flotte militari degli Stati italiani preunitari ma figura al terzo posto a livello Mediterraneo preceduta soltanto da quelle di Inghilterra e Francia».È un dato di fatto indiscutibile che la Marina Italiana nasce dalla aggregazione progressiva, nel biennio 1860/61, delle Marine preunitarie (Sarda, Napoletana e Toscana) cui si aggiungono gli uomini della Marina Garibaldina e due unità pontificie di preda bellica, recuperate nel porto di Ancona. Alla data di proclamazione del Regno la flotta era composta di 97 navi di cui 79 operative; di queste ultime 22 erano ad elica, 35 a ruote e 22 a vela: provenivano 32 dalla Marina Sarda, 8 dalla Toscana, 2 dalla Pontificia e 37 dalla Marina delle Due Sicilie (24 dalla Napoletana e 13 dalla Siciliana).

Pasquale Peluso